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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

TÈ E CAFFÈ: QUEI DUE PIACERI NECESSARI LE CAPSULE SOMMERGONO L’EUROPA, ALTRO CHE BEVANDE CIVILIZZATRICI

Le capsule da caffè, con ormai una ventina di miliardi di euro di fatturato, occupano un buon terzo del mercato del caffè nel Vecchio Continente; e perciò si sono già accesi i riflettori sul carattere poco ecologico di questo consumo, che alimenta tra l’altro l’inquinamento da alluminio. Per fortuna che, soprattutto per impulso di alcune aziende italiane, sta maturando la svolta “green” anche su questo mercato, con alcuni progetti modello di riutilizzazione degli scarti e con l’introduzione delle capsule eco-compostabili. Secondo un’inchiesta della Bbc, nel 2020 le vendite di capsule di caffè in Europa supereranno addirittura quelle delle bustine di tè. Sarebbe la fine di un secolo che si è aperto in epoca vittoriana, quando il tè conobbe la prima grande ondata di diffusione, anche perché veniva considerato una “bevanda civilizzatrice” (George Orwell la chiamerà “il pilastro della civiltà”), rispetto alla birra e agli alcolici.
DUE AMERICANI DEL PRIMO ‘900 E UN’INVENZIONE DA DUEMILA FORI
Lo sviluppo industriale del tè fu rapido tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando si affermarono le prime grandi aziende multinazionali. Il proprietario terriero scozzese James Taylor piantò gli arbusti del tè in alcuni possedimenti nello Sri Lanka e una decina d’anni dopo, nel 1870, sir Thomas Johnstone Lipton, un imprenditore e cultore dello yachting nato a Glasgow, si premurò di acquistare grandi piantagioni a Ceylon, da gestire direttamente. Ma fu l’americano Thomas Sullivan, nel 1908, a creare per caso l’invenzione che segnò davvero la svolta per questa bevanda: preparò un campionario per la sua ditta a New York, mettendo piccole quantità di tè dentro delle bustine in garza di seta, che poi più comunemente furono fabbricate in cotone. Nel 1930 William Hermanson di Boston (la città del Tea Party, appunto, per la violenta rivolta del 1773 contro le tasse sul tè) riuscì a produrre le prima bustine in cotone termosaldate, ma il vero e proprio boom venne solo all’inizio degli anni Cinquanta, con le bustine lanciate da John Tetley. Oggi siamo arrivati a calcolare persino la media per bustina di piccoli fori, che è di circa duemila.
LA PRIMA MULTINAZIONALE INTEGRATA NEL CIOCCOLATO DELLA PENNSYLVANIA
Secondo lo storico più noto del ramo, il divulgatore inglese Roy Moxham, sono state le bustine a trasformare il tè da una bevanda cerimoniale a una bevanda pratica, adatta a un consumo di massa. In cima alle classifiche dei bevitori di tè, gli inglesi si attestano sul consumo di 130 milioni di tazze al giorno. Ma ad ampliare i mercati sono sempre gli americani: del resto, avevano già operato un’analoga massificazione dei consumi per quanto riguarda il caffè, con la de-tassazione nel 1832, e il cioccolato, con l’introduzione dei mini-formati, il cioccolatino Kisses e la barretta MrGoodbar. Tale impulso dei consumi di cacao sul finire dell’800 portò alla nascita di grandi aziende integrate, come quella fondata nel 1894 da Milton Hershey, dove il latte degli allevamenti in Pennsylvania veniva lavorato direttamente con lo zucchero prodotto nelle piantagioni di proprietà a Cuba e il cacao importato.
LA CAPSULA ECO-COMPOSTABILE E I FUNGHI ORECCHIONI
Tra le prime aziende italiane a spingersi nella svolta “green”, Lavazza ha appena lanciato le nuove capsule eco-compostabili “A modo mio”, con l’apporto della Novamont per quanto riguarda il MaterBi, una plastica biodegradabile con caratteristiche ecologiche a norma europea e con un alto contenuto di materie prime rinnovabili, realizzato attraverso una filiera integrata di aziende tutte italiane. Prima ancora delle capsule compostabili, Lavazza si era impegnata anche in un singolare progetto, con l’Università Politecnico di Torino, per riutilizzare i fondi di caffè per far nascere dei funghi commestibili, per esempio il Pleurotus Ostreatus, volgarmente detto “orecchione”, uno dei più diffusi e facili da coltivare. La storia aziendale racconta che questa vocazione risale addirittura a quando Luigi Lavazza, durante un viaggio in America del Sud nel 1935, per visitare le piantagioni di caffè, rimase sconvolto per le quantità di raccolto invenduto che venivano distrutte.
LE CITAZIONI
Guardi, steward: se questo è caffè, preferisco il tè; ma se questo è tè, allora voglio il caffè.
Questa battuta viene da una striscia pubblicata alla fine dell’Ottocento dalla famosa rivista satirica londinese Punch e mostra come si sia radicato subito il pregiudizio nei confronti delle bevande calde servite durante i viaggi con i mezzi di trasporto di massa. Ancora oggi è una frase che si sente ripetere, in aereo e sui treni. Memorabile anche l’aforisma attribuito ad Agatha Christie:
In Inghilterra il caffè ha sempre il gusto di un esperimento chimico.
Noi italiani preferiamo comunque la classica esclamazione di Totò:
Questo caffè è una ciofeca.
La volgare “ciofeca” in questione risale forse allo spagnolo “chufa”, che sarebbe la mandorla per l’orzata, e qualche etimologista si spinge sino all’arabo “šafaq”, che sta per bevanda cattiva.