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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

Non c’è nessuna città della Grecia, tranne Micene, che abbia riunito sul suo suolo e nella sua cerchia tante leggende eroiche quante Tebe

Non c’è nessuna città della Grecia, tranne Micene, che abbia riunito sul suo suolo e nella sua cerchia tante leggende eroiche quante Tebe. E nessun Eroe fu tanto onorato presso gli dèi e dagli uomini quanto Cadmo, dal quale prese nome la rocca Cadmea. Egli appartiene alla quinta generazione dei re primitivi, fondatori di paesi e di stirpi, discendenti dalle nozze di Zeus sotto spoglie di toro con Io sotto spoglie di giovenca. Si contavano con ammirazione i molteplici vincoli che legavano Cadmo agli dèi. Suo progenitore era Zeus, Posidone era suo nonno, Ares e Afrodite suoi suoceri. Sua figlia Semele divenne madre di Dioniso e fu assunta in cielo insieme al figlio. Anche un’altra delle sue figlie divenne dea: Ino tramutata in Leucotea, la "dea bianca". Oltre a Dioniso, Cadmo ebbe anche un altro nipote divino, Palemone, figlio di Ino, detto pure Melicerte. Si parla di questi due giovani nelle storie degli dèi. Tutto ciò creò intorno a Cadmo un complicato intreccio di storie genealogiche. Esse furono certamente opere di genealogisti tebani che gli volevano assicurare una posizione eminente nel mondo degli dèi governato da Zeus. Lo si faceva discendere da una stirpe nella quale Zeus aveva celebrato due volte nozze taurine. La prima volta con Io. Essa era, come si sa dalle leggende degli dèi, figlia di Inaco, il dio fluviale di Argo. Così anch’essa derivava dalla regione nella quale dovevano sorgere Micene e le altre città fortificate dell’Argolide. Sospinta senza posa da un luogo all’altro sotto spoglie di giovenca, essa fuggì dal fiume padre verso Nilo. Lì ella partorì a Zeus Epafo, progenitore di quella schiatta di cui si parlerà nella storia di Danao e delle sue figlie. A questa stirpe, secondo i genealogisti, apparteneva anche Cadmo. Seguendo le orme di una giovenca, egli sarebbe arrivato in Beozia e lì avrebbe fondato la città di Tebe. Alla stessa stirpe si faceva appartenere anche la bella Europa che Zeus, sotto forma di toro, rapì e portò, secondo la più nota tradizione, a Creta, secondo altra meno nota in Beozia. Sia seguendo le orme di Europa, sia seguendo le orme di una comune giovenca, Cadmo appare in questa storia complicata di doppie nozze taurine, che forma gli antecedenti della nascita di Dioniso - il dio venerato sotto forma di toro e come figlio di toro -, in forma di pastore. Così egli appare anche nella storia dei Titani. Allora non era per nulla assicurata la signoria di Zeus sul mondo degli dèi. Il drago Tifeo gli aveva tolto i tendini e li aveva nascosti in una caverna. In questa storia Cadmo appare come un pastorello. Con la sua zampogna incantò il drago, gli ritolse i tendini nascosti e li restituì a Zeus. Il fatto avvenne in Cilicia, paese orientale nel quale, secondo la genealogia di Cadmo, doveva regnare il fratello di questi, Cilice. Come quella di un vaccaro dei tempi primitivi che segue le orme di una giovenca che non è però una giovenca comune, ma la sposa di un dio che porta l’emblema della luna, così la figura di Cadmo, nella cui casa di Tebe doveva nascere Dioniso, giunge a noi dall’Oriente. Rimane oscuro - veniva certamente tenuto celato - se fu egli stesso a generare un fanciullo divino. Nella cerchia dei Cabiri, che celebravano il loro culto segreto nell’isola di Samotracia, ma anche a Tebe, uno degli dèi veniva chiamato Cadmilo, il piccolo Cadmo. Questi non era altro che Ermes in