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 2016  febbraio 15 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA GUERRA IN SIRIA


REPUBBLICA.IT
ROMA - E’ salito ad almeno 50 morti il bilancio provvisorio di raid aerei su due scuole e cinque ospedali nel nord della Siria. Lo ha annunciato il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che "è profondamente preoccupato dalle notizie di attacchi missilitici su almeno cinque strutture mediche e due scuole tra Aleppo e Idlib, che hanno ucciso quasi 50 civili, inclusi bambini", ha riferito Farhan Haq. Ban ki-moon, ha aggiunto il portavoce, considera simili attacchi aerei "palesi violazioni delle leggi internazionali".

Tra gli ospedali colpiti, anche una struttura di Medici senza Frontiere (Msf) a Maarrat al Numan, nella di Idlib, in Siria, a 280 chilometri a nord di Damasco. Secondo la stessa organizzazione, la clinica è stata colpita da quattro missili a distanza di qualche minuto uno dall’altro. Secondo Msf, i morti accertati sono cinque pazienti, un membro del personale e una guardia. Gli otto che si ritengono morti sono tutti membri del personale medico e paramedico. Ci sono ancora diversi pazienti dispersi, anche se non se ne conosce il numero preciso. Tra le vittime c’è anche un bambino. “Sembra essere un attacco deliberato contro la struttura sanitaria e lo condanniamo con la maggior forza possibile” ha detto Massimiliano Rebaudengo, capo missione di Msf. “La distruzione di questo ospedale lascia una popolazione di circa 40.000 persone senza accesso ai servizi sanitari in una zona in pieno conflitto".

A Damasco arriverà in serata, a sorpresa, l’inviato di pace delle Nazioni Unite Staffan De Mistura, mentre prosegue lo sforzo delle potenze mondiali per arrivare a un cessate il fuoco. Lo ha riferito una fonte governativa, a condizione dell’anonimato. De Mistura, secondo la fonte, dovrebbe incontrare il giorno successivo al suo arrivo il ministro degli Esteri, Walid al Muallem.

Scambio di accuse. Sarebbe stato un missile balistico russo a colpire l’ospedale e la scuola, ha detto il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, parlando durante la sua visita in Ucraina. Secondo Davutoglu, Mosca e le milizie curde Ypg hanno chiuso il confine umanitario a nord di Aleppo e l’obiettivo di Mosca è quello di abbandonare la comunità internazionale con solo due opzioni: o il presidente Bashar Assad o lo Stato islamico. La Russia, per il premier turco, si comporta in Siria "come un’organizzazione terrorista, costringendo i civili a fuggire". Se continuerà, ha assicurato, "daremo una risposta estremamente decisiva".

A confermare, però, un coinvolgimento russo è stato anche l’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha parlato di raid "verosimilmente russi". Mosca ha negato ogni accusa e, anzi, ha parlato di "un nuovo capitolo dell’esercizio di propaganda in corso". L’ambasciatore siriano in Russia, Riyad Haddad, sostiene che siano stati dei jet Usa a colpire una clinica di Medici senza Frontiere (Msf) nella provincia siriana di Idlib, e non "le forze aeree russe" che "non hanno nulla a che fare con questo". Lo riportano Interfax e Tass.

E gli Usa, a loro volta, attribuiscono i bombardamenti a Bashar al Assad. "Il fatto che il regime e i suoi supporter continuino questi attacchi, senza motivo e senza sufficiente riguardo per gli obblighi internazionali di preservare le vite civili, è uno schiaffo alle richieste unanimi da parte dell’International Syria Support Group, compresi quelli di Monaco, di evitare attacchi contro ci civili e pone dubbi sulla volontà e/o la capacità della Russia di aiutare a portare alla fine la continuata brutalità del regime di Assad contro il suo stesso popolo".

Quanto accaduto oggi a Maarat al Numan, "è assolutamente inaccettabile", ha detto in conferenza stampa a Bruxelles al termine del Consiglio Affari Esteri, l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri Federica Mogherini.

