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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

INTERVISTA A SIMONA VENTURA – Cose lasciate da Simona Ventura sull’isola dei famosi: dieci centimetri di giro vita, otto chili di – tiene a precisare- massa magra, qualche amico, qualche nemico, moltissime lacrime, un pettine di plastica trovato sulla spiaggia, la fame, la paura, lo sconforto, la dipendenza dal suo cellulare, la tentazione dei ritocchini, la voglia di truccarsi

INTERVISTA A SIMONA VENTURA – Cose lasciate da Simona Ventura sull’isola dei famosi: dieci centimetri di giro vita, otto chili di – tiene a precisare- massa magra, qualche amico, qualche nemico, moltissime lacrime, un pettine di plastica trovato sulla spiaggia, la fame, la paura, lo sconforto, la dipendenza dal suo cellulare, la tentazione dei ritocchini, la voglia di truccarsi. E una pelle di cobra: la sua. Cobra si era definita lei in una nostra intervista di qualche anno fa, diceva di averne la pazienza, e poi, al momento giusto, la ferocia. Si capisce che le piaceva questo gioco della donna cattiva, la ragazza di provincia che si è fatta da sola, senza padrini né padroni, che a un certo punto, fatti i figli, ha tentato l’equilibrismo di molte: tenere insieme tutto. «Ma non ci sono riuscita, ci ho rimesso un matrimonio», ammette. La sua storia professionale e personale è un ottovolante: per ogni discesa, una risalita. Il suo mantra «crederci sempre, arrendersi mai» è diventato un accessorio del suo personaggio insieme ai tacchi alti e al braccio teso in avanti con il dito puntato verso la telecamera verso quel «pubblico sovrano» che è un altro dei suoi credo. All’isola dei famosi – che ha condotto per otto edizioni – è andata «per chiudere un cerchio. Le cose che rimangono aperte non mi vanno né su né giù, e devo continuarci a fare i conti. L’Isola era un abito tagliato su di me, che poi è stato indossato da altri. Chiudere è fondamentale, in tutto, perché solo se chiudi, vai avanti. Naufragare è stato il mio modo di chiudere». L’epilogo è noto e si sintetizza in una clip: la Ventura che piange disperata a Isla Soledad e dice: «la gente mi odia». Ma se vi aspettate una donna abbattuta non avete capito niente di lei. Al nostro incontro si presenta con un completo pantalone nero, il viso struccato, i capelli perennemente tormentati dalle mani. Chiede di sedersi non su una sedia ma su una poltroncina imbottita: «ho bisogno di cose un po’ comode». Complimenti, la trovo in grande forma. «Tutti mi dicono: sei dimagrita, sei figa. Come se la magrezza fosse sinonimo di bellezza. Comunque sì, peso quanto pesavo prima di avere i figli, e anche nel mio annus horribilis, il 2004. Ho patito una fame nera, una fame che non immaginavo si potesse sentire». È stata un’esperienza utile, e non intendo per la linea? «Sì, ho capito che ne avevo bisogno. La mia vita era diventata non dico borghese, ma lineare. E io non sono una persona lineare, nella normalità non ci sto bene perché ho sempre bisogno di emozioni forti. La vita mi deve frustare. Adesso la frustata l’ho avuta, e grossa: forse mi posso tranquillizzare per un po’». Chi ha tenuto in mano la frusta? «Un tempo il televoto costava un euro, non esistevano i social network, la gente votava per sostenere non per fare a pezzi. Adesso – e io non lo sapevo – esistono gruppi organizzati sui social. Sono gli infami, che sono sempre esistiti, ma ora si nascondono dietro una tastiera e un nickname. Conosco colleghi bravissimi che se tra 200 mila commenti ne leggono 5 malevoli vanno in crisi. L’Isola mi ha aiutata anche in questo perché sono uscita dal tunnel dallo smartphone e dai social». Si è disintossicata? «All’inizio è stata durissima: quando guardavo un tramonto continuavo a pensare che fosse un peccato non poterlo fotografare e mettere su Instagram. Io e Marco Carta ci dicevamo: cazzo, ci vorrebbe il telefono e fingevamo di averlo in mano e di scattare. Poi ho iniziato a pensare che, con quelle immagini e quei colori, dovevo fare come avevo sempre