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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

IL RITORNO DEL PIGNOLO– [Mattia Pasini] Mattia Pasini è un maniaco dell’ordine. Per capirci, è uno di quelli che nel proprio garage controlla con il metro la distanza tra il muro e il carrello delle chiavi inglesi e degtl attrezzi

IL RITORNO DEL PIGNOLO– [Mattia Pasini] Mattia Pasini è un maniaco dell’ordine. Per capirci, è uno di quelli che nel proprio garage controlla con il metro la distanza tra il muro e il carrello delle chiavi inglesi e degtl attrezzi. Pulizia e ordine lo tranquillizzano. «Sono paranoico, altroché. Per me la precisione è un elemento fondamentale, sia nella quotidianità che nelle corse: mi trasmette tranquillità» mi spiega mentre si aggira col piglio di un ingegnere della Nasa per il suo regno privato dove sono sistemate in ordine perfetto un kart, alcune super motard, una Yamaha R6, una Lancia Delta Integrale da 600cv, carene, tute e caschi. «Se c’è qualcosa in disordine non riesco a togliermelo dalla testa. Quando sai che una cosa è a posto, non ci devi pensare più. Quando è fuori posto, il pensiero mi tormenta. Credo che questa caratteristica mi aiuti a tirare fuori il meglio». Noi di Riders siamo i primi a entrare nell’angolo più privato del suo mondo, dove Mattia passa più tempo che può. «Per me la moto è più di una passione, è la mia vita» racconta. «Se ai ragazzi piace uscire, io amo venire nel capannone e mettere a posto le moto. Ai sabato sera in discoteca preferisco i sabato pomeriggio sulla moto cross». L’ultimo anno per Mattia è stato psicologicamente travagliato, visto che, dopo una serie di stagioni che sarebbe un eufemismo definire travagliate, l’anno scorso ha deciso di saltare un giro e non correre. Questa stagione sarà un nuovo inizio, ma in una categoria, la Moto2, che conosce molto bene. Come bene conosce il patron del team di cui sarà portabandiera, la Italtrans Racing di Germano Bellina. Con Mattia Pasini abbiamo chiaccherato di cadute e risalite. E di un amico che non c’è più, Marco Simoncelli. Restare fermo un anno o ricominciare: cos’è più difficile? «Stare a casa mi ha fatto capire che ho ancora tanto da dare. Non ho mollato in situazioni ben più difficili di queste. Ma azzardare ha dato i suoi frutti: saltare un giro alla fine è stata la scelta corretta. O correvo nella maniera giusta o non correvo affatto. È successa la seconda cosa. Negli ultimi quattro anni ero continuamente passato dalla padella alla brace senza mai riuscire ad esprimere il mio potenziale. Una condizione che mi aveva tolto lo spirito mentale giusto. Decidere di fermarmi un giro è stato un bel rospo da mandare giù, ho passato momenti difficili». Di sicuro non sarai rimasto a casa a girarti i pollici. «Quest’anno a casa mi ha dato la possibilità di ricaricarmi e di ritrovare stimoli. Qualche offerta l’anno scorso mi era arrivata, ma non era all’altezza delle aspettative. Mi ero ripromesso che se fossi tornato a correre, l’avrei fatto solo per esprimermi al meglio. Se in una stagione non puoi fare test, non hai materiale e ti tolgono la squadra che lavora con te da tanti anni per darla al tuo compagno di squadra solo perché in quel momento non credono in te, alla fine non lavori più. Stare a casa mi è servito a capire che quello che mi aveva stancato non erano le moto, non erano le corse, ma le situazioni sbagliate in cui ero finito». Rifaresti tutte le scelte che hai fatto nella tua carriera? «Potrei dire che non farei quelle sbagliate, ma sarebbe ipocrita. Se non avessi fatto tutto, anche gli errori, non sarei qui. Quindi sì, rifarei tutto. Oggi quando non arrivano i risultati, il primo a essere messo sul banco d’accusa è il pilota. Questo a causa delle persone che gestiscono questo mondo, gente che ha poca cultura motociclistica e sportiva. Se dopo un solo test perdi la fiducia nel tuo pilota, sei partito con il piede sbagliato. Perché le ciambelle escano con il buco, bisogna prima provare a farne tre o quattro. Solo così arrivano i risultati. Se guardi bene, i team che hanno vinto i mondiali negli ultimi dieci anni nelle tre categorie, sono squadre dove è presente un ex pilota o un personaggio sportivo importante. Perché sanno come funziona questo sport». Italtrans racing è la squadra giusta, insomma. «Li conosco da tanto tempo, soprattutto Germano, il proprietario. Nel 2010, quando il caro e vecchio