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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - PRIMARIE DEL NEW HAMPSHIRE


REPUBBLICA.IT
MANCHESTER (New Hampshire) - Vincono i due outsider, Bernie Sanders a sinistra e Donald Trump a destra. Si rilanciano nella primaria del New Hampshire, e questo promette una battaglia lunga e complicata per la nomination, visto che né l’uno né l’altro godono dei favori dell’establishment dei rispettivi partiti.

I RISULTATI Democratici - Repubblicani / Lo speciale

Più netta e schiacciante è l’affermazione tra i democratici del senatore del Vermont: il 74enne Sanders riesce a infliggere a Hillary Clinton un distacco enorme, dell’ordine di venti punti. Lei incassa la sua prima disfatta, la riconosce con fair-play e dichiara: "Sono abituata a cadere, per questo capisco la sorte di tanti americani, come loro mi rialzerò". Per Sanders invece "è cominciata una rivoluzione politica, con la partecipazione di cittadini che non avevano mai fatto politica prima, il messaggio è che il governo del Paese appartiene a tutti i cittadini, non a un pugno di miliardari".

Gli risponde in diretta Trump, a pochi minuti di distanza: "Congratulazioni a Bernie. Ma lui vuole svendere la nostra America. E invece noi rifaremo l’America grande, batteremo la Cina, daremo una lezione al Messico, tutti dovranno rispettarci. Avremo frontiere forti, protette dal Muro. Rinegozierò tutti i trattati commerciali in nostro favore, basta con le concessioni ai cinesi e a tutti gli altri. Sarò il più grande presidente che Dio ha mai dato all’America". Ne approfitta per ingraziarsi la lobby delle armi e tutti quelli che respingono ogni restrizione, con un richiamo alla strage del 13 novembre a Parigi: "I francesi hanno le leggi più severe contro le armi, poi lasciano entrare quegli animali, e quelli fanno 130 morti".

Blog 6 lezioni dal New Hampshire di F.RAMPINI

A destra emerge una novità per il fronte moderato, è l’affermazione di John Kasich, governatore dell’Ohio. Piazzandosi al secondo posto, Kasich può aspirare a coagulare su di sé i voti dei repubblicani tradizionalisti, quelli che sono inorriditi dalle sparate di Trump. Marco Rubio invece viene umiliato, finisce al quinto posto, probabilmente una sanzione per la sua disastrosa performance nell’ultimo dibattito televisivo.

Ma è l’affermazione di Sanders il dato più eclatante in termini numerici, per il distacco abissale che infligge all’ex segretario di Stato. La Clinton aveva preparato il terreno per incassare bene questa batosta, visto che da qualche mese ormai i sondaggi davano Sanders favorito in questo piccolo Stato del New England vicino al suo Vermont. Ora per Hillary diventano davvero cruciali gli appuntamenti del Nevada e del South Carolina: là c’è un elettorato etnicamente più variegato, con una maggiore incidenza di ispanici e afroamericani, due gruppi con i quali la Clinton ha coltivato legami da molto tempo. E tuttavia non potrà più dare nulla per scontato. Il fascino di Sanders tra i giovani sembra ormai estendersi anche alle nuove generazioni di immigrati. La Clinton è inseguita dallo spettro del 2008, un’altra campagna che lei cominciò come favorita, "ineluttabile", con l’appoggio massiccio della macchina del suo partito, per poi vedersi sgretolare il suo bacino di consensi. Sanders ha fatto ieri sera un discorso "presidenziale", un vero programma di governo. Comincia a credere che sia possibile. Tanto che sul suo sito ora è ben visibile una precisazione: il senatore Sanders "non è un socialista, è un socialdemocratico". Non bisogna esagerare, insomma.

