Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

SAPEVAMO FARE I “BAFFI ALLE MOSCHE” PER QUESTO CI RISPETTAVANO IN FABBRICA

Un millimetro è un millimetro. Del lavoro sapevo questo, sul finire del ’66. A ventitré anni ero, finalmente, un operaio Fiat e a quell’epoca era qualcosa. Mio padre non era contento, sapeva quanto è dura la fabbrica. Disse: figurati se ti cambio la testa, Cesare. Però ricorda il lavoro va fatto tutto, e sempre, e presto, e bene. Dopo fai quello che vuoi, la politica il sindacato, dici la tua. Ma prima il lavoro, se no ti fregano. Arrivo in officina e mi assegnano il capolavoro, una prova per capire se ero abbastanza bravo. Un pezzo in metallo, un esagono dentro un quadrato. L’esagono doveva ribaltarsi su tutti i lati e combaciare a perfezione: tolleranze, zero. Tutto con la lima, a mano. Promosso: ho cominciato a lavorare alle Ausiliarie di Grugliasco, era un’isola felice ma io non lo sapevo. Costruivamo macchinari per le linee di Togliattigrad. Con la lima dovete fare i barbis alle musche, i baffi alle mosche, dicevano gli anziani. Giravano i nostri pezzi tra le mani guardando con aria perplessa. Il massimo della gratificazione era un “vabin”, va bene, sputato da una bocca mezza storta e mezza chiusa. Ma per noi quei vabin erano qualcosa di prezioso, da portare a casa.
Poi ho fatto la tessera della Fiom. Gesto che si vedeva, perché passavano a fartela fare in officina, e poi a dare i bollini tutti i mesi. Così addio Ausiliarie. Mirafiori, Rivalta, la produzione, la bolgia della fabbrica vera Sveglia, autobus, fabbrica, autobus, dalle sette a mezzanotte a scuola, alle sei ero di nuovo in officina. A Rivalta ho imparato che i barbis alle musche si possono fare anche per impuntarsi. Montavamo l’assale anteriore del 125: tanti pezzi per turno, oppure ciao posto: “voluta lentezza”, “mancata produzione”, a casa. Spesso la linea si imbarcava, non ci arrivavano pezzi. Stavamo fermi un’ora e quando si ripartiva dovevamo recuperare. Un collega – voleva fare il carrellista – ha cominciato a preparare i bulloni necessari per montare l’assale di ora in ora anziché per tutto il giorno. A linea ferma metteva da parte i bulloni che non aveva potuto usare, poi ripartiva senza recuperare. Il capo lo ha ripreso: non hai fatto la produzione. Lui ha tirato fuori i bulloni avanzati: avrei fatto la produzione se voi mi aveste dato i pezzi. Il giorno dopo è arrivato cantando alla guida di un carrello. E tutti abbiamo cominciato a mettere via i bulloni durante le pause forzate. Di bullone in bullone abbiamo preso in mano l’organizzazione del lavoro, l’abbiamo usata per le lotte sindacali. Abbiamo vinto e abbiamo perso, abbiamo fatto i baffi a tutte le mosche che passavano in linea. Se vuoi metterti a discutere con il padrone devi essere dalla parte della ragione, fatto il lavoro puoi dire la tua. E il lavoro ben fatto era anche il nostro orgoglio. Vent’anni di fabbrica, meno di un mese di mutua. Quando ho fatto la tessera Fiom a Mirafiori ce ne erano un centinaio su 54mila operai: per individuarci, i capi non avevano certo bisogno di regolare i baffi alle mosche.


(Testo raccolto da Marco Sodano)


[Cesare Cosi, assunto alla Fiat come aggiustatore attrezzista nel 1967]