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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

L’ULTIMA TRINCEA DEL SOLDATO NAGEL

Se è caduto l’Impero romano, perché non dovrebbe cadere Mediobanca?» Un Enrico Cuccia malato e preoccupato per la sorte «della sua creatura, si lasciava andare sempre più spesso a considerazioni pessimistiche. A sedici anni dalla sua scomparsa, Mediobanca non è ancora caduta, ma è chiusa in trincea e lotta con tutte le sue forze per non perdere il pulviscolo della sua antica galassia.
Unicredit, azionista numero uno con il 9 per cento, è in piena crisi di gestione, alla ricerca di un nuovo amministratore delegato. La più importante delle partecipate, le Generali, ha cambiato il capo azienda per la terza volta in quattro anni, dopo un conflitto tra controllante e controllata. Le grandi famiglie del capitalismo italiano si sono dissolte o sono finite all’estero. La Rcs viene scalata da un editore come Urbano Cairo sostenuto da Intesa Sanpaolo, principale concorrente di Unicredit e di Mediobanca.
Non sono stati anni facili per Alberto Nagel e Renato Pagliaro, i dioscuri ai quali Vincenzo Maranghi nel 2003 volle lasciare la sua eredità e, per la proprietà transitiva, quella del suo maestro Cuccia. Sui conti ha inciso in modo pesante la lunga recessione. L’attività di banca d’affari ne ha sofferto e il virus letale dei crediti deteriorati ha appesantito i conti. Ne hanno sofferto le quotazioni di borsa: nell’ultimo anno hanno perso il 30 per cento. Resta solido il capitale, anche quello di vigilanza, al di sopra del livello di guardia stabilito dalla Banca centrale europea, ma la sensazione è che, ancora una volta, tutto questo è frutto di una efficace linea di difesa, non di una proiezione in avanti.
La profezia di Cuccia ha rischiato di avverarsi nel 2011 quando è crollato l’impero edilizio-finanziario di Salvatore Ligresti, l’ingegnere siciliano che era servito da sostegno, il Mister 5 per cento presso il quale parcheggiare pacchetti strategici per Mediobanca. Nel 2001 Maranghi gli aveva affidato la Fondiaria, compagnia di assicurazioni sfilata alla Montedison scalata dai francesi di Edf e dalla Fiat. Il nuovo gruppo Fonsai si rivela una fonte di guai soprattutto dopo la grande crisi finanziaria del 2008. Nel gruppo Ligresti la Mediobanca aveva impiegato quasi un miliardo di euro, mentre l’Unicredit era esposto per mezzo miliardo. Il fallimento sarebbe stato una catastrofe. La soluzione venne trovata grazie a Unipol, la compagnia delle cooperative rosse, anch’essa finanziata da Mediobanca, che acquista Fonsai. Nel frattempo, scoppia il caso del pizzino: un foglietto di carta sul quale Nagel aveva annotato i desiderata della famiglia Ligresti, «i 4L» come li chiama nell’appunto vergato a mano.
Lo scandalo mediatico si ridimensiona, ma la vicenda mette a nudo la principale anomalia di una banca d’affari che ha tra i propri soci anche clienti verso i quali impiega ingenti somme. Nei tempi d’oro, le principali partecipazioni erano Gemina, Pirelli, Snia, Fondiaria, Falck, Generali, Fiat, Olivetti, Sme. Oggi sono Generali, Rcs, Italmobiliare (Pesenti), Atlantia (Benetton) che insieme contano per circa 4 miliardi di euro. Nagel aveva annunciato di voler scendere in Generali dal 13 al 10 per cento (ora ha rinviato a quando sarà conveniente) e di diluire via via anche il 6 per cento in Rcs. Ma l’addio della Fiat e la fusione Repubblica-Stampa ha cambiato le carte in tavola. L’ultima battaglia di via Solferino, così, diventa per Nagel una sorta di linea del Piave.
Quando Giovanni Bazoli e Intesa Sanpaolo, da lui creata e del quale è diventato presidente onorario, ha sostenuto l’offerta pubblica di scambio lanciata da Cairo, Mediobanca l’ha presa come una sfida a singolar tenzone. Di per sé non si tratta di una grande operazione, appena cento milioni di euro (debiti a parte che ammontano in tutto a 400 milioni). Eppure Nagel ha messo insieme una cordata guidata da Andrea Bonomi, che Mediobanca ha sostenuto anche nello sfortunato tentativo di conquistare la Popolare di Milano, e tre soci a lui vicini come Diego Della Valle, Carlo Cimbri della Unipol, che tanto gli deve, e Marco Tronchetti Provera. Offrono 150 milioni (70 dei quali forniti da Bonomi) in denaro liquido, non solo azioni.
Lo scontro assume contorni non solo finanziari: si ripropone l’eterno duello tra finanza laica e cattolica; e non vengono risparmiati nemmeno gli addentellati politici. Mediobanca conta su un asse trasversale che va dal sistema emiliano vicino al Pd (Unipol) alla Mediolanum di Ennio Doris e alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Mentre in molti si chiedono con chi sta Vincent Bolloré, l’azionista numero due della banca d’affari che con Vivendi ha conquistato Telecom Italia. Cairo non è schierato politicamente, anche se ha aperto La7 al vento pentastellato. Bazoli è uno dei padri dell’Ulivo che non ha nascosto un atteggiamento critico nei confronti di Matteo Renzi (anche se ultimamente sul referendum costituzionale ha aperto al Sì pur turandosi il naso). Dunque, una competizione a tutto campo. Perdere sarebbe devastante per Nagel anche perché in questi anni le ferite non sono mancate. Una delle più clamorose sconfitte è avvenuta con il gruppo Gavio (anch’esso socio e cliente) che nell’infausto 2011 s’è visto sfilare Impregilo grazie all’Opa lanciata da Pietro Salini.
Mediobanca è rimasta in mezzo al guado. Il vecchio sistema non c’è più. E c’è la sensazione che Bolloré sia il vero socio forte, il sostegno al quale Nagel s’appoggia. Ma Mediobanca non può ridursi a cavallo di Troia del capitale d’oltralpe. Rispunta così la vecchia ipotesi di mettere insieme la banca d’affari con Unicredit e Generali per creare un polo difficilmente attaccabile. È l’ultima variante del dossier Superbin (unire le grandi banche pubbliche) del quale si parlava già ai tempi di Cuccia. Sarebbe stato questo, secondo alcune ricostruzioni, la vera ragione che ha provocato le dimissioni di Mario Greco dalle Generali. Ora al timone c’è Philippe Donnet che viene da Axa, molto apprezzato anche da Bolloré. Mentre in Unicredit, dopo l’uscita di Federico Ghizzoni, si parla proprio di Nagel. Il ménage a trois riprende quota? E magari anche il Leone di Trieste si ammantera dell’ermellino di Bretagna?