Siria: raid aerei su un ospedale sostenuto da Msf, decine di vittime
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Re-Inchieste La guerra contro gli ospedali

Ucciso volontario della Caritas. Nella città di Aleppo Caritas Internationalis riferisce che è stato ucciso un volontario di 22 anni di Caritas Siria, Elias Abiad. L’uccisione - riferisce Caritas in un tweet - risale al 13 febbraio. Già in passato in questo Paese sono stati uccisi altri volontari laici operatori della Chiesa locale nel campo umanitario.

La reazione turca. La Turchia "non permetterà la caduta di Azaz" nel nord della Siria nelle mani delle milizie curdo-siriane dell’Ypg, ha detto Davutoglu. L’avanzata delle milizie curdo-arabe nel nord della Siria preoccupa la Turchia, che da tre giorni ne bombarda le postazioni nella cittadina nella provincia di Aleppo. "Elementi dell’Ypg sono stati allontanati dall’area intorno ad Azaz. Se si avvicineranno di nuovo affronteranno la più dura reazione" della Turchia, ha assicurato Davutoglu. E per il terzo giorno consecutivo l’artiglieria turca sta bombardando postazioni curde, ha confermato il portavoce del ministero degli Esteri di Ankara, Tanju Bilgic: "Come effetto del fuoco di artiglieria e degli attacchi dalla Siria verso il nostro Paese a partire da sabato, abbiamo agito secondo le nostre regole d’ingaggio. Sabato, domenica e oggi, abbiamo risposto nell’ambito delle nostre regole d’ingaggio" alle milizie curdo-siriane dell’Ypg.

Reptv Scuto: Mosca e Teheran non vogliono testimoni

Intanto, però, la Turchia smentisce che il suo esercito sia entrato nel territorio siriano, come denunciato ieri da Damasco. Lo ha detto stamani in Parlamento il ministro della Difesa di Ankara, Ismet Yilmaz. Ieri il ministero degli Esteri siriano aveva inviato al segretario generale dell’Onu e alla presidenza del Consiglio di sicurezza una lettera in cui accusava la Turchia di aver sconfinato con "12 pickup armati e circa 100 militari nei pressi del valico di Bab al-Salameh, vicino all’aerea di Azaz colpita dall’artiglieria di Ankara".

Russia: "Raid andranno avanti anche con cessate il fuoco". La Russia, comunque, non intende interrompere i raid aerei "contro i terroristi" anche nella provincia di Aleppo nonostante l’accordo di cessare il fuoco in Siria. Il vice ministro degli Esteri russo Gennadi Gatilov ha spiegato: "Noi combattiamo contro gruppi terroristici, Is, al Nusra e altri, legati ad al-Qaeda. I bombardamenti su obiettivi dei gruppi terroristici continueranno in ogni caso, anche se si arriverà a un accordo per il cessate il fuoco in Siria". "Il succo della questione sta nel fatto che il cessate il fuoco riguarderà coloro che sono davvero interessati all’avvio del processo di dialogo e non i terroristi", ha detto Gatilov, secondo il quale la Siria cadrebbe come Stato se il presidente Bashar Assad dovesse dimettersi oggi: "Se dovesse andare via adesso, la Siria collasserebbe come Stato. Sembra che anche gli americani la vedano così oggi".

Secondo la Gran Bretagna "sono i russi a poter far funzionare la cessazione delle ostilità, se vogliono, ridimensionando i bombardamenti e dirigendoli verso i veri terroristi invece che continuare a bombardare l’opposizione moderata. Ma se i russi pensano che l’opposizione moderata può deporre le armi mentre continuano a bombardarli, si sbagliano", ha dichiarato il ministro britannico, Philip Hammond.

Rapporti sempre più tesi. A rappresentare "un considerevole ostacolo" alla creazione di un fronte unico per la lotta al terrorismo in Siria potrebbero, però, essere i complicati rapporti di Mosca con la Turchia, ha detto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov. Il bombardamento del territorio siriano da parte di Ankara, secondo il Cremlino, equivale a "un manifesto sostegno al terrorismo internazionale e alla violazione delle risoluzioni del consiglio di sicurezza dell’Onu". Per il ministero degli Esteri russo "la Turchia continua a favorire la penetrazione illegale di forze fresche jihadiste e mercenari armati in Siria".

Nato esclude truppe di terra. "Escludo per ora che la Nato invii truppe di terra in Siria": in un’intervista alla Bild il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che "tutti gli Stati della Nato sono pronti a combattere Is. Inoltre l’Alleanza supporta Tunisia, Giordania e Iraq nella costruzione di strutture militari". "Le dichiarazioni di Assad mostrano che non sarà facile portare le armi a tacere", afferma poi in un altro passaggio, a proposito delle intenzioni manifestate dal leader siriano, che ha detto di voler "recuperare tutto il Paese" all’indomani dell’accordo sulla cessazione delle ostilità. "Ma il comportamento di Assad dimostra anche che noi dobbiamo continuare a tentare - ha concluso Stoltenberg - altrimenti morti e violenza andranno avanti".

Corridoi umanitari. Spera che il Consiglio dei ministri degli esteri europei che si riunisce oggi a Bruxelles sia "l’occasione per un impegno comune dell’Europa a sostegno delle intese, sia pure parziali, che sono state raggiunte a Monaco sulla Siria" il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni. E "naturalmente - ha spiegato il ministro - il nostro auspicio è che i primi risultati di quelle intese, soprattutto per quanto riguarda l’apertura di corridoi umanitari, possano essere raggiunti già oggi con il via libera da parte del regime alle richieste avanzate" nel fine settimana.

