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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

UOMINI CHE UCCIDONO LE DONNE. PER INVIDIA

Leggiamo di questi delitti orribili, di donne, mogli, fidanzate, amiche, amanti, picchiate, sfregiate, accoltellate, massacrate (“Dove mi conviene colpirla col coltello perché muoia di colpo?”, chiedeva su Whatsapp a un amico l’ultimo assassino). E pensiamo, noi uomini, ma che uomini sono quelli che lo fanno? Li chiamiamo, forse per consolarci, forse per tenercene distanti, “uomini che odiano le donne”, come a dire che ci sono uomini di due tipi, e noi siamo del tipo giusto, siamo uomini che amano le donne e non farebbero loro mai del male.

Mascolinità malata. Ma siamo sicuri che sia così? Siamo davvero immuni da quell’oscuro istinto di sopraffazione noi uomini perbene che non uccidiamo e consideriamo dei deviati quelli che ammazzano? O c’è una continuità, qualcosa di comune a tutto il genere maschile, qualcosa che ha a che fare con un’idea di mascolinità, non di virilità che è altra cosa, e che ci riguarda tutti? E, del resto, se non ci fosse qualcosa di malato nella mascolinità in sé, perché mai gli uomini ucciderebbero per desiderio o per gelosia così tanto più spesso delle donne? Perché insomma il femminicidio è un genere maschile? Questi interrogativi mi sono venuti in testa leggendo l’ultimo poderoso e bel romanzo di Edoardo Albinati. Si intitola La scuola cattolica, perché al San Leone Magno, scuola privata gestita dai preti, quartiere Trieste a Roma, anni Settanta, Albinati c’era, e da lì ha tratto molta materia di riflessione sul tema del “maschile”, in rapporto, e in contrapposizione, col “femminile”. Sui banchi di quella scuola, solo per maschi, con l’autore c’erano anche Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, che appena usciti dal liceo, a vent’anni, violentarono e massacrarono in una villa del Circeo due ragazze (Rosaria Lopez morì, Donatella Colasanti si salvò miracolosamente fingendosi morta). Per quarant’anni Albinati non ne ha mai parlato, poi ci ha scritto su un romanzo di 1300 pagine. Nel quale ci sono riflessioni coraggiose, e inquietanti, e certamente politicamente scorrette sul tema della mascolinità. Lo scrittore propone una tesi: che in realtà gli uomini, tutti, siano mossi da “un’invidia verso il femminile fortissima” perché la donna dà qualcosa che gli uomini non sanno dare: la vita. E che l’unico rimedio che i maschi trovano sia quello di “ricorrere a una brutale compensazione: siccome è sempre la donna a dare inizio, l’uomo per ripicca si usurpa il diritto di porre fine, ponendosi così all’estremità opposta della vita... Se non posso dare vita a qualcuno non mi resta che levarla a qualcun altro”.

Dal bacio alla coltellata. Non so se sia così, ma so che è una terribile ipotesi, per la quale “non vi è soluzione di continuità tra le forme di contatto tra sessi: ognuna ha a che fare con tutte le altre, ognuna conduce in poche mosse a quella opposta, dalla più dolce alla più brutale”. Da un bacio a una coltellata. Dall’amore alla morte. Se così fosse, noi uomini che non odiamo le donne non ce la potremmo più cavare tirandoci fuori. Vorrebbe dire che anche nel nostro “maschile” cova sempre l’uovo del serpente. E che dovremmo fare qualcosa per schiacciarlo.