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 2016  aprile 29 Venerdì calendario

STUDIATE, STUDIATE E VIVRETE PIÙ A LUNGO

Uno dei problemi italiani più noti e meno discussi riguarda i bassi livelli di istruzione rispetto agli altri Paesi avanzati. I laureati sono appena il 14% del totale della popolazione, sotto alle medie europee, e colpisce quanto poco la loro incidenza aumenti nelle ultime generazioni. Società un tempo profondamente agricole come la Polonia o la Corea del Sud presentavano, ancora meno di una generazione fa, strutture sociali vagamente simili alla nostra: un’élite relativamente ristretta di persone che avevano studiato, un ceto medio di impiegati non molto qualificati e una gran massa di gente con un limitato livello di istruzione; questi ultimi sono la stragrande maggioranza nella generazione che adesso si avvia verso il pensionamento.
La differenza fra Italia, Polonia e Corea del Sud, è che negli altri due Paesi i giovani hanno segnato un salto di qualità. Fra i nuovi coreani l’investimento in educazione è visto come la chiave dell’intera esistenza e ormai circa un terzo dei trentenni ha raggiunto e superato la laurea. Da noi, no. Agli ultimi dati, le iscrizioni all’università hanno addirittura iniziato a declinare: sono circa 50 mila in meno ogni anno rispetto ai massimi raggiunti attorno al 2006 o 2007. Anche stimando l’erosione delle nascite di una ventina di anni fa, ciò significa che la proporzione di italiani disposti a investire tempo e denaro sull’istruzione è sempre più ristretta. Tanti altri alla svolta della maggiore età preferiscono cercarsi un lavoro subito, piuttosto che perdere altro tempo prezioso sui libri.
È una scelta razionale, da un certo punto di vista strettamente contabile. La remunerazione in più su cui può contare un laureato rispetto a un diplomato di solito è talmente piccola in Italia che, per chi ha scelto di studiare invece che di lavorare, possono passare decenni prima di recuperare i guadagni persi fra i banchi di scuola fra i 19 e i 24 anni. Soprattutto le ragazze sono penalizzate, specie se nel Mezzogiorno. Per loro il compenso in più assicurato dalla laurea è basso al tal punto che il mancato guadagno di quegli anni di studio viene recuperato solo a 55 anni, praticamente ormai nell’anticamera della pensione.
Queste stime ricavate dai dati dell’Ocse naturalmente tengono conto solo delle medie e presuppongono andamenti prevedibili degli studi e del lavoro. Ma lo sappiamo, la vita vera non è mai così. Tanti altri fattori entrano in gioco. Considerate per esempio i dati che l’Istat ha appena pubblicato sulle probabilità che hanno gli italiani di vivere a lungo, in base al loro titolo di studio. Sono numeri che fa impressione guardare. Nel 2012 era in vita il 93,7% degli uomini privi di titolo di studio o con la sola licenza elementare fra quelli nati esattamente 50 anni prima, nel 1962. Quanto agli uomini della stessa età con la laurea, ne erano rimasti vivi ben il 97,7%. Fra i laureati ne erano sopravvissuti quattro in più ogni cento. Sempre nel 2012 le probabilità di decesso dei cinquantenni senza titolo di studio o con il solo diploma delle elementari erano del 5 per mille, quelle dei laureati di poco più dell’uno per mille. La speranza di vita dei primi era di quattro anni più corta dei secondi.
Benessere collettivo.
L’elenco potrebbe continuare. E certo non è detto che sia semplicemente il titolo di studio a determinare differenze così grandi nella capacità individuale di sopravvivenza degli italiani. Questo è solo un sintomo della condizione sociale di ciascuno. Ma se riuscissimo a discutere un po’ di più su questi fattori così decisivi per il nostro futuro, forse sarebbe un po’ come se come Paese avessimo raggiunto finalmente una sorta di diploma di laurea collettivo. Uno di quelli che apre le porte a un maggiore benessere della collettività. Non è impossibile. Basta riconoscere che oggi in Italia si è diseguali in modi che non sospettavamo anche solo una generazione fa, e agire con l’obiettivo dello sviluppo umano nell’intero Paese.