BLOG DI RAMPINI


Ecco la mia sintesi dal New Hampshire:
1) Sanders stravince con margini (20%!!) inquietanti per i Clinton. Non a caso Bill ha già cominciato a perdere le staffe. Una vittoria così rischia di creare vero "momentum" e di cambiare le previsioni anche su Nevada e South Carolina, le prossime due tappe. La saggezza convenzionale del clan Clinton diceva: al Sud e a Ovest si torna a giocare in casa grazie a neri e ispanici. Ma quel modo di calcolare a freddo il peso delle varie constituency non faceva i conti con la capacità di Sanders di creare un movimento, un’emozione nuova, facendo salire a livelli record l’affluenza alle urne. I giovani ispanici e neri potrebbero votare seguendo una mobilitazione generazionale.
2) A destra la situazione è molto molto più confusa. Anche Trump ha vinto alla grande facendo votare i non-elettori tradizionali, segno che anche lui è portatore di uno shock (di linguaggio e di valori) che sconvolge le regole, attira alla politica gli astensionisti cronici. Però resta in palio un 60% di voti non-Trump, di cui forse un 50% è decisamente anti-Trump. La battaglia è apertissima per designare il moderato che possa fare il pieno degli anti-Trump. Kasich, Rubio e perfino Bush sono ancora in gioco.
3) Sarà una campagna lunga.
4) Sanders comincia a temere colpi bassi dalla macchina Clinton. Immagino che abbia buone ragioni. Lo attacheranno sui soldi? Sulla salute? Purché Bill non ripeta l’accusa con cui si è ridicolizato da solo ieri: ha detto che l’anziano senatore del Vermont è un "sessista" (perché attacca sua moglie).
5) Cominceranno anche furiose pressioni dei Clinton su Obama perché dia una mano alla sua ex segretario di Stato, in maniera meno sibillina di quanto ha fatto finora.
6) Se un socialdemocratico diventa presidente degli Stati Uniti, il passo successivo è una donna papa? Però... però... Franklin Delano Roosevelt fu sostanzialmente un socialdemocratico. E’ possibile che l’impatto della crisi del 2008-2009 sulla psiche e sull’immaginario di una parte degli americani si avvicini allo shock della Grande Depressione?

Scritto in Primarie 2016 | 3 Commenti »
3 commenti
animaleale 10 febbraio 2016 alle 16:15

Più che dell’impatto della crisi del 2008, mi proccuperei dell’impatto di quella in arrivo. La carta che potrebbe far vincere Sanders è ancora nel mazzo. La Clinton invece probabilmente ha già in mano le carte migliori.
rramella 10 febbraio 2016 alle 10:13

Obama passava per socialista e non ha fatto nulla se non lasciare l’Iraq in mano al Califfato ed una confusa riforma della sanità che negli USA continua a costare il doppio di quella italiana e dare risultati molto peggiori... non credo che Sanders farebbe di meglio, le ingiustizie, ad esempio sui redditi da lavoro e sul numero incredibile di carcerati, sempre su base etnica, sono rimaste intatte
notborninusa 10 febbraio 2016 alle 06:30

Sicuri che Obama voglia dare alcun supporto ad Hillary Clinton?
Siamo sicuri che il rapporto tra il segretario di stato ed il presidente sia stato in sintonia?
Clinton dovrebbe preoccuparsi piuttosto degli endorsement da parte di "sicuri amici" come Madeline Albright
La grande macchina per produrre soldi Clinton & Co, adesso is biting back.

"Smettiamola con questa presa in giro sul fatto che Barack Obama non sa quello che fa: Barack Obama sa esattamente cosa sta facendo". Quello che sembrava un semplice accenno, pur polemico, di Marco Rubio all’operato del presidente americano è diventato con il passare dei minuti un vero e proprio "tormentone": durante il dibattito televisivo trasmesso dalla Abc, il candidato alla nomination repubblicana per la Casa Bianca ha ripetuto per ben quattro volte la stessa frase, suscitando le inevitabili ironie della Rete. A 48 ore dalle primarie del New Hampshire il giovane senatore della Florida, sponsorizzato dall’estabilshment repubblicano, sembra accusare un calo di preferenze

Usa primarie 2016, Trump: ’’Reintrodurrei il waterboarding e anche di peggio’’

Altro che waterboarding: se Donald Trump diventasse presidente, gli Usa ricorrerebbero a pratiche di interrogatorio anche più violente. Lo ha promesso lo stesso miliardario che punta alla Casa bianca, nell’ultimo dibattito repubblicano prima delle primarie di martedì 9 febbraio nel New Hampshire. "Tornerei al water boarding e recupererei un mucchio di cose ben peggiori", ha detto Trump, dopo aver spiegato che "in Medioriente ci sono persone che tagliano la testa ai cristiani e non solo. Stanno succedendo cose che non abbiamo mai visto prima, stiamo tornando al Medioevo", dunque ben vengano pratiche di tortura come il waterboarding. I rivali hanno dato invece risposte poco chiare sulla questione