fatto fino a qualche anno fa: semplicemente imprimerle nella mente e ricordarle. E così sono guarita. Da quando sono tornata non ho ancora guardato niente, non ho aperto nemmeno un social e ho deciso che toglierò le app di Facebbok e Twitter dal cellulare. Ma non solo: mi sono data e ho dato nuove regole in famiglia sull’uso del telefonino». Con due figli adolescenti non deve essere facile. «In realtà sono contenti anche loro. Prima, quando passavamo il tempo insieme, io stavo sempre con il telefono in mano. C’ero ma non c’ero. Adesso lo spengo, lo lascio in un’altra stanza. Quando siamo a tavola nessuno porta il cellulare. Di notte i telefoni stanno spenti. Sono cresciuta con un solo telefono in casa, a cui mia madre aveva messo pure il lucchetto. Che per altro io ero riuscita a scassinare con una forcina. Però era bello. Vogliamo convincerci che essere sempre connessi sia una necessità, ma non è vero. Molti miei amici hanno abbandonato gli smartphone per i vecchi telefoni che non fanno niente». L’abbiamo vista piangere in modo disperato nella settimana che ha trascorso da sola su Isla Soledad. Quale è stata la cosa che più l’ha fatta soffrire? «Non sentirmi accettata dagli altri. E non me l’aspettavo. Molti ragazzi dell’isola sono arrivati già ostili nei miei confronti e, ovviamente, non sono riuscita ad instaurare con loro nessun rapporto. Quando giovane lo ero io, mi avvicinavo alle persone più grandi con rispetto e desiderosa di imparare. Adesso molti giovani pensano che dietro la vicinanza ci sia un secondo fine. E mi dispiace tanto, perché io di ragazzi ne ho lanciati tanti, ovviamente quelli che meritavano. Sull’isola un giovane – di cui non farò mai il nome- mi ha chiesto cosa fosse la meritocrazia: non ne aveva mai sentito parlare». Ha detto di averla già provata nella vita quella sensazione disperante: quando era una ragazzina che non voleva uscire dalla sua stanza. «Sono stata una bambina e una ragazza ipersensibile: le parole degli altri mi ferivano nel profondo. Per proteggermi dal dolore stavo da sola, in camera mia dove giocavo alla maestra coi pupazzi o ballavo imitando le mosse di Raffaella Carrà. Ho vestito le Barbie fino a 12 anni. Mia mamma era preoccupata per questa mia voglia di solitudine: chiamava le mie amiche di nascosto e chiedeva se potevano passare a citofonarmi. E mi iscriveva a tutti gli sport possibili e immaginabili. Ha avuto ragione perché lo sport mi ha aiutata a creare dei rapporti, ma soprattutto a scaricare la grande rabbia che avevo dentro». Da dove veniva questa rabbia? «Non l’ho mai capito. Ma l’ho riconosciuta anche nei miei figli». Quando è guarita? «Con Miss Italia». Accidenti da chiusa in stanza a reginetta di bellezza è un bel salto. È stata la consapevolezza di essere bella ad aiutarla? «Veramente di essere bella non l’ ho mai pensato. Avevo amiche molto più belle di me, ero: Simona quella simpatica con le amiche fighe. Per questo mi invitavano dappertutto. Per un po’ ho fatto anche la modella, ma andavo bene per le cose che si facevano a Torino. Quando sono arrivata a Milano mi hanno detto che per lavorare nella moda avrei dovuto perdere 8 chili. Gli ho risposto: ciao». Il mondo della moda è crudele, ma anche la Tv non scherza. Adesso che lo ha sperimentato in prima persona vede il suo mestiere in un modo diverso? «Io per prima sono stata fautrice della crudeltà, ma credo che la mia Tv fosse diversa, che ci fosse spazio anche per veicolare messaggi positivi. Sergio Muniz è stato 46 giorni all’ultima spiaggia, da solo, e per questa sua capacità di resistere ha vinto. Questa edizione dell’Isola, da questo punto di vista, è un po’ un’occasione sprecata: ci sono persone con storie pazzesche e positive, ma non vengono fuori». La sua vulnerabilità è stata, per molti, una sorpresa «Lo immagino. Ma è stato bello per me tirarla fuori e poi rimetterla al suo posto, dentro di me. A fare questo percorso mi ha aiutato un riavvicinamento imprevisto con la fede. Non pensavo tanto a Dio, quanto a Gesù, alla sua umanità nel deserto, quando