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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

IL PROFETA DELLA FINE DEL SESSO


Nell’incertezza del futuro, possiamo fare alcune congetture. La scienza ha motivo di credere, ad esempio, che entro i prossimi quaranta anni avremo una cura per ogni tumore, che le energie rinnovabili soddisferanno tutto il fabbisogno energetico del Pianeta e che il 50 per cento dei lavori sarà svolto da robot. Alcune cose potrebbero scomparire: i francobolli, la tubercolosi, i coralli dei Caraibi. Ma di tutti i tramonti, quello del sesso potrebbe essere tra i più struggenti. Un libro uscito in questi giorni negli Stati Uniti annuncia: entro venti, massimo quaranta anni, nella maggior parte dei Paesi sviluppati le coppie sceglieranno di concepire con la fecondazione in vitro; il sesso diventerà un divertissement, la procreazione naturale un atto di insubordinazione verso le politiche sanitarie nazionali. La previsione è di Henry T. Greely, direttore del Centro per la legge e le bioscienze della Stanford University (California), che nel saggio The End of Sex and the Future of Human Reproduction (Harvard University Press) tira le somme di un lungo percorso di studi bioetici, un’area del sapere, spiega, che «tenta di rispondere alle domande morali, etiche, sociali e legali poste dal rapporto tra società e progresso scientifico».
Una questione tra tante ha intrigato il professore di Stanford: nel giro di pochi anni la fecondazione in vitro e la diagnosi genetica preimpianto (Pgd) diventeranno estremamente semplici, economiche e accurate. Fino a che punto, allora, saremo disposti a limitare, e a limitarci, nella scelta dei tratti genetici delle generazioni future?
Quando una strada offre il massimo dei benefici al minimo dei costi, sembra che il margine di trattativa delle cosiddette forze conservatrici sia molto ristretto. Spiega Greely: «Il primo sequenziamento genomico risale al 2003: allora costava circa 350 mila dollari e forniva solo poche informazioni. Oggi possiamo ricostruire un intero genoma al costo di mille dollari; entro vent’anni, il costo sarà nettamente inferiore e arriveremo a quella che ho chiamato Easy Pgd, cioè una diagnosi preimpianto di routine, facile ed economica. Per allora, anche la fecondazione in vitro sarà cambiata: la tecnologia delle cellule staminali ci consentirà di bypassare il prelievo degli ovociti, che è una procedura costosa, invasiva e anche piuttosto rischiosa. Sarà sufficiente avere un po’ di tessuto cutaneo della donna. Da lì si ricaveranno staminali, le quali a loro volta saranno usate per produrre ovuli».
Ma questo è solo l’inizio di un lungo viaggio nel futuro. Ogni coppia, prevede Greely, avrà a disposizione cento embrioni, ciascuno dotato di un minuzioso dossier genetico. Una volta scartati eventuali embrioni portatori di patologie ereditarie, o a rischio di malattie, con che criterio si sceglierà? Il sesso preferito, ad esempio. Il colore degli occhi e dei capelli, l’altezza e la costituzione. I genitori potranno scartare piccoli difetti, come l’alopecia o le sopracciglia unite, ma anche selezionare i marcatori genetici di specifici tratti caratteriali, come l’attitudine allo sport, alla musica o alla matematica. Con una certa approssimazione, anche il quoziente intellettivo. Saremo in grado di dire, ad esempio: questo bambino ha il 60 per cento di possibilità di trovarsi nella metà superiore della fascia. Un vero e proprio «make up genetico», che non mancherà di sollevare problemi. Ipotizziamo che una coppia scelga un embrione pensando di farne un campione di football, per poi ritrovarsi un poeta. «Farà causa alla clinica?» si domanda Greely. «Al momento non esistono testi di legge che possano regolamentare quel che accadrà». D’altronde, i giuristi del 2050 dovranno risolvere questioni ben più delicate. «È plausibile, ad esempio, che le persone affette da nanismo e sordità vorranno figli simili a loro. Ora, se dei genitori compromettono l’udito del figlio, li arrestiamo. Ma se scelgono un embrione perché è sordo, come loro, allo scopo di preservare i sordi dal genocidio, come dobbiamo regolarci?».
La Easy Pgd non susciterà ovunque le stesse reazioni. «Mi aspetto che sarà approvata rapidamente nei Paesi in cui le forze religiose hanno un potere limitato, quindi Cina, Singapore, Corea e Nord Europa. Negli Stati Uniti, a meno che le cose non cambino drasticamente, penso che molti Stati (e il governo federale) la ammetteranno, nonostante forti opposizioni. In Italia, molto dipenderà dall’evoluzione politica e culturale. Anche la Germania sarà riluttante, per via del suo passato e dei tabù legati all’eugenetica».
Il problema dell’equità sarà un nodo centrale del dibattito. Come evitare l’aberrazione di un mondo in cui solo i ricchi hanno diritto ad avere figli sani, belli e intelligenti? L’idea di Greely è che, almeno nelle economie più avanzate, la Easy Pgd sarà sovvenzionata dallo Stato, e questo non solo a vantaggio dei cittadini, ma anche del sistema sanitario, perché a conti fatti (cioè circa 11 mila dollari a procedura, tra creazione degli embrioni, test del Dna e consulenza genetica) la spesa sarà interamente assorbita dal risparmio sulle assistenze sanitarie. Di più: il vantaggio economico sarà tale che il concepimento “vecchio stile” sarà disincentivato, fino a cadere in disuso. «Specie nei Paesi con assistenza sanitaria pubblica, la procreazione naturale diventerà uno stigma sociale. La gente dirà: hai fatto a modo tuo e adesso ci ritroviamo a carico un bambino malato?».
Siamo sicuri che Greely non guardi troppo avanti? L’obiezione viene dal biologo Carlo Alberto Redi, docente di Zoologia e biologia dello sviluppo all’Università di Pavia. Nel suo libro appena uscito per Sironi, Storia di una cellula fantastica. Scienza cultura e natura dell’uovo (pp. 224, 19,80 euro), scritto con la biologa Manuela Monti, bioetica e biopolitica della riproduzione sono temi centrali. «Le applicazioni della genetica» dice Redi «portano senz’altro nella direzione indicata da Greely, ma è improbabile che tra soli quaranta anni sapremo davvero selezionare a nostro piacimento altezza, intelligenza o abilità musicale. Si tratta di caratteri multifattoriali, che dipendono, cioè, dall’azione congiunta di più geni, non da uno o due. Iniziamo ora a investire sulla medicina di precisione, quella che studia, appunto, le patologie e i caratteri geneticamente complessi, per cui forse raggiungeremo i risultati di cui parla Greely tra un centinaio di anni. Per allora è certo che ci sarà stata una rivoluzione nel nostro modo di riprodurci». Nel frattempo, il sesso è salvo.

Giulia Villoresi