Nella Carolina del Sud, durante una delle tappe della sua discussa campagna presidenziale, il candidato repubblicano Donald Trump ha dedicato un passaggio del suo discorso al leader della Corea del Nord, Kim Jong Un: "C’è quest’uomo che forse è un maniaco, ma dovete riconoscergli un merito. Il ragazzo è giovane, ha a che fare con generali, suo padre è morto e nonostante tutto mantiene il controllo. C’è qualcosa in lui, non sottovalutate un ragazzo così, non fatelo, non sottovalutate questo genere di talento. Ora diranno che mi piace. No, non mi piace"

Usa 2016, Trump ammutolisce Jeb Bush durante il dibattito: "Stai zitto"
Ennesimo dibattito tra i candidati repubblicani alla Presidenza Usa, il tema - nel passaggio che state vedendo - è quello delle espropriazioni per pubblica utilità. Jeb Bush attacca Trump, accusandolo di aver cacciato anche le signore più anziane per costruire i suoi casinò ad Atlantic City. E il magnate si innervosisce: "Lasciami parlare, stai zitto", dice all’avversario, attirandosi i "buu" indignati della platea


L’AFFLUENZA MOLTO ALTA ALLE URNE
MANCHESTER (New Hampshire) - "Non dimentichiamo che i progressisti vincono quando c’è un’alta affluenza alle urne, i conservatori vincono quando la gente è demoralizzata e non vota". E’ la prima lezione che Bernie Sanders vuole sottolineare nella serata del suo trionfo in New Hampshire. Effettivamente la sua netta affermazione ha coinciso con una partecipazione-record alla primaria. Neppure Barack Obama aveva portato così tanti a votare nel 2008. Per Sanders il dato è importante, non solo perché conferma la sua forza di trascinamento, soprattutto verso i giovani che sono solitamente i più tentati dall’astensionismo. E’ importante perché la "rivoluzione politica" che lui continua a promettere agli americani, ha come condizione essenziale proprio un terremoto elettorale, un balzo in avanti così forte nella partecipazione, da riportare una maggioranza democratica sia alla Camera che al Senato, per impedire quella paralisi tra esecutivo e legislativo che ha segnato la presidenza Obama.

I RISULTATI Democratici - Repubblicani / Lo speciale

E se la Clinton nel concedere a Sanders la vittoria ha voluto rivendicare la propria affinità con Obama, presentandosi come colei che ne difenderà e rafforzerà tutte le conquiste, anche Sanders ha strizzato l’occhio al presidente. Nel giorno in cui la Corte Suprema (a maggioranza repubblicana) ha inflitto una battuta d’arresto alle riforme ambientaliste di Obama, congelando alcune normative sulle emissioni di CO2, Sanders si è schierato in difesa del presidente: "E’ finito il dibattito sul cambiamento climatico, le prove scientifiche sono schiaccianti. Dobbiamo impedire che la Casa Bianca ritorni a un partito che è schiavo della lobby dell’energia fossile. Abbiamo una responsabilità morale, di lasciare ai nostri figli e nipoti un pianeta vivibile".

Nella serata della vittoria Sanders lancia un avvertimento anche al partito. Non proprio il "suo" partito, visto che lui è sempre stato un indipendente (affiliato al gruppo democratico al Senato), nonché un "socialdemocratico". E’ chiaro che i vertici democratici stanno con Hillary. "Mi hanno attaccato in ogni modo - ha detto lui - e presto verrà di peggio. Perché io ho il coraggio di sfidare lo status quo, io da solo ho rifiutato i grandi finanziatori privati delle campagne. Ma voglio auspicare che questa sia una campagna sui problemi reali". Un’allusione non troppo velata alle accuse di Bill Clinton, che il giorno prima del voto aveva perso le staffe, lanciando contro l’avversario di sua moglie dei termini pesanti: "Sessista, disonesto".
Usa 2016, Sanders: "L’eco della vittoria da Wall Street a Washington"
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Nella serata della vittoria in New Hampshire, Sanders ha quasi tracciato un programma di governo. Ha parlato di politica estera, non proprio il suo forte, per annunciare che con lui alla Casa Bianca "l’America smetterà di fare il gendarme del mondo, sconfiggeremo l’Is ma senza per questo che il Medio Oriente sia in una guerra permanente". Ha ricordato i suoi programmi economici, dal trilione (mille miliardi) di investimenti in infrastrutture "con cui voglio creare 13 milioni di posti di lavoro", al raddoppio del salario minimo, all’università gratuita. Ha soprattutto rilanciato il suo piatto forte: "Basta coi miliardari che finanziano la politica, questa è diventata un’oligarchia, e noi diremo la parola fine a questo sistema".