gridava a Dio: Padre perché mi hai abbandonato? Con le dovute proporzioni mi sono sentita molto vicina a lui». Perché finora ha vissuto con la corazza? «Nella mia vita non ho mai avuto protezione, né nel privato né nel lavoro, un po’ perché non è capitato, un po’ perché mia madre mi ha cresciuta nel mito dell’indipendenza. Quindi, sull’altare di questa indipendenza, ho sacrificato la mia vita personale. Le mie amiche andavano a fare il weekend in barca e io andavo a seguire Bari-Parma come giornalista sportiva. Ho lavorato come una bestia per non avere rimpianti, mi sentivo una virago, capace di gestire tutto. Ma una donna – forse a un uomo questo non succede – qualcosa sul campo di battaglia lo deve lasciare. Il prezzo che ho pagato è stata la solitudine dopo la fine del mio matrimonio, la sensazione che con l’amore io avessi chiuso. Ma quando ormai non ci credevo più, è arrivato Gerò (Gian Gerolamo Carraro, suo compagno da 5 anni, ndr). A quel punto avevo imparato la lezione: l’onnipotenza non esiste. Allora per coltivare con le dovute attenzioni questo rapporto e per stare accanto ai miei figli che stavano entrando nell’adolescenza – e non è vero che hanno più bisogno di te quando sono piccoli: ce l’hanno quando crescono – ho fatto un passo indietro nel lavoro». E quest’anno un passo avanti. «Mi sono sentita di farlo solo quando ho capito che i miei ragazzi avevano trovato una passione capace di spingerli, qualcosa in cui credere. Per Niccolò, che ha quasi 18 anni, è l’accademia di calcio. Per Giacomo, che ne ha quasi 16, il teatro. Adesso sento che posso tornare davvero». Come sono stati i suoi figli mentre era all’Isola? «Malissimo, tutti: i ragazzi, ma anche Gerò. Mi hanno vista piangere e partecipare a quella lotta nel fango con Mercedes che non è stata una bella pagina di televisione: se fossi stata io alla conduzione non sarebbe mai passata. Mia figlia Caterina è ancora molta scossa da quelle immagini violente». C’è anche stata la polemica con il suo ex marito, Stefano Bettarini, risentito dal ringraziamento al suo compagno compagno Gerò, per essersi preso cura dei suoi figli mentre era lontana. «Se volessi accendere un fuoco avrei mille fiammiferi per farlo, per sbugiardare le cose dette. Ho mangiato valangate di fango in questi anni, per i miei figli, perché li voglio tutelare. Anche se loro sanno benissimo come stanno le cose. Certo, non sanno tutto, ma se un giorno lo vorranno sapere io glielo dirò: ho tenuto tutto, ogni articolo uscito su di me, anche in quegli anni difficili della mia separazione. Sto zitta perché non voglio fare male ai ragazzi, ho tutelato loro e ho tutelato anche il padre». Non fa male aver condiviso vita e progetti con un uomo con cui non parla più? «Non fa male a me, ma mi dispiace tanto per lui, perché io sono andata oltre. Dal momento in cui ho chiuso quella porta non mi sono mai pentita della mia scelta». Non è mai stanca del fatto che la sua vita privata sia così pubblica? «Me la sono scelta questa vita, nessuno mi ha puntato la pistola. Inutile lamentarsi, fa parte del gioco. I miei ragazzi, invece, non hanno scelto di essere figli di un personaggio famoso, una condizione che si porta dietro oneri, ma anche onori. Se possono fare tante cose, se avranno più opportunità dei loro coetanei sarà anche grazie alla notorietà della loro mamma». Gerò Carraro, finora silenziosamente in disparte interviene: «Anche per me tutto questo è molto complicato, ma sono grande e ho le spalle larghe. Sono cresciuto contornato da tante persone, anche del mondo dello spettacolo: il brutto e il bello di questo circo lo conosco. Certo, con Simona, è tutta un’altra cosa. Ma ce la facciamo». Lei lo guarda: «Amore noi ce l’abbiamo già fatta». «Stefano Orfei mi ha detto che io gli ricordo gli elefanti del suo circo. Pensavo di essere un cobra e invece ha ragione lui: io sono un elefante. Perdono ma non dimentico, cado di schianto, mi rialzo ammaccata, ma poi ricomincio a camminare e non mi ferma più nessuno. Per abbattermi bisogna usare il fucile. Bum».