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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

IO, ZALONE DELLA POLITICA

L’aspetto fisico di Michele Emiliano, vigoroso gigante di un metro e 90 per 120 chili di peso, invita subito alla cordialità e ad apprezzare quell’esuberanza meridionale che, insieme alla bonarietà di modi, fa intravedere raramente l’uomo di potere. Così bisogna rimanere molto vigili per non essere avvolti e convinti da un fiume di parole, di progetti, di giudizi necessariamente di parte e anche di ragioni da vendere. Come non stare, infatti, con chi non vuole le trivelle nell’Adriatico e un gasdotto che ucciderebbe le più belle spiagge della Puglia? Come non parteggiare con l’ex pubblico ministero che ha tramortito la mafia pugliese e che continua a battersi per la legalità? Come non incuriosirsi per il politico del Pd che chiede subito le dimissioni di amministratori del suo stesso partito accusati di corruzione (come nel recente caso del sindaco di Brindisi, Consales), ma che resta decisamente contrario alla detenzione preventiva, specie per gli amministratori in attesa di giudizio? E soprattutto come non accorgersi che Emiliano è da tempo la voce critica più sonora e insistente sulle scelte di Renzi e del suo governo? Dalla riforma della scuola all’abbandono del Sud, alla stessa concezione della politica, il governatore della Puglia non ha lesinato riserve e obiezioni. Spesso tanto pungenti da essersi conquistato sul campo l’appellativo di anti-Renzi.
È così, Emiliano? È lei la possibile alternativa a Matteo Renzi?
«Sa chi è stato il primo a mettere in giro questa idea? Renzi stesso. Qualche mese fa, a "Porta a Porta", alla domanda su quali potessero essere i suoi avversari, fece il mio nome. Ero davanti alla tv e mi girai esterrefatto verso le persone nella stanza: "Ha detto me?"».
Perché l’avrebbe fatto?
«Perché è intelligente e sa che, senza un nemico vero, non si fa politica. Per ora ha solo tanti piccoli nemici, un numero che potrebbe ridurre con facilità se solo fosse più prudente».
Comunque è un’investitura. È pronto ad accettarla?
«Non sono neanche nella condizione di pensarci. Sono stato eletto da pochi mesi governatore della Puglia e intendo mantenere l’impegno per tutto il mandato. E poi no, non sono pronto. La responsabilità di guidare il Paese prevede un addestramento lunghissimo nelle istituzioni ed io non l’ho ancora fatto. Però vorrei poter almeno interloquire con il premier».
Chi le impedisce di parlargli?
«Lui. L’ho sostenuto alle primarie e, tutto sommato, continuo ad avere un giudizio positivo del suo governo, ma non riesco più a parlargli di persona. E accade persino che le riunioni tra governo e Regioni per trovare una soluzione al problema delle trivelle nell’Adriatico siano state fatte in segreto, per tenere fuori proprio me. Ho fatto finta di nulla ed è la prima volta che lo dico. Ma esigo rispetto».
Con queste premesse, come fa a sostenere di non essere temibile?
«Non faccio la guerra a Renzi. Non l’ho fatta quando mi ha sostituito come capolista alle Europee, e neanche quando ha cercato di evitare la mia candidatura alle Regionali. Ma non taccio sulle cose che non vanno. Al fondo ci divide un concezione diversa della politica. Il mio resta uno schema ulivista, che vuole attirare dal centro senza perdere a sinistra. C’è tanta gente a sinistra che non vota più perché non si sente rappresentata dal Pd».
È questo suo ulivismo che le fa corteggiare ostentatamente i 5stelle? Ha una maggioranza piena ma ha provato ugualmente ad attirarli nella sua giunta. Ed è stato sdegnosamente respinto. Che cosa l’attrae in loro?
«Una storia simile alla mia, fatta di contatto con la gente, di associazioni, di liste nate dal basso. Ma la mia è una vicinanza da lontano. Loro sono prigionieri di paletti che si autoinfliggono nel cuore. Pensano che il solo fatto di governare ti renda automaticamente un gaglioffo. Il giorno che vinceranno, ammesso che vincano, si ridurranno a pezzettini perché confonderanno i compromessi con i tradimenti. Un po’ come accadeva ai comunisti di una volta, soprattutto qui al Sud».
Già, lei è stato anche un militante del Pci. Sembra impossibile rispetto al resto della sua storia.
«Mah, non è che fossi comunista in senso tecnico. Era il 1981 e io guardavo al partito di Enrico Berlinguer come il luogo delle regole e del merito. Comunque ci sono stato poco, perché sono entrato in magistratura, una scelta fatta quasi per caso che è poi diventata l’ossatura della mia vita».