LASTAMPA.IT
Donald Trump e Bernie Sanders hanno dominato le primarie del New Hamsphire, segnate da un’affluenza record. Stavolta non ci sono state grandi sorprese, rispetto ai sondaggi della vigilia, ma la corsa alla Casa Bianca si è complicata ancora di più per entrambi i partiti.



Fra i repubblicani Trump ha archiviato in fretta il secondo posto dell’Iowa, battendo anche le migliori aspettative. Ha preso circa il 35% dei voti, più che doppiando il secondo. Così ha confermato di essere il front runner del Grand Old Party, per la disperazione dell’establishment, che non lo considera un candidato con cui potrà riconquistare la Casa Bianca a novembre.



Alle sue spalle, però, la competizione per individuare l’alternativa presentabile si è complicata. Marco Rubio, che con il solido terzo posto dell’Iowa sembrava destinato ad interpretare questo ruolo, è finito quinto. Una grossa delusione, attribuita in buona parte alla sua incapacità di rispondere agli attacchi lanciati contro di lui dal governatore del New Jersey Christie durante l’ultimo dibattito presidenziale fra i repubblicani.



Il suo posto stavolta lo ha preso John Kasich, che si è piazzato secondo dopo Trump, col 15% dei voti. Il governatore dell’Ohio ha puntato sulla sua esperienza, e pensa di poter vincere quando le primarie si sposteranno nel suo Midwest. Il problema però è vedere se riuscirà ad ottenere abbastanza voti nel sud, per tenere in vita la sua campagna prima di andare negli stati più favorevoli per lui.



Ted Cruz, che aveva vinto in Iowa, è finito in un testa a testa con Jeb Bush per il terzo posto. Il senatore del Texas ha dipinto questo risultato come un successo, perché il suo conservatorismo e il legame con la destra evangelica non lo favorivano in New Hampshire.



Bush pensa di aver salvato la sua campanga con il risultato di ieri, e ora punta sulla South Carolina, dove suo fratello George aveva bloccato McCain, per cominciare a vincere e diventare l’alternativa responsabile a Trump.



La corsa quindi si è complicata, almeno alle spalle di Donald. Christie, Carson e Fiorina probabilmente si ritireranno, ma per il secondo posto continuerà una sfida a quattro, che i risultati nelle prossime primarie al sud dovranno cercare di decidere.



Tra i democratici la vittoria di Sanders era scontata, ma è stata ancora più netta del previsto, toccando la soglia del 60% dei voti. Un brutto colpo per Hillary, al punto che già circolano voci di una rivoluzione nello staff della sua campagna.

La versione dei consiglieri della Clinton è che Bernie era favorito, perché viene dallo stato confinante del Vermont, e perché il New Hampshire è abitato soprattutto da bianchi. Ora si va al sud, prima nel Nevada popolato dalla minoranza ispanica, e poi nella South Carolina dove i neri sono in maggioranza. Hillary è forte fra questi gruppi, e pensa che si prenderà rivincite decisive.


La rivoluzione politica di Bernie Sanders surclassa Hillary Clinton



Sanders però risponde che la sua vittoria nel New Hampshire non era affatto scontata: quando si era presentato la Clinton aveva un vantaggio di oltre 40 punti, e l’appoggio di tutto l’establishment democratico dello stato. Secondo Bernie la sua campanga ormai ha innescato una rivoluzione politica, che sta contagiando tutto il paese, come dimostrano l’affluenza record alle urne, il coinvolgimento dei giovani, e la scelta delle donne di appoggiarlo. Sanders quindi ritiene che la logica dei consiglieri di Hillary non rifletta più la realtà, e lui potrà continuare a vincere ovunque. Dietro le quinte, infatti, c’è già chi immagina di richiamare nella corsa il vice presidente Biden, per avere un candidato di consenso che riunisca il partito e sia eleggibile a novembre.

PAOLO MASTROLILLI
Come prevedibile, la questione di essere donna si è ritorta contro Hillary Clinton, ma non per la ragione che sarebbe stato ovvio aspettarsi. Invece dei “maschi maschilisiti”, a farle un danno sono state proprio le donne femministe che intendevano sostenerla, provocando uno scontro generazionale tra le elettrici.



