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 2016  aprile 30 Sabato calendario

IL TENNIS SECONDO MATTEO– [Matteo Garrone] Esce il 5 maggio “Smash. Quindici racconti di tennis”, tra i primi titoli della neonata casa editrice La nave di Teseo

IL TENNIS SECONDO MATTEO– [Matteo Garrone] Esce il 5 maggio “Smash. Quindici racconti di tennis”, tra i primi titoli della neonata casa editrice La nave di Teseo. Protagonisti 15 scrittori contemporanei alle prese con uno sport che ha ispirato spesso la letteratura. Qui pubblichiamo un’anticipazione: la prima parte dell’intervista di Edoardo Albinati al regista Matteo Garrone (“Gomorra”, “Reality”, “Il racconto dei racconti”), da ragazzino tennista promettente che arrivò fino alla scuola di Bollettieri, Il libro sarà presentato il 12 maggio alle 11.30 agli Internazionali d’Italia a Roma, in collaborazione con la Federazione Italiana Tennis. È vero questo fatto che tu avresti potuto fare il tennista professionista? «Be’, diciamo che da piccolo ero tra i primi del Lazio». Piccolo quanto? «A dieci anni ero una promessa. La mia ambizione principale, la mia vita, tutto girava intorno al tennis. Vivevo sui campi da tennis». Per una tua iniziativa o perché ti seguiva qualcuno? «Forse solo una coincidenza. La casa in cui abitavo, a Roma, al quartiere Fleming, confinava con i campi da tennis. A volte le palline volavano nel mio giardino. Sentivo i colpi risuonare in casa, tutti i rumori... sono cresciuto praticamente dentro un circolo. Può darsi che sia stato per quello. A calcio no? «Certo, giocavo anche a calcio. Ma poi arrivi a un bivio, e io ho scelto di continuare la carriera agonistica nel tennis. In un quaderno mi appuntavo tutto quanto, le caratteristiche dei miei avversari, in che modo i genitori li influenzavano psicologicamente, le strade per arrivare al tale circolo. Andavo in bici dal Fleming fino al Tennis Tiburtina; facevo corso Francia, tutta quella strada... Ricordo un viaggio in treno a tredici anni per andare ai campionati internazionali under 16 a Napoli, l’arrivo alla pensione Margherita, poi al TC Vomero. Il mio primo viaggio da solo...». Come andò? «Arrivai agli ottavi di finale, e dagli ottavi di finale iniziai a prendere anche i soldi. A quel punto venne da Roma il mio maestro Gianni Salvati; dormimmo nella stessa stanza, che imbarazzo... Poi persi ai quarti». E tutto questo per una tua ossessione, mai seguito da tuo padre? «Mio padre era non dico disperato, ma comunque un po’ preoccupato dal fatto che non facessi altro. Non leggevo, non scrivevo. (...) Pensare che aveva una biblioteca meravigliosa, ed era arrivato al punto di offrirmi dei soldi pur di farmi leggere o scrivere qualcosa». Quindi era quasi ostacolata, questa tua passione per il tennis... «In una maniera dolce. Ogni tanto mio padre veniva a vedermi, ma così, distrattamente. Per fortuna non era uno di quei genitori che puntano sul figlio sperando che diventi un campione! Era molto distaccato. Qualche volta provava a portarmi a teatro, con risultati spesso traumatici per me. Quando ho smesso col tennis e ho cercato di capire quale sarebbe stata la mia vita mi sono interessato al cinema, il cinema mi ha portato anche alla letteratura e al teatro, mi sono avvicinato a mio padre e poi ho avuto un rapporto bellissimo fino alla fine con lui. (...)» La tua esperienza sembra l’esatto opposto di quel che si racconta nei libri, per esempio “Tennis” di John McPhee, sul match tra Arthur Ashe e Clark Graebner. Lì ci sono due padri che hanno cresciuto i figli apposta per farli diventare tennisti... e poi naturalmente “Open” di Agassi, dove si parla anche del padre di Steffi Graf, e così via. C’è sempre un genitore in scena. E se non è un padre, è una madre. Nel tuo caso invece l’avvicinamento al padre avviene quando ti allontani dal tennis... «Sì, quando mi avvicino alle arti. Così ho ritrovato mio padre». E invece figure di padri-tennisti di quando tu eri ragazzino? «Ma, sai, ti confesso che non ho mai avuto un rapporto di devozione verso un tennista al punto di imitarlo. C’era un mio cugino che si comprava il profumo di Panatta, aveva la racchetta di Panatta...». Tu sei della leva tipo di Nargiso, quelli là? «No, Nargiso è del ’70». Pistolesi? «Con Pistolesi ci ho giocato quando avevo undici anni al Topolino e sembrava mio padre. Lui aveva solo un anno più di me ma era già un uomo e io arrivavo giusto alla rete. Mi sono sviluppato tardissimo. Infatti persi di brutto, 6-1, 6-2. Lui giocava col Parioli, io col Fleming. Pistolesi me lo ricordo bene perché ci ho giocato spesso. Sono arrivato a giocare in serie B. Quando poi sono stato da Nick Bollettieri avevo diciott’anni, ormai ero già “vecchio” come tennista [...]».