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 2016  febbraio 15 Lunedì calendario

CREDITI TOSSICI, DERIVATI, “COCOS” NELLE BANCHE UN MIX DIABOLICO E LA PAURA DI UNA LEHMAN EUROPEA

I recenti crolli di borsa sono stati acuiti da una debacle del settore bancario a livello internazionale. Vari aspetti hanno contribuito alla crisi. 1) Le dimensioni dei bilanci bancari rispetto al Pil del paese. Le grandi banche internazionali europee non sono solo too big to fail per la loro importanza sistemica, ma too big to save, troppo grandi per essere salvate dallo Stato, specialmente quando le finanze pubbliche sono a loro volta fragili e appesantite da un eccessivo debito pubblico. La mancata (o ancora embrionale) condivisione dei rischi sistemici a livello europeo (che metterebbe le banche sullo stesso piano di quelle americane) funziona pertanto da amplificatore dei tremori di borsa. 2) L’eccessiva leva finanziaria. Dopo la crisi bancaria del 2007-08, che ha rivelato tutti i limiti del modello di valutazione dei rischi di Basilea 2, fondato sul concetto di risk-weighted asset (attivo pesato per il rischio di credito), le autorità hanno iniziato a guardare con attenzione al rapporto di leva finanziaria (attivo/passivo, o capitale/attivo non pesato per il rischio), talvolta introducendo (o minacciando) limiti a questo valore. Una rapporto di leva di 25 implica che una variazione del 4% degli attivi di una banca possa di fatto azzerare il capitale, portando la banca sull’orlo del fallimento. Molte banche europee, specie quelle sotto pressione in queste ore, eccedevano ampiamente una leva di 25. Questa fragilità di fondo viene amplificata se negli attivi bancari è presente una gran quantità di strumenti derivati o di titoli strutturati, e può essere in parte mitigata se la banca emette nuovi strumenti di capitale. 3) L’impatto dei derivati e degli strutturati sugli attivi bancari. La solidità di un attivo bancario non è data solo dalla sua dimensione, ma anche dalla qualità della sua composizione. Se l’attivo è infarcito di contratti derivati e titoli strutturati, la situazione è molto peggiore che se fosse costituito da credito finalizzato ad attività produttive. Il valore di un contratto derivato dipende dall’andamento di un sottostante (per esempio il prezzo del petrolio o di altre attività finanziarie), ma tende ad amplificarne le oscillazioni, spesso per via dell’opzionalità in esso contenuta. Il valore di tutti i contratti derivati (il cosiddetto nozionale) che dipendono da un certo sottostante può crescere vertiginosamente (per esempio: si possono fare migliaia di scommesse sulla perfomance di un singolo cavallo). E tuttavia, se il prezzo del sottostante collassa, anche il valore dei derivati da esso dipendente può collassare in maniera amplificata. Per i titoli strutturati vale un discorso analogo, visto che il loro valore dipende dall’andamento delle attività da cui originano, con un’aggravante: Basilea 2 permette alle banche di prezzarli tramite l’uso di modelli di valutazione interni; così le banche possono essere tentate di continuare a prezzare 100 titoli che in realtà valgono 30 contribuendo a gonfiare il valore dell’attivo. Pertanto, quando l’attivo è infarcito di derivati e strutturati, quella piccola variazione che può portare all’azzeramento del capitale di cui dicevamo è molto più facile. 4) I nuovi strumenti di capitale, Co-Cos & Co. Se la qualità dell’attivo lascia a desiderare, le banche possono fronteggiare possibili perdite tramite il capitale. Il problema è che accumulare capitale con buona capacità di assorbimento delle perdite (tipicamente le azioni) è costoso perchè rischioso, in un mondo in cui piccole variazioni dell’attivo possono azzerarlo. Pertanto, la regolazione ha permesso alle banche di emettere strumenti ibridi di capitale, che si comportano come titoli di debito (con una cedola alta per attrarre l’investitore) quando le cose vanno bene, ma si trasformano in azioni quando le cose vanno male. I più celebri sono i contingent convertible bond (CoCos). Il problema è che la loro reale capacità di assorbimento delle perdite è tutta da testare, considerando che il loro valore tende a calare rapidamente man mano che l’evento creditizio che li trasformerà in azioni si avvicina. 5) Le regole del bail-in. Sapendo che anche i nuovi strumenti di capitale potrebbero non bastare ad assorbire le perdite, i regolatori hanno stabilito che anche i sottoscrittori di titoli di debito (e non di capitale) della bancasiano soggetti a perdite. Quando l’azzeramento del capitale azionario e ibrido non fosse sufficiente, i detentori di junior bond (i famosi subordinati delle 4 banche italiane “risolte”) sarebbero chiamati a contribuire prima dei detentori di titoli con più alta seniority e dei correntisti. Sulla base di tutto questo, si capiscono i tremori del settore bancario delle ultime settimane: quando la solidità di banche troppo grandi per essere salvate, con attivi infarciti di titoli opachi o rischiosi e capitale dalla dubbia capacità di assorbimento delle perdite, è scossa dai colpi di una macroeconomia vacillante, il timore di eventi creditizi di ampia portata o di un coinvolgimento nel salvataggio (diretto o indiretto) di questi colossi amplifica le oscillazioni di borsa e pertanto la volatilità del sistema, così contribuendo ad alimentare i rischi macroeconomici all’origine dell’instabilità, in una spirale perversa che solo policymaker tempestivi e lungimiranti possono provare a controllare. New York, 16 settembre 2008: con il fallimento della Shearson Lehman comincia la grande crisi finanziaria. Nella foto, gli impiegati che hanno perso il posto
Brunello Rosa, Affari&Finanza – la Repubblica 15/2/2016