Magistrato per caso? La immaginavo colto da vocazione irrinunciabile. Come è andata davvero?
«Ho fatto il concorso per sfida, anche per rispondere a chi mi considerava un figlio di papà, perché facevo poco e malvolentieri l’avvocato, ma aiutavo mio padre nella sua impresa di distribuzione di bilance. Ma, dopo che ho vinto il concorso, tutto è cambiato. Pochi mesi ed ero con Rosario Livatino, poi ucciso dalla mafia, per la cui beatificazione ho avuto l’onore di essere testimone».
Anche lei quindi è stato un "giudice ragazzino", di quelli considerati incompetenti da Cossiga, allora presidente della Repubblica?
«Che però, quando decise di venire ai funerali di Stato per Livatino, non ebbe le riprese della tv. Anche con l’aiuto di Falcone e Borsellino, riuscimmo a non farle entrare in chiesa».
Il resto della sua carriera come grande inquisitore delle mafie è noto. Non ha mai pensato di passare a fare il giudice?
«Forse ho l’indole dello sbirro, ma mi trovo bene nel lavoro di indagine. Quello di chi deve giudicare non fa per me, è vicino alla divinità. Ma non è durato per sempre perché a un certo punto mi sono innamorato».
Della politica?
«Della città di Bari. Un amore covato da sempre che è esploso quando mi hanno convinto a candidarmi come sindaco. Mio padre, un nostalgico del regime fascista, ma uomo onesto e integerrimo, mi aveva sempre detto: "Mi raccomando, non ti far deviare dalla politica". Ma io ho ceduto alla seduzione della mia città».
A proposito di amori, si sa poco della sua vita affettiva.
«Vuole che parli delle mie donne? C’è mia madre, innanzitutto, che è stata una donna bellissima e che lo è tutt’ora, cattolica e progressista, mi ha sempre appoggiato e oggi è contenta del figlio che ha. C’è mia moglie, Elena, da cui sono separato da anni e da cui ho avuto tre figli straordinari, tutti con un talento diverso: dalla musica al teatro al calcio. Quando guardo il più piccolo sul campo rivedo le stesse movenze di mio padre, che fu anche un discreto giocatore professionista. E poi c’è la mia attuale compagna, anche lei di nome Elena».
Che ha da poco nominato sua portavoce alla Regione. C’è chi l’ha giudicata una scelta inopportuna e ha sparso un po’ di colore sulla stampa. Lei ha fatto spallucce.
«Non c’era molto da dire. Elena lavora con me da 11 anni e solo recentemente, con la lunga consuetudine, il nostro rapporto è diventato sentimentale. Per la carica di portavoce, era la persona migliore che avessi a disposizione. E so di aver agito bene sia dal punto di vista professionale che da quello delle regole umane».
Partito, Regione, fughe a Roma per promuovere il Sud, frequenti presenze nei dibattiti tv... Trova mai tempo libero per sé?
«Quasi niente, ma faccio lavori talmente divertenti, che pagherei per farli. Invece sono pure pagato. Però qualche libro lo leggo, qualche film lo vedo».
Per esempio?
«Ho molto amato "Ferocia" di Nicola Lagioia e mi sono goduto "Quo vado?" con Checco Zalone».
Un trionfo di baresi. Non esce mai dal recinto?
«Ogni tanto lo faccio, ma guardi che il libro di Lagioia è un affresco potente di una famiglia barese che sembra parlare anche di me e di ciò che mi circonda. Il film con Zalone è scritto e girato da una persona geniale, Gennaro Nunziante, che poi è l’uomo che mi ha convinto a fare politica».
Racconti.
«Non lo conoscevo. Sapevo solo che aveva scritto sceneggiature importanti e alcuni sketch televisivi molto divertenti. Nel 2004 si presenta in Procura e mi dice: "Lei deve fare il sindaco". È un uomo con una passione politica severissima, di quelle che sarebbe persino incompatibile con i 5Stelle. Siamo diventati amici e lui mi sorveglia, mi critica, mi incoraggia. Nei film è capace di mettere insieme grandi temi, come le questioni climatiche o i problemi del lavoro, rifilandoli a quel pubblico che non si beccherebbe mai la lezioncina del professorino di sinistra. Ma da lui sì, perché lo rispetta facendolo ridere».
A proposito di sinistra, quasi dimenticavo che lei è ancora segretario regionale del Pd. Che ne è dell’incompatibilità delle cariche?
«Incredibile, eh? Eravamo prossimi alle primarie, quando è arrivato un diktat che bloccava tutto. In attesa, dicono, di uno statuto che farà tornare a votare con le tessere anziché con le primarie, Cambiando metodo sperano forse di eleggere un segretario che sia contro di me. Non sanno che in Puglia non è possibile».