quella forma in cui gli ateniesi lo rappresentavano spesso, in accordo con la storia dei misteri di Samotracia, cioè come Ermes itifallico. Perché questo Ermes si sarebbe chiamato «il pccolo Cadmo» se non era figlio divino di Cadmo? Anche più tardi era conosciuta la stretta relazione fra il messaggero degli dèi e il primo re di Tebe. Allora si diceva veramente che la relazione tra Ermes e Cadmo fosse la stessa che tra Apollo e Giacinto. La storia delle peregrinazioni di Cadmo interessava vari paesi. Agenore, che gli veniva attribuito come padre, pronipote di Io e, secondo il suo nome, «condottiero degli uomini», regnava sulla Fenicia. I suoi figli si chiamavano Cadmo, Fenice, Cilice, la figlia Europa. Secondo narratori più antichi Europa era piuttosto figlia di Fenice e Cadmo era, forse anche in questo caso, suo fratello. Dopo il ratto di Europa, il padre mandò i figli alla ricerca della figlia rapita. Non avrebbero dovuto ritornare prima di aver ritrovato la sorella. Così cominciarono le peregrinazioni di Cadmo. Egli era l’unico cui stesse a cuore seriamente la ricerca della sorella. Si dice che Cilice fosse ritornato per regnare in Cilicia, paese vicino alla Fenicia, alla quale Fenice diede il nome. Cadmo continuò le sue peregrinazioni e raggiunse il paese dei Traci. Di questa parte delle sue peregrinazioni si narrava specialmente nell’isola di Samotracia, dove si parlava la stessa lingua della Tracia. Secondo alcuni fu qui che egli rinunciò alla ricerca di Europa, secondo altri qui trovò un’altra Europa. Non è detto come si debba interpretare ciò. Nelle storie della Tracia però non si parlava assolutamente di Cadmo come di un viaggiatore solitario. Egli avrebbe portato con sè nella sua ricerca la madre, che aveva il nome lunare di Telefassa o Telefae, «colei che illumina lontano», o Argiope, «dalla faccia bianca». Qui compare un altro fratello di Cadmo, Taso, da cui ebbe nome un’isola vicina a Samotracia. È l’immagine di una madre con due figli che appare in questa descrizione, come se si librasse sulle coste e sulle isole del mare tracico. In Samotracia i tre avevano anche altri nomi. La madre era chiamata colà Elettra o Elettrione, i figli Dardano o Eezione o Isaio. Tra questi fratelli stava però come terza figura non soltanto la madre. Essi avevano una sorella, poiché, come Telefassa aveva per figlia Europa, così Elettra aveva per figlia Armonia, destinata in isposa a Cadmo. Secondo i Samotraci essa sarebbe stata generata da Zeus. E, come Zeus aveva rapito Europa, così Cadmo rapì Armonia. Forse perciò si disse che in Samotracia egli aveva trovato un’altra Europa. Elettra cercò la figlia, come Demetra aveva cercato Persefone e come Telefassa, accompagnata da Cadmo, aveva cercato Europa. Così Cadmo, che era andato alla ricerca della sorella, trovò invece in Samotracia la sposa. Si affermava pure che le prime nozze terrene, alle quali parteciparono gli dèi e alle quali esse portarono i loro doni, fossero state celebrate qui, sull’isola dei misteri. Si narrava anche come l’amore era cominciato. Cadmo si sarebbe fatto iniziare nei misteri e, durante la cerimonia, avrebbe notato, tra le ragazze, Armonia. Storia graziosa, ma certamente non molto antica, esempio, se non imitazione, di una storia ancora più nota: anche Filippo di Macedonia aveva visto durante i misteri di Samotracia per la prima volta la giovane Olimpia che doveva diventare la madre di Alessandro Magno. Soltanto dopo le sue nozze con Armonia, in Samotracia, Cadmo avrebbe ricevuto il responso dell’oracolo di Delfi, che lo mandava più lontano per assolvere il suo compito di fondatore. Però