Gianluca Montiron mi ha fatto il regalo di lasciarmi a piedi perché era un po’ fuori budget, Germano mi diede la possibilità di fare qualche test. Quello è stato uno dei miei migliori periodi di Moto2, mi sentivo davvero molto competitivo. Germano e sua moglie Laura hanno come priorità quella di mettermi nella condizione migliore per potermi esprimere. E accanto ho tutti i migliori tecnici con cui ho lavorato: Giovanni Sandi, il capotecnico con cui ho fatto il 2008 sull’Aprilia ufficiale mondiale, il telemetrista Mario Martini, mio capotecnico per tutti gli anni della 125, uno che conosce davvero bene il mio modo di guidare e di lavorare. È importante avere vicine persone che mi sappiano interpretare, sia quando le cose vanno bene che quando vanno male. Perché è facile essere sereni quando tutto va bene, ma è decisamente più difficile quando le cose si mettono male. Ricominciare con questo team non è come entrare in una casa nuova, ma è un po’ come tornare in quella in cui sei cresciuto. Credo che saremo davvero una squadra molto molto forte. Saremo un po’ una mosca bianca insieme a pochi altri. L’obiettivo principale è fare bene le corse, non fare il circo. Sai com’è, sono romagnolo, per noi è molto importante avere attorno persone che fanno le cose con il cuore». Se ti guardi indietro cosa vedi? «Analizzando la mia carriera, credo di aver fatto tanti sbagli di gioventù. Poi ho imparato a capire dagli errori, solo che nel momento in cui volevo dare la svolta è sempre successo qualcosa che ha mandato all’aria tutto. Nel 2005 mi sono giocato il mondiale perché ho fatto troppi errori. Nel 2006 sono stato molto veloce, ma a casa degli spagnoli non stavo bene. Nel 2007 la moto si è rotta spesso, in quel frangente ho il rimpianto di non essere diventato campione del mondo perché quell’anno mi sentivo molto forte: quattro vittorie, tre podi, 11 pole su 16, ma anche sei rotture, cinque delle quali mentre ero in testa. Nel 2008 ho avuto tutto da subito: squadra bellissima, moto giusta, ho fatto i km di test che andavano fatti, infatti ci siamo presentati alla prima gara e l’abbiamo vinta e siamo stati in testa al mondiale fino a Barcellona. Tutto andava nel verso giusto, ma sono cominciati i problemi di sponsor. Sono andato in confusione e mi sono trovato in Giappone, terzo nel mondiale, senza moto, senza team, a piedi. Sono finito da Toth, una formazione più piccola, ma molto forte. Però neanche Toth aveva i soldi per supportare la stagione, spesso non giravo il venerdì, e queste cose ti stressano. Da lì è degenerato tutto: ho fatto una migrazione disperata nelle ultime quattro gare spostandomi nel team CaffèLatte. L’ansia di non sapere cosa sarebbe successo domani ha contribuito a farmi fare errori e questa cosa si è ripercossa negli anni successivi. Un po’ come quando inciampi nel primo scalino di una rampa di scale e cadi senza fermarti fino in fondo: ecco, in un certo senso è successo che ho inciampato nel primo ostacolo della mia carriera e da lì è stata una catena, finché l’anno scorso sono atterrato sul pianerottolo. Da oggi comincio una nuova rampa di scale, se sarà in salita o in discesa lo vedremo». Che pilota è oggi Mattia Pasini? «Mi sento più forte che mai, pronto a mettermi in discussione, a lavorare. Devo solo pensare a dare più gas possibile, a dare il massimo ad ogni gara. Sono Pasini 2.0: più maturo, ho imparato a essere più concreto. Stare a casa mi ha dato modo di riflettere sugli errori. Sono psicologicamente carico e ho sistemato alcuni problemi fisici che, finché non ti fermi, non sistemi». Oggi è il 20 gennaio, una data particolare. «Già, oggi sarebbe il compleanno del Sic. La fortuna o il caso. Io non ci credo poi tanto, al caso. Le cose succedono perché devono succedere. Il Sic lo ricordo più come persona che come pilota. Ho in mente quando andavamo a mangiare insieme o a festeggiare il compleanno in montagna, le gare di minimoto... Il Sic mi manca nella quotidianità. E anche in pista, era uno bello tosto. È stato uno dei miei più grandi avversari, ma anche quello che mi ha portato più rispetto. Siamo cresciuti insieme, abbiamo cominciato con le minimoto. Da quando avevamo dieci anni fino ai 15 giravamo tutti i giorni sulla pista di Cattolica. È come conoscere il tuo miglior avversario. Mi manca farci due risate, farci due traversi in zona industriale con la macchina. Quello era Marco. Quello vero, dico».