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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

GIAPPONE INFELICE

Superpotenza o nazione in via di estinzione (politica)? Paese di nuovo proiettato verso il futuro o ancora impantanato in un presente che non riesce a staccarsi dal passato? Ma soprattutto: modello di efficienza, organizzazione, welfare e buon governo o Paese abitato da cittadini sempre più stanchi e disillusi, guidato da leader mediocri, sempre più arroganti e corrotti?
L’"Abenigma" (dal nome del suo premier) giapponese è tutto qui. Decifrarlo non è semplice. Soprattutto per gli oltre mille giornalisti che sono stati costretti a seguire un G7 sempre meno determinante e assurdamente dispendioso a Ise, culla di una delle religioni più antiche e affascinanti, per poi correre a Hiroshima e assistere alle "scuse" del primo presidente Usa in carica alle vittime della bomba atomica. "Scuse" tardive e poco sentite, se è vero che oltre il 70 per cento degli americani continua a ritenere che le bombe salvarono il Giappone accelerandone la resa e risparmiando centinaia di migliaia di potenziali vittime.
Un tour de force che fa sicuramente bene al premier Abe, "Shinzo" per gli amici e "Abenai" (gioco di parole tra il suo cognome e abunai, che significa "pericolo") per i "nemici". Che sono tanti. E tutti molto preoccupati.
«Il mondo all’inizio si era concentrato sui fuochi artificiali dell’Abenomics, che è miseramente fallita», dice Gregory Clark, ex diplomatico australiano ora uno dei più autorevoli commentatori politici stranieri. «Questo signore ha provocato danni all’immagine del Giappone. Il suo assurdo negazionismo sta alimentando non solo i neonazionalismi coreani e cinesi, ma rischia di alienarsi le simpatie dei suoi alleati storici, Usa, Australia e Paesi europei». Parliamo di rivendicazioni territoriali (è l’unico Paese "sconfitto" ad avere ancora questioni di confine aperte con tutti i vicini: Cina, Russia, Corea, Taiwan), di negazionismo nei confronti di tragedie come il massacro di Nanchino, degli esperimenti umani sui prigionieri di guerra in Manciuria, della drammatica vicenda delle "donne di conforto", le migliaia di coreane - ma non solo - rastrellate dai militari e costrette a prostituirsi al fronte per le truppe di Sua Maestà.
«C’è gente che sta giocando con la storia, manipolandola e imponendone una lettura falsa», dice l’onorevole Kumiko Inoguchi, non una bolscevica ma una deputata del partito di maggioranza. «All’estero non funziona, ma in patria rischia di provocare effetti disastrosi. I nostri giovani crescono nell’ignoranza o, peggio, con un pericoloso senso di vittimismo e di rivalsa». In altre parole c’è il rischio di ritrovarci un Giappone deluso dall’Occidente cattivo. Dice Martin Fackler, ex corrispondente del "New York Times": «Nonostante sia ancora la terza economia del mondo e tra i più generosi contribuenti delle agenzie internazionali, il Giappone è sempre più isolato, assente e ininfluente sui grandi temi. Un vero peccato».
Ora, suggerisce l’economista Clyde Prestowitz, il Giappone rischia di diventare la Svizzera dell’Asia: un Paese chiuso in se stesso, ricco ma senza fantasia, che si accontenta di vivere di rendita. Dopo tre anni di Abenomics, non è una bella prospettiva. Ma le cifre parlano chiaro: anche se l’ultimo trimestre mostra finalmente un dato positivo per la crescita, +0,4, tutte le altre frecce hanno fallito il bersaglio. L’inflazione è ancora ferma sullo zero assoluto, l’indice Nikkei ha perso oltre metà di quanto aveva guadagnato il primo anno di Abe, un giapponese su tre non ha più un contratto a tempo indeterminato. Il tutto condito dall’inevitabile aumento del deficit pubblico, il più alto dei Paesi industrializzati: dal 220 ha ormai superato il 250 per cento. Roba da fare dell’Italia un modello di gestione pubblica.
Abe è dipinto dai suoi spinner come un convinto keynesiano: se i fondamentali sono robusti, via libera al deficit. Peccato che questi neo-keynesiani si siano dimenticati un dato cruciale: l’aumento dei salari. Negli ultimi 15 anni sono aumentati dello 0,3 per cento. Un fallimento economico clamoroso quello di Abe. Che però rilancia e, approfittando dell’inevitabile impennata di popolarità per aver accompagnato a Hiroshima il primo presidente americano, probabilmente scioglierà la Camera Bassa. L’altra, la Camera Alta, si scioglie da sola. Potrebbe succedere che per la prima volta dal dopoguerra un premier goda di una maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Cosa che gli consentirebbe di buttare l’attuale Costituzione e riscriverne una nuova, anche se sono forti i dubbi che gli Stati Uniti glielo consentano.
Dal punto di vista mediatico, Abe ha la strada libera. Negli ultimi tre anni il suo governo ha fatto fuori la maggior parte dei giornalisti "scomodi". Nella classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa, il Giappone è precipitato, negli ultimi tre anni, dall’11° al 61° posto. Intendiamoci, in Giappone (per ora) nessun giornalista viene picchiato, arrestato, sbattuto in galera o espulso per quel che scrive. Ma almeno una decina di corrispondenti di testate autorevoli come il già citato "New York Times", il "Washington Post", il "Guardian", l’"Independent" e persino l’austera "Frankfurter Allgemeine Zeitung", sono stati avvicinati, blanditi, se non apertamente minacciati e ricattati. «A me hanno chiesto di correggere quanto aveva scritto il mio predecessore a proposito delle donne di conforto, denuncia Martin Fackler del "New Yor Times", «legando questo "desiderio" alla concessione di una intervista esclusiva ad Abe.». Con Carstens Germis, corrispondente della "Faz", sono stati più pesanti. Il console giapponese si è presentato nella sede del giornale, portando una serie di ritagli e accusando il giornalista di essere al soldo dei cinesi. Anche in questo caso la cosa è finita lì, ma la diplomazia del Sol Levante non ci ha fatto una bella figura. Così come non l’ha fatta quando, alcuni mesi fa, incontrando la signora Irina Bukova, segretario dell’Unesco e in pole position nella corsa per la carica di segretario generale dell’Onu, alcuni funzionari le hanno promesso l’appoggio del Giappone in cambio di una nomina a commissario permanente all’Unesco: un modo per controllare l’agenzia che ha avuto l’ardire di inserire, nel Registro della Memoria Universale, il massacro di Nanchino. Tutte azioni che favoriscono la nemica Cina. Pechino sta vincendo la battaglia della diplomazia "pubblica". Basta guardare i programmi della Nhk World, l’imbalsamata, melensa, poco professionale testata internazionale della Tv di stato giapponese e la Cctv, braccio "armato" della televisione cinese. Che a parte l’omertà assoluta su certi temi (diritti umani, Tibet) quanto a qualità e professionalità è ormai a livelli della Cnn o di al Jazeera, se non addirittura della Bbc.