si raccontava anche - e con ciò si entra nel corso di quelle storie nelle quali la Tracia non ha alcuna parte o ne ha una assai piccola - che non dalla madre era accompagnato Cadmo nelle sue ricerche ma da una schiera armata. Coi suoi compagni egli aveva attraversato vari paesi e durante il viaggio aveva interrogato l’oracolo di Delfi. La risposta ci viene trasmessa persino in versi. Essa suona così (scolio alle Fenice di Euripide): «Rifletti alle mie parole, Cadmo, figlio di Agenore! Alzati di buon mattino e lascia la sede dell’oracolo, vestito come di consueto ed armato soltanto di una lancia da caccia. Prendi la via attraverso il paese dei Flegrei e della Focide finché arrivi dal pastore dell’armento del mortale Pelagon. Quando ci sarai giunto, scegli tra le vacche muggenti quella che ha su tutti e due i fianchi un disegno bianco di luna piena. Prendila per tua guida sulla strada che dovrai percorrere. Ti do ancora un’indicazione che non dovrai dimenticare: dove la vacca si inginocchierà e poserà per la prima volta la testa cornuta sul terreno, in quel punto dovrai sacrificarla alla terra immersa nell’oscurità. Dopo averla sacrificata giustamente e puramente, fonda sulla collina più alta una città dalle vie larghe e manda agli Inferi il terribile custode del dio della guerra. Così nel futuro sari famoso tra gli uomini ed avrai come moglie una immortale, o fortunato Cadmo.» Non si può asserire che questo responso dell’oracolo fosse molto antico, ma i versi furono certamente composti sulla base di un vecchio racconto. Cadmo trovò la vacca che cercava, con l’emblema della luna, presso un pastore nato dall’argilla - poiché il nome Pelagon veniva inteso, pare, Pelogonos - e la comperò. Il paese dove la vacca lo guidò fu chiamato allora «paese della vacca», Boiotìa, Beozia. La vacca si lasciò sospingere per tutto il paese e, dove cadde sfinita per la stanchezza, si adagiò sul fianco destro. Anche questo fatto era stato predetto. Allora Cadmo preparò il sacrificio. Mandò alcuni dei suoi compagni a cercare una sorgente, poiché per il sacrificio anche l’acqua era necessaria; ma gli inviati non ritornarono. Erano stati uccisi dal drago che sorvegliava la vicina sorgente di nome Areia o «sorgente di Ares», sopra la quale abitava, in una caverna, il terribile drago. Era questo un rampollo del dio della guerra, gli apparteneva la collina sulla quale sarebbe sorta in breve Cadmea, l’Acropoli della futura Tebe. Ora Cadmo stava per affrontare l’azione che egli solo avrebbe potuto compiere, sia che egli fosse davvero uno straniero, sia che - come alcuni pretendono di sapere - egli fosse il figlio di un uomo primordiale del luogo, Ogige, gerrmogliato dalla terra, al quale più tardi i bgenealogisti attribuirono come padre l’eroe del paese, Beoto. Cadmo si trovava su un terreno sul quale, prima della sua azione fondatrice, nessun popolo era nato; era come se egli vivesse al principio del mondo, nella solitudine primordiale. Doveva compiere l’azione tutto da solo. Come un dio sulla terra ancora non popolata se non da alcuni uomini primordiali, egli doveva scontrarsi col drago. Un uomo primordiale era anche il mortale Pelagon, nato dalla creta, presso il quale Cadmo aveva trovato la vacca con l’emblema della luna; era uno dei primi mortali, e la sua presenza aveva attenuato la solitudine dello stato primitivo, ma non l’aveva modificata essenzialmente. Anche l’oracolo ci presenta Cadmo come un viaggiatore solitario, armato semplicemente di una lancia da caccia, non come un semidio accompagnato da una schiera di eroi. Egli compì però l’azione in modo del tutto corrispondente