La prima ad aprire la bocca a sproposito è stata l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, quando ha detto che «per le donne che non votano Hillary c’è un posto speciale all’inferno». Intendeva dire che il suo successo personale, e quello della Clinton, non rappresentano la fine delle discriminazioni verso il gentil sesso. Quindi le elettrici che non lo capiscono, e magari votano Bernie Sanders, andrebbero punite. La Albright di sicuro non ha torto nella premessa del suo discorso, ma le parole scelte per esprimersi hanno irritato le giovani americane, invece di avvicinarle. È stato un po’ come dire loro che sono sciocche, e non si rendono conto del mondo in cui vivono, se perdono l’occasione di mettere una donna dentro alla Casa Bianca.



Se questo non bastava, il carico poi ce lo ha messo sopra Gloria Steinem, appunto una gloria del femminismo americano, che è riuscita ad essere ancora più offensiva. Parlando in tv con Bill Maher, ha spiegato così la ragione per cui molte ragazze vanno ai comizi di Sanders: «Quando sei giovane, si sa, pensi così: dove stanno i ragazzi? E i ragazzi stanno da Bernie». In altre parole, le elettrici votano per il senatore del Vermont perché ai suoi comizi si rimorchia.



La risposta più umiliante gliel’ha data la supermodel Emily Ratajkowski, ultima persona al mondo che abbia bisogno di inseguire i maschietti, con questo tweet: «Io non sto con Sanders per i ragazzi. Io voglio che la mia prima presidente donna sia qualcosa in più di un simbolo».





Ouch! Come dire che Hillary per lei non vale nulla sul piano politico, e il genere non è una ragione sufficiente per votarla, sprecando l’occasione di mandare alla Casa Bianca una prima donna che lasci davvero il segno.



La polemica scoppiata ha costretto Gloria Steinem a scusarsi, ma intanto il genio era uscito dalla lampada, perché lei stessa aveva dato una spiegazione generazionale al fenomeno: «Le donne mature tendono ad essere più radicali». Frittata fatta. Dunque le giovani sono stupide e pensano solo a rimorchiare, quindi appoggiano Sanders proprio per i problemi che il femminismo vorrebbe risolvere; le anziane invece sono arrabbiate, e quindi stanno con l’avvelenata Hillary. Peggio di così, era difficile fare. Il boomerang è stato immediato, creando una spaccatura generazionale fra le femministe di ieri e quelle di oggi. L’ultima cosa di cui aveva bisogno la prima candidata con una chance di arrivare alla Casa Bianca. Clinton infatti vorrebbe unire tutto l’elettorato femminile non tanto, o non solo, per il suo genere, ma soprattutto perché oltre all’evidente valore simbolico, la sua elezione consentirebbe di promuovere politiche utili alle donne. Sarà ancora possibile, dopo le gaffe delle sue surrogate?

MARCO VALSANIA SUL SOLE 24 ORE
Manchester, New Hampshire - E’ stata la grande riscossa degli outsider. Bernie Sanders e Donald Trump hanno vinto le elezioni primarie del New Hampshire, il primo battendo Hillary Clinton tra i democratici, il secondo imponendosi tra i repubblicani dopo la sconfitta in Iowa. E lo hanno fatto con percentuali schiaccianti, indiscutibili, che lasciano più che mai aperta la corsa per la nomination alla Casa Bianca.

Sanders, il socialista democratico reduce da un quasi pareggio in Iowa, questa volta ha conquistato ben il 60% dei consensi, una vittoria altisonante con un margine di oltre venti punti percentuali sulla rivale, fermatasi al 38,5 per cento. Hillary, che otto anni or sono in New Hampshire aveva battuto Barack Obama, non è riuscita neppure nel tentativo di ridimensionare il distacco che soffriva nei sondaggi della vigilia, il suo vero obiettivo. Ora la sua speranza è riposta nei prossimi due appuntamenti, South Carolina e Nevada il 20 febbraio, dove dovrebbe contare sull’appoggio del voto afroamericano e ispanico. Ma Sanders, dopo il forte successo, ha fatto capire di puntare ormai su una campagna competitiva su scala nazionale.
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Con Trump e Sanders c’è la rivincita dei governatori

Trump, bestia nera dell’establishment conservatore, nei più affollati ranghi repubblicani ha vinto con il 35%, smentendo chi lo voleva indebolito dall’inattesa sconfitta in Iowa per mano di Ted Cruz. Alle sue spalle le sorprese maggiori: secondo è arrivato con il 16% il governatore dell’Ohio John Kasich, che ha rilanciato le sue chance di diventare lui il candidato moderato più credibile per i repubblicani. Kasich, che in New Hampshire aveva puntato tutto organizzando e intervenendo a oltre cento assemblee locali in poche settimane, ha rivendicato ieri notte di aver condotto una “campagna positiva” che è stata premiata e di essere in grado di ricostruire una grande coalizione sociale reaganiana.

