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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Gli ultimi trent’anni sono spesso visti come un periodo negativo per gli investitori. Ci sono stati: due crolli epocali negli Stati Uniti, con la scoppio della bolla di internet nel 2000 e quello della bolla del credito sette anni più tardi; il tracollo del mercato azionario giapponese nel 1990, che da allora non si è ancora ripreso; una pesante recessione in seguito alla crisi del credito

Gli ultimi trent’anni sono spesso visti come un periodo negativo per gli investitori. Ci sono stati: due crolli epocali negli Stati Uniti, con la scoppio della bolla di internet nel 2000 e quello della bolla del credito sette anni più tardi; il tracollo del mercato azionario giapponese nel 1990, che da allora non si è ancora ripreso; una pesante recessione in seguito alla crisi del credito. Ecco perché è sconcertante sentir dire dal McKinsey Global Institute che gli ultimi trent’anni, per i mercati, sono stati un boom impossibile da ripetere: negli Stati Uniti, i titoli azionari in questo periodo hanno avuto in media una crescita del 7,9 per cento, superiore alla media degli ultimi cent’anni (il 6,5 per cento). Il McKinsey adesso stima possibile, per i prossimi vent’anni, una crescita non superiore al 4 per cento. In Europa, le azioni negli ultimi trent’anni hanno guadagnato ogni anno il 7,9 per cento, contro una media dell’ultimo secolo del 4,5. Le obbligazioni, naturalmente, negli ultimi trent’anni hanno conosciuto una fase rialzista che non potrà proseguire ancora a lungo. Diversi fattori hanno contribuito a rendere tanto positivi gli ultimi trent’anni: è finita la guerra fredda, è emersa la Cina e il mondo ha goduto di un magic moment demografico, con la generazione del baby boom che ha raggiunto l’età per creare e spendere soldi. Convertendo questi fattori in elementi trainanti della performance del mercato azionario, Richard Dobbs, del McKinsey Global Institute, ne elenca almeno quattro che non possono ripetersi. 1 - È stata domata l’inflazione Nel 1985, Paul Volcker era a capo della Federal Reserve e un’inflazione a cifra unica non poteva ancora essere data per scontata. Ma ora l’inflazione è domata, non può essere domata una seconda volta (a meno che non ritorni un’inflazione seria, cosa che sarebbe un disastro per i prezzi delle attività nel breve periodo). 2 - I tassi di interesse sono scesi È una correzione una tantum, che non potrà continuare a spingere i prezzi delle attività. Da questo momento, o i tassi di interesse rimarranno piatti, il che significa un mondo a basso rendimento, oppure saliranno, infliggendo perdite nel breve periodo. La reazione estremamente negativa alla decisione della Banca del Giappone nell’ultima riunione, quando si parlava di ridurre ancora di più i tassi sotto lo zero, dimostra che la speranza che tassi di interesse sempre più bassi possano alimentare prezzi delle azioni sempre più alti persiste. È difficile da giustificare. 3 - L’economia è cresciuta Grazie a un aumento dell’occupazione, trainato dall’andamento demografico e dalla crescita della produttività, la crescita economica negli ultimi trent’anni è stata mediamente del 3,5 per cento l’anno negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale. Ora, con la fertilità in calo, le prospettive di crescita sono molto più contenute. Il Giappone, dove il prodotto interno lordo pro capite è aumentato, ma la crescita, a causa della diminuzione della popolazione, non è stata sufficiente a spingere in alto i prezzi delle attività, dà un’idea di quello che potrebbe succedere. 4- La redditività delle imprese è aumentata L’enorme incremento della «classe consumatrice» globale negli ultimi trent’anni, salita da un miliardo circa a due miliardi e mezzo, ha contribuito, insieme all’arrivo di internet, a tenere sotto controllo i costi. Le aliquote fiscali e i tassi di interesse sono scesi, lasciando più margini per i profitti aziendali. Questi fattori potrebbero trasformarsi ora in elementi negativi. Internet, con le sue disruption, diventa una minaccia per i profitti, basti pensare alle aziende che sono state danneggiate finora dall’ascesa di Amazon e Google. E i mercati emergenti stanno generando società multinazionali più forti, che potrebbero trasformarsi in una fonte di concorrenza. Il convincente elenco del McKinsey spiega perché ci è andata tanto bene negli ultimi trent’anni (anche se l’entusiasmo ha finito per spingere i mercati oltre il limite e provocato la loro liquefazione) e perché ci dobbiamo preparare a rendimenti più bassi in futuro. Sulla scorta di ipotesi ragionevoli, il McKinsey prospetta un rendimento delle azioni negli Stati Uniti del 6,5 per cento nello scenario migliore, o solo del 4,0 per cento se la crescita sarà lenta come temuto. Per l’Europa, le proiezioni si attestano fra il 5 e il 6 per cento. Le pensioni sono già abbastanza sotto pressione adesso. Il rischio è stato scaricato di nuovo sulle spalle degli individui, attraverso fondi pensione integrativi, piani pensionistici individuali e così via, mentre gli enti pubblici e le grandi aziende che ancora garantiscono un reddito ai loro membri devono fare conti con disavanzi enormi e sempre maggiori. Eppure molti danno per scontati rendimenti delle azioni del 7 per cento. Che cosa succederebbe se i rendimenti negli Stati Uniti fossero inferiori a quella cifra di tre punti percentuali, come il McKinsey giudica possibile? Per un trentenne della generazione Y che comincia a mettere i soldi in un fondo pensione, questi tre punti percentuali in meno significherebbero dover lavorare sette anni in più per avere la stessa pensione (o dover versare più del doppio dei contributi). E per i piani pensionistici dei dipendenti pubblici statunitensi, quei tre punti percentuali potrebbero portare a un disavanzo più che doppio, da 1.000 a 2.500 miliardi di dollari. La soluzione sarebbe investire in qualcosa di diverso dalle azioni. Ma che cosa è in grado di garantire questi rendimenti? È difficile persuadere gli investitori istituzionali a investire in progetti infrastrutturali, mentre le strategie degli hedge fund, che in alcuni casi non sono correlate alle azioni, comportano l’esborso di commissioni elevate, contro cui alcuni grandi fondi pensione si stanno ribellando. In ogni caso, per i singoli individui le possibilità di accedere a queste classi di attività sono praticamente nulle. Insomma, il rischio che molti si ritrovino incapaci di sostentarsi in tarda età è concreto e crescente. E non lo ha capito solo il McKinsey. L’angoscia per il futuro finanziario è la principale causa scatenante dell’ascesa del populismo politico. È un’angoscia più che fondata. Copyright The Financial Times Limited 2016 (Traduzione di Fabio Galimberti)