alle condizioni di vita primitiva, quando non c’erano ancora armi: fu con una pietra che Cadmo uccise il serpente. Ci furono narratori e decoratori di vasi che non seppero immaginarlo senza la spada in mano; ma il rude Asteas di Paestum lo raffigurò nudo, col mantello da pellegrino sulle spalle e un piccolo cappello a punta. Egli tiene due lance nella sinistra, ma non le adopera: scaglia la pietra con la destra contro il gigantesco serpente. Le pietre avranno parte anche nel seguito del racconto. La maggior parte dei pittori e dei poeti che non vedevano in Cadmo stesso l’elemento divino erano concordi nell’opinione che alcune dee e alcuni dèi lo avevano assistito nel compimento dell’azione. Atena lo avrebbe aiutato e consigliato ad adoperare i denti del drago come sementi. Anzi lei stessa li avrebbe seminati in sua vece. Tutto ciò sarebbe accaduto - così alcuni credevano - per volere e secondo i piani di Ares. Il risultato della singolare azione non contraddisse per nulla l’intenzione del dio della guerra. Dal seme del drago sorsero cinque o più guerrieri armati, una schiera minacciosa per Cadmo che li aveva chiamati in vita, ed era solo. Essi però non presero nota di lui. Poiché erano nati da poco dalla terra, avevano appena aperti gli occhi. Allora l’Eroe gettò dei sassi contro di loro e i guerrieri si credettero assaliti l’uno dall’altro. Scoppiò quindi una lite e si uccisero a vicenda. Soltanto cinque rimasero in vita: Udèo (il fondatore), Ctonio (l’uomo della terra), Peloro (il gigante), Iperenore (il superuomo), Echione (l’uomo serpente). Tutti furono chiamati Sparti, i seminati, e celebrati come «seme dall’elmo d’oro». Anche i discendenti, le stirpi regnanti sui Tebani, venivano designati come nati dalla terra e avevano una lancia sul corpo come neo. Così un uomo senza armi creò il nucleo di un popolo guerriero armato e corazzato. La sua opera di fondatore - fondatore di un mondo sulla collina tebana, sulla quale non regnava più il drago - fu completata dalle sue nozze con Armonia, figlia di Ares ed Afrodite. Ciò risulta chiaramente non dal nome Cadmo, nel quale si potrebbe sentire kòsmos che significa ordine del mondo, ma dal nome della sposa sua Armonia e dalle nozze stesse che seguirono subito. Soltanto coloro che volevano vedere la storia della fondazione di Tebe completamente nello spirito del dio delfico, inventarono che per penitenza Cadmo dovette servire Ares ancora un anno grande, cioè otto anni comuni analogamente ad Apollo che aveva dovuto espiare così la colpa di aver ucciso un drago. Armonia era, come dice il nome, armonia stessa, la unificatrice, una seconda Afrodite e nello stesso tempo figlia del dio della guerra. Ed essa si legò a Cadmo come nessun altra dea si legò mai a un Eroe, non certamente la grande dea dell’amore. Soltanto l’unione di Dioniso, Eroe tra gli dèi, con Arianna - quando essa già si chiamava Afrodite Arianna - potrebbe esserle paragonata. Certamente i Samotraci ritenevano Zeus ed Elettra i genitori di Armonia e forse questa era anche l’opinione dei Tebani, che chiamarono Elettra una delle sette porte della città. Chissà però se con Elettra, figlia di Atlante, non si intendesse significare anche Afrodite e con Armonia allora una Afrodite più giovane? I due nomi e le due tradizioni furono così fuse che si raccontava che Cadmo avesse portato con sé Armonia dalla Samotracia, dalla casa di Elettra, poiché Elettra si era assunta di educare la figlia di Afrodite, nata dal suo ben noto amore con Ares. I Tebani conoscevano una storia secondo la quale Armonia sapeva molte cose accadute presso i barbari, come se ella fosse