Quasi a parimerito sono invece finiti Ted Cruz (11,5%), Jeb Bush (11,1%) e Marco Rubio (10,5%). Quest’ultimo, dopo aver superato le attese in Iowa, ha deluso pagando lo scotto, per sua stessa ammissione ieri sera, di una pallida performance nell’ultimo dibattito tra i candidati. Bush ha al contrario ricevuto una boccata d’ossigeno superando l’ex protetto diventato rivale, un esito necessario alla sopravvivenza di una campagna finora ricca di finanziamenti e povera di voti. E anche Cruz ha potuto esprimere soddifazione: nello stato meno religioso d’America il candidato del movimento evangelico e ultra-conservatore non era atteso a solidi risultati. Il chiaro sconfitto è piuttosto Chris Christie: il governatore del New Jersey si è dovuto accontentare dell’8% e secondo i suoi collaboratori sta considerando se proseguire o abbandonare la campagna.

Nelle primarie democratiche Sanders ha ottenuto il successo stravincendo fra i giovani di 18-29 anni, dove si è aggiudicato l’85% dei consensi. Ha schiacciato la rivale anche tra gli elettori indipendenti, non affiliati a un partito, che hanno scelto di votare nelle primarie democratiche e in New Hampshire rappresentano il 44% del totale. E ha vinto anche in quasi tutte le categoria sia per età, che reddito o priorità politica. Un terzo dell’elettorato ha mostrato preoccupazione anzitutto per la diseguaglianza economica, uno dei temi caratterizzanti della sua candidatura. E molti hanno chiesto ai candidati integrità, bocciando a loro volta Clinton.

Il risultato non è mai stato in discussione: Clinton ha ammesso la sconfitta pochi minuti dopo la chiusura delle une, alle 8 di sera ora locale, e le percentuali definitive per lei sono solo peggiorate con il passare delle ore. Nel liceo di Concord, la capitale dello stato dove il 74enne Sanders ha atteso i risultati giocando a pallacanestro con i nipoti nella palestra, una folla di centinaia di sostenitori ha celebrato a lungo il successo con striscioni che esibivano lo slogan “Un futuro in cui credere”. Sanders ha parlato loro a lungo rivendicando la necessità d’una “rivoluzione politica”, che respinga l’influenza politica dei grandi finanziatori e delle grandi aziende, che alzi il salario minimo a 15 dollari l’ora, che crei un sistema sanitario nazionale e che offra l’università pubblica gratuita.

Trump, mettendo a segno una parallela vittoria in tutte le fasce elettorali, nel suo intervento da Manchester solo pochi minuti dopo quello di Sanders ha rilanciato il suo messaggio preferito, “faremo di nuovo grande l’America”. Ha deriso i democratici come il partito che vuole “svendere” il Paese a nazioni avversarie o concorrenti, ha promesso accordi commerciali e politici che avvantaggino gli Stati Uniti e si è impegnato a potenziare la forze armate.

MARIO PLATERO
È vero, in New Hampshire abbiamo avuto la vittoria dei due ribelli antiestablishment nei rispettivi partiti, il populista di destra, Donald Trump e il populista di sinistra Bernie Sander. Sanders ha avuto addirittura il 60% dei voti contro Hillary Clinton, umiliata con un misero 38% nonostante abbia prodotto in New Hampshire uno schieramento a tappeto della sua potente macchina politica, delle sue grandi e influenti amiche donne e femministe, del marito Bill e della figlia Chelsea. Ma se Hillary nulla ha potuto contro l’idealismo travolgente di Bernie Sanders una novità per l’establishment in New Hampshire, questa volta repubblicano, l’abbiamo avuta: c’è stata la riscossa dei “governatori”.

Non è cosa da poco: John Kasich, governatore dell’Ohio, è arrivato secondo con un rispettabilissimo e inatteso 16% delle preferenze. E Jeb Bush, ex governatore della Florida, ha combattuto fino all’ultimo per il terzo posto con Ted Cruz, alla fine è arrivato quarto a un pelo e pur sempre con un buon 11%. Chris Christie, il vero scardinatore di questa tornata elettorale, che ha messo a tappeto Marco Rubio nel dibattito di sabato sconvolgendo piani e pronostici, ha avuto circa l’8%. E allora facciamo un conto: insieme, i tre governatori, che pescano più o meno dallo stesso serbatoio di voti più establishment, valgono circa il 35%, esattamente quanto ha avuto Trump, un cavallo solitario che corre in una corsa a sé, tutta particolare e senza molti precedenti nella storia della politica americana.