ALBERTO STABILE
BEIRUT – La possibile vittoria dell’esercito siriano, sostenuto dall’aviazione russa e dalle milizie sciite agli ordini di Teheran, nella battaglia di Aleppo, ha gettato nel marasma quei giocatori che avevano puntato tutto sulla sconfitta del regime siriano e sulla conseguente cacciata di Bashar el Assad, vale a dire Turchia e Arabia Saudita, unitamente agli emirati del Golfo, dietro cui fa capolino l’ombra incerta di Barak Obama, la cui riluttanza a lasciarsi risucchiare dalla palude mediorientale, potrebbe alla fine avergli guadagnato qualche riconoscimento dalla storia.
La Turchia. La scena che fotografa meglio lo stato confusionale in cui si dibatte la leadership di Ankara, è quella che ritrae il premier Davutoglu in visita ufficiale a Kiev, una tribuna ideale per sparare a palle incatenate contro la Russia di Putin, lanciare un avvertimento contro i curdi-siriani del YPG che hanno in sostanza messo sotto il loro controllo i quasi mille chilometri di frontiera che separano la Siria dalla Turchia e mandare un avvertimento alle stesse forze curde le quali, se oseranno avvicinarsi alla città siriana di Azaz continueranno ad essere spietatamente bombardati come succede da tre giorni a questa parte. Senza tener conto che gli stessi curdi del YPG godono della fiducia e degli aiuti degli Stati Uniti.
Ora, in base a quale norma del diritto internazionale Ankara può decidere di colpire il territorio di un altro paese dove si muovono quelli che unilateralmente considera dei nemici? “In base alle nostre regole d’ingaggio”, ha in sostanza risposto Davutoglu, cioè in base a quello che la Turchia, ancora unilateralmente, valuta come una situazione di pericolo per fronteggiare la quale prevede di poter usare la forza.
Visto che c’era, il premier turco, ha approfitto dell’ospitalità ucraina per accusare la Russia di aver lanciato dei missili balistici contro un ospedale e una scuola di Azaz dove avevano trovato asilo dei profughi in fuga da Aleppo. “Ci sono stati molti morti, tra cui bambini”, ha denunciato Davutoglu.
Però la sua preoccupazione è anche strategica oltre che umanitaria. Azaz è al centro della cosiddetta autostrada della Jihad, la via di approvvigionamento e di comunicazione lungo la quale sono passati i rinforzi e le armi provenienti dalla Turchia e destinate ai ribelli, i feriti diretti negli ospedali turchi, i jihadisti con passaporto europeo in cerca di avventure, i difensori dei diritti umani e persino i media che, fino a quando lo Stato Islamico non ha deciso diversamente, erano benvenuti.
La svolta nella scontro tra il fronte pro Assad, costituito dall’esercito siriano spalleggiato dalle milizie sciite irachene, iraniane e dagli Hezbollah libanesi, con il sostegno dell’aviazione russa, e i ribelli, che grazie al corridoio di Azaz avevano mantenuto il controllo sulla metà Occidentale di Aleppo, la capitale economica della Siria, si è avuta quando le forze fedeli al regime hanno tagliato il corridoio, bloccando i rifornimenti ai ribelli provenienti dal Nord. Nel frattempo con una manovra convergente, i curdi delle Unità di protezione popolare (YPG) sotto l’ombrello delle cosiddette Forze democratiche siriane, benedetto dagli Stati Uniti, sono avanzate da est sigillando quasi tutto il nord del paese.
Così, mentre Davutoglu si scagliava contro la Russia, Assad e i curdi, un portavoce del ministero degli Esteri turco se la prende con il dipartimento di Stato americano che in una dichiarazione ha messo sullo stesso piano la Turchia e quelli che Ankara considera dei “terroristi”, peggiori dello Stato Islamico, cioè i curdi del YPG visti come un’estensione del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, contro le cui mire indipendentiste Ankara combatte una guerra trentennale.
Non crede il presidente Erdogan che la sua strategia tutta basata sulla estromissione di Bashar el Assad dal potere rischi alla fine di portare all’isolamento della Turchia, costretta oggi a fronteggiare una lunga lista di nemici e avversari, tra cui alcuni essenziali come Russia e Stati Uniti?
Arabia Saudita – Certo, c’è sempre l’Arabia Saudita. E’ vero, Ryad non è stata meno intransigente di Ankara nel chiedere la testa del Rais siriano. Ed oggi, come Erdogan, anche re Salman, e il suo aggressivo figlio, nonché vice erede al trono e ministro della Difesa, Mohammed bin Salman, sembra pronto alla resa dei conti finale che potrebbe includere l’intervento nello scacchiare siriano di truppe di terra saudite, turche e sunnite.
Ma anche qui, grande è la confusione sotto il cielo. E anche se niente si può escludere in principio, la minaccia di un’invasione, che i russi contrasterebbero immediatamente, e gli americani di sicuro scoraggerebbero sembra appartenere al repertorio della guerra di parole.
Proprio ieri la corona saudita ha dato il via alle più grandi manovre militari nella storia del reame petrolifero al confine con il Kuwait. Esercitazioni che si ripromettono di mostrare come la potenza sunnita per eccellenza è in grado di mobilitare un esercito di 300.000 uomini, 20.000 carri armati, 2000 aerei da combattimento forniti da un’alleanza di una quindicina di paesi, che più o meno ricalca quella messa insieme per condurre la guerra in Yemen contro gli Uthy, una tribù sciita accusata, senza prove, di rappresentare una sorta di longa manus iraniana al confine con il regno di Saud.
Una guerra da cui re Salman non sembra in grado di tirarsi via e nella quale resta tutta da dimostrare la capacità saudita di esercitare la leadership militare, contro voci sempre più insistenti di ricorso a truppe straniere, mercenarie. E soprattutto, un conflitto che presenta lo stesso quadro di atrocità, sebbene su scala ridotta, della guerra siriana, dove la popolazione civile non è minacciata dai barili bomba, come ad Aleppo, ma, secondo Human Rights Watch, dalle bombe a grappolo di fabbricazione americana e dove gli ospedali vengono colpiti e i civili in fuga dalle varie artiglierie rischiano di morire di fame e di sete.
Nei giorni scorsi, davanti all’infittirsi delle voci di un possibile intervento di terra turco-saudita Damasco ha risposto che chiunque si fosse lanciato in una simile avventura sarebbe tornato indietro in una cassa di legno. Stesso tono definitivo nei commenti iraniani. Ryad ha spiegato che s’era trattato di un’ipotesi discussa in una riunione della Coalizione contro lo Stato Islamico, guidata dagli Stati Uniti, e che dunque agli Stati Uniti spetta stabilire tempi e modi di un eventuale intervento di terra, si direbbe, diretto contro l’Isis. Ed ecco che si rivede il Califfato, il grande pretesto di tutte le battaglie e di tutti gli interventi. Se non ci fosse bisognerebbe inventarselo.