stata una di quelle principesse giunte in Grecia da lontano come Medea era venuta da Corinto. Alle sue nozze convennero tutti gli dèi; per amore di lei essi lasciarono le dimore divine e le Muse onorarono la coppia degli sposi col loro canto, cerimonia rara nelle leggende degli Eroi. Lo stesso Zeus avrebbe banchettato al tavolo dove sedeva felice Cadmo. Nel corteo il cocchio degli sposi era tirato da animali straordinari. Lo si vede in un vecchio dipinto vascolare: una lince e un leone erano attaccati al cocchio. Animali che non si sopportano facilmente. Al corteo nuziale di Armonia, di «colei che riunisce», ben si addiceva tale unione. Colui che la effettuò, Apollo, camminava presso il cocchio. E le Muse cantavano «Ciò che è bello rimane caro per sempre». Bella era la vittoria di Cadmo, ma più bella ancora era la sposa, la bionda Armonia dagli occhi di giovenca. Si sapevano anche quali doni nuziali le avevano portato gli dèi e il dono datole da Cadmo e che doveva riuscire fatale ai posteri. Tra essi c’erano un mantello, un pèplos, una collana, dono di Afrodite a Cadmo, opera di Efesto, pezzo corrispondente al dono di nozze che Europa aveva ricevuto da Zeus, segno anche questo dell’alto rango delle nozze, dalle quali però non doveva scaturire vera felicità. Quando Dioniso è vicino, è vicina anche la tragedia. Da Cadmo e Armonia nacquero quattro figlie e un figlio: Semele doveva venire incendiata dal fulmine di Zeus; Agave presa da tremenda pazzia doveva dilaniare il corpo del proprio figlio; Autonoe doveva raccogliere un giorno le ossa di suo figlio Atteone; Ino doveva gettarsi in mare col figlio Palemone. Con Semele bruciò anche il palazzo di Cadmo, prima che egli sparisse con Armonia. All’unico figlio Polidoro, dai molti doni, rimase la signoria su Tebe, e la continuazione della dinastia con la fatale successione di Labdaco, Laio e Edipo. Si raccontava che Cadmo e Armonia avessero lasciato Tebe su un cocchio tirato da giovenche: una coppia divina, della quale non è dato sapere quando si fosse veramente tramutata in serpenti. Accadde questa trasformazione, degna proprio della deità degli Inferi, a Tebe, prima che la coppia si accingesse al viaggio verso nord-ovest? O quando già si trovava presso gli Illiri sui quali regnava e che avrebbe dovuto condurre contro gli Elleni fino a Delfi? La schiatta degli Illiri di Enchelei portò dei serpenti come emblema per lungo tempo ancora e tale uso era forse in relazione col racconto della signoria di Cadmo e di Armonia su quelle schiatte della penisola balcanica settentrionale. Con il cocchio tirato da giovenche essi raggiunsero il Mar Adriatico probabilmente là dove oggi sorge il piccolo porto di Budva, chiamato allora Buthoe dal nome delle rapide vacche della coppia tebana regale. Qui nacque anche un loro figlio, Illirio, che diede il nome all’Illiria; si raccontava che un serpente lo avesse cullato nelle sue spire e lo avesse fatto crescere forte. Anche presso gli Illiri si mostravano le tombe di Cadmo e Armonia e due pietre in forma di serpente che dovevano ricordarli. Ma si raccontava pure che essi avevano abbandonato la terra. Zeus - o Ares, secondo coloro che ponevano il dio della guerrra come marito di Afrodite, al primo posto - li aveva trasportati nell’Isola dei Beati; non soltanto Cadmo, ma anche Armonia, in forma di serpente. Come la nota coppia divina troneggiava sulle pietre sepolcrali spartane o sulle tavolette ioniche di creta dell’italica Locri - coppia composta da Dioniso, Eroe e re degli inferi, e dalla sua regina - così essi troneggiano tra i morti. Ai viventi appaiono come una coppia di serpenti.