Il problema di fondo è che i tre governatori si elidono a vicenda e punteranno sul risultato di ieri notte per metterlo in relazione alle prossime corse elettorali, con un quesito di fondo: quali saranno i due che si ritireranno lasciando lo spazio al terzo per competere seriamente per la nomination?

Il New Hampshire ha già avuto proprio questa funzione di selezione. Non si ritiene che Bush o Kasich e forse Christie, si ritirino prima dell’altro appuntamento chiave per la selezione di avvio, le primarie della Carolina del Sud. Ma per allora, per il 20 febbraio e con 50 delegati in palio, si sarà capito chi fra i governatori farà meglio a fare un passo indietro. Se Kasich ha fatto meglio di Bush in New Hampshire, le sue prospettive in Carolina del Sud sono molto scoraggianti: ha un indice di gradimento nei sondaggi dei appena il 2%, Christie di appena il 2,3%, Jeb Bush invece del 10%. È possibile dunque che in media Jeb Bush si trovi davanti agli altri due negli appuntamenti del sud sud ovest. Il pronostico degli esperti è che Bush emerga come primus inter pares e se i due concorrenti a un certo punto si ritireranno potrà contare su una piattaforza di voto che oggi viene divisa per tre.
Il New Hampshire in prima battuta e la Carolina del Sud dovrebbero incoraggiare i due di minor successo a farsi da parte. Subito dopo infatti ci saranno Nevada e poi il Supertuesday, con 15 stati in contemporanea con oltre 1.200 delegati. L’obiettivo di una parte del partito è quello di far arrivare uno come Jeb Bush o John Kasich da soli al Supertuesday ( si voterà anche in Texas, stato di famiglia per Bush) in modo da poter diventare un polo di attrazione per il voto degli incerti e di coloro che avrebbero votato per gli altri governatori.

Il vantaggio dei governatori in una corsa elettorale è quello dell’esperienza esecutiva. Reagan, Clinton e Bush figlio erano stato governatori. In questo frangente inoltre, i due candidati di punta Donald Trump e Ted Cruz sono considerati troppo agli estremi per poter vincere la presidenza. Certamente contro Hillary, ma ora si pensa che possano avere difficoltà ache contro Bernie. Rubio non si riprenderà facilmente dalla performance di sabato scorso: troppo giovane e inesperto per poter fare il presidente degli Stati Uniti. Per questo oggi è impossibile dare un quadro definitivo della situazione. Anche dopo il New Hampshire. La corsa, come ha dimostrato l’incidente di Rubio nello scontro con Christie, è troppo incerta per poter capire la tedenza finale. Ed è caratterizzata anche da uno scadimento della qualità e della dignità del dibattito. Trump, con i suoi attacchi diretti e spesso volgari, ha finito con il trascinare l’intero dibattito nella sua direzione. Ma sembrerebbe strano che alla fine gli americani decidano di mandarlo davvero alla Casa Bianca. O che il partito repubblicano non trovi qualcuno di più credibile da coronare.

ILPOST.IT
Bernie Sanders e Donald Trump hanno vinto le primarie statunitensi del New Hampshire, come era previsto dai sondaggi. Lo scrutinio non è ancora finito ma è arrivato intorno al 90 per cento dei seggi. Tra i Democratici Bernie Sanders, senatore del Vermont, ha battuto Hillary Clinton di oltre 20 punti percentuali. Tra i Repubblicani invece Donald Trump, imprenditore e personaggio televisivo, ha staccato molto il governatore dell’Ohio, John Kasich, arrivato secondo davanti agli altri principali candidati (tra cui Ted Cruz, Marco Rubio, Chris Christie e Jeb Bush).

I risultati parziali:

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risultati primarie New Hampshire
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Presidential Candidate Sen. Marco Rubio (R-FL) Holds NH Primary Night Party
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Un risultato del genere tra i Democratici era in qualche modo atteso: Sanders ha puntato molto proprio su Iowa e New Hampshire – due stati piccoli, più di sinistra del resto del paese e con una composizione demografica per lui favorevole – allo scopo di ottenere un buon risultato e guadagnare forza economica e mediatica in vista delle prossime primarie. Un distacco così largo però non era nelle previsioni e sarà complicato da gestire per Hillary Clinton, scrive la stampa statunitense, che è attesa ora da dieci giorni di discussioni e dubbi sulle sue possibilità di confermare le aspettative che la volevano grande favorita e vincitrice designata.

Il discorso di Bernie Sanders dopo la vittoria:

Tra i Repubblicani, invece, la vittoria di Trump rimescola molto la situazione. Trump era arrivato secondo ai caucus dell’Iowa, ottenendo un risultato deludente in termini di voti rispetto alle aspettative. Tra i Repubblicani in New Hampshire è arrivato secondo John Kasich, governatore dell’Ohio, sicuramente il più moderato e ragionevole tra i candidati; al terzo posto invece è arrivato Jeb Bush, che era andato molto male in Iowa e la cui campagna elettorale era stata considerata negli ultimi mesi praticamente moribonda. Ted Cruz, che in Iowa invece aveva vinto, è arrivato quarto. Il senatore Marco Rubio, che in Iowa aveva ottenuto un sorprendente terzo posto, in New Hampshire è arrivato solo quinto.

Il discorso di Donald Trump dopo la vittoria:

Il New Hampshire è tradizionalmente il secondo stato che vota alle primarie: il primo è l’Iowa, dove lo scorso primo febbraio hanno vinto il senatore Ted Cruz tra i Repubblicani e – per un pelo – Hillary Clinton tra i Democratici. Le elezioni in Iowa e in New Hampshire non sono determinanti per la vittoria finale delle primarie, ma sfoltiscono il numero dei candidati, possono lanciare o affossare le loro speranze e forniscono alcune importanti indicazioni sui loro punti di forza e sulle loro debolezze. La campagna elettorale si sposta ora in Nevada e in South Carolina, dove si vota a febbraio, e poi in molti altri stati americani che vanno a votare a marzo e che probabilmente decideranno chi otterrà la nomination.

Il discorso di Hillary Clinton dopo la sconfitta:

I temi della campagna elettorale in New Hampshire sono stati in gran parte coincidenti con la campagna nazionale: d’altra parte i candidati in questi mesi hanno viaggiato molto da uno stato all’altro e una parte significativa delle loro attività pubbliche avviene in televisione. Gli elettori americani fin qui hanno dimostrato di essere interessati soprattutto alla situazione dell’economia (che ha fatto grandi miglioramenti negli ultimi sette anni ma secondo molti li ha fatti lentamente), del lavoro (il tasso di disoccupazione è sceso al 4,9 per cento, ma molti nuovi posti di lavoro sono a basso reddito), delle tasse (quelle universitarie sugli studenti sono un tema importante soprattutto per gli elettori più giovani) e della lotta al terrorismo (con tutte le questioni collegate, dalla gestione dell’immigrazione alla guerra civile in Siria). I Repubblicani del New Hampshire sono considerati tra i più moderati del paese, sono piuttosto benestanti e soprattutto nella parte meridionale dello stato risentono molto dell’influenza di Boston (ci sono molti pendolari che fanno avanti e indietro). Gli elettori Democratici invece sono più di sinistra di quanto sono altrove, come accade in generale negli altri stati della regione: pensate per esempio al Massachusetts e al Vermont.

Il New Hampshire è uno stato americano del New England: confina col Massachusetts a sud, col Vermont a ovest, col Maine e con l’oceano a est, col Canada a nord. È uno stato molto piccolo, come l’Iowa: il fatto che le primarie comincino tradizionalmente da due stati piccoli permette a tutti i candidati di avere una chance, anche a quelli che hanno meno organizzazione e risorse. Come l’Iowa, però, il New Hampshire è poco rappresentativo degli Stati Uniti: i suoi abitanti sono bianchi per il 92,3 per cento, di origini asiatiche per il 2,2 per cento, di origini ispaniche per l’1,6 per cento, neri per l’1,1 per cento; dal punto di vista religioso il New Hampshire è lo stato americano con la più alta percentuale di non credenti, il 26 per cento.

DIBATTITO TRA SANDERS E HILLARY
La sera di giovedì 4 febbraio – quando in Italia era la notte di venerdì 5 febbraio – i candidati del Partito Democratico alle primarie per la presidenza degli Stati Uniti hanno discusso in un confronto televisivo organizzato da NBC News e moderato dai giornalisti Chuck Todd e Rachel Maddow. Il dibattito si è tenuto a Durham, in New Hampshire, dove si vota per le primarie il 9 febbraio, ed è stato il primo a cui hanno partecipato solo due candidati: Hillary Clinton, ex segretario di stato e vincitrice – per un pelo – delle primarie in Iowa, e