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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

UN PROBLEMA DA UN MILIARDO DI DOLLARI AL GIORNO

È un problema da un miliardo di dollari al giorno, o poco di più. È il problema, per la precisione. Quello che ha il potere di fare o disfare la crescita dell’economia globale nei prossimi due anni, di determinare il futuro di decine di milioni di posti di lavoro, il prezzo del petrolio, e probabilmente la tenuta dell’area euro.
Attorno a quel miliardo di dollari al giorno la posta è altissima, ma parlarne non è mai stato tanto difficile come oggi. Un miliardo, o poco più, è il deflusso netto di capitali dalla Cina ogni ventiquattro ore nell’ultimo anno e mezzo (i dati ufficiali sono aggiornati all’autunno del 2015). Dal marzo del 2014 la seconda economia più grande del mondo si è dissanguata di qualcosa equivalente a 657 miliardi di dollari, secondo le stime di Société Générale. Passabilmente ricchi imprenditori di Pechino hanno portato a Singapore o a Hong Kong i loro averi in una valigia. Corrottissimi funzionari di polizia hanno mandato i figli a studiare a Londra, e attraverso di loro, hanno comprano un appartamento a Mayfair o a Canary Wharf. Piccoli e grandi commercianti gonfiano le fatture in modo da far filtrare sempre nuove somme fuori dalla Repubblica popolare, ancora schermata da deboli controlli sui capitali.
Lo fanno, perché non si fidano. Alcuni sanno di aver rubato le somme in loro possesso e vogliono nasconderle lontano; altri non sono certi che valgano fino in fondo i diritti di proprietà garantiti dai tribunali di un sistema dittatoriale in cui lo Stato è presente ovunque nella vita economica; altri ancora trovano che i tassi d’interesse artificialmente soppressi e l’andamento da bisca del malaffare della Borsa di Shanghai giustifichino la ricerca di rendimenti maggiori o più sicuri all’estero; i più sofisticati infine hanno capito che lo yuan, la moneta cinese, è destinato a svalutarsi ancora di più perché il Paese non riesce più a competere con le altre economie emergenti. Magari vogliono restituire i debiti contratti all’estero in dollari prima che la valuta americana diventi troppo onerosa per loro.

Riserve valutarie. La grande storia della Cina dunque oggi è finanziaria, non produttiva. Quest’ultima è lo sfondo sul quale s’innesta una delle più grandi fughe di capitali della storia dell’umanità. L’eccesso di investimenti nelle infrastrutture, nell’acciaio o nei pannelli solari non mascherano più queste fragilità. Al contrario le alimentano, a causa del debito che hanno generato: dal 2008 le imprese cinesi hanno assunto oneri pari a diecimila miliardi di dollari, circa tre volte le attuali riserve valutarie del Paese.
È una vicenda lontana, ma riguarda direttamente il resto del mondo, l’Europa e l’Italia. Ci tocca perché se la grande emorragia finanziaria dalla Repubblica popolare continuasse a questi ritmi, tra sei o nove mesi la banca centrale di Pechino non sarebbe più in grado di governarla come ha fatto fino ad ora. La People’s Bank of China ha visto le sue riserve cadere di 663 miliardi di dollari dal picco di metà del 2014, per aver speso gran parte di questa somma in interventi sul mercato a sostegno dello yuan per compensare l’effetto della fuoriuscita di capitali privati. La Cina dispone ancora di circa 3.300 miliardi in riserve valutarie ma se continua a bruciarle al ritmo attuale – secondo Société Générale – al massimo tra nove mesi dovrà cedere e permettere al cambio di cadere bruscamente.
La tempesta sui mercati globali dell’agosto scorso, seguita alla piccola svalutazione dello yuan, dà solo il senso dell’effetto che avrebbe nel resto mondo un vero crollo della valuta di Pechino. Porterebbe giù con sé tutte le monete emergenti, i prezzi delle materie prime e almeno i titoli in Borsa delle banche e dei grandi gruppi dell’energia, o dei metalli. La Cina esporterebbe nel resto del mondo una potente ondata di deflazione, che metterebbe ancora una volta alla prova la tenuta dell’Italia e dell’area euro indebolite dalla recessione.
Per questo quel miliardo di dollari che continua a uscire dalla Repubblica popolare ogni giorno è la sabbia in una clessidra che conta il tempo prima di un’esplosione. Le autorità di Pechino devono rovesciarla, prima che scivoli tutta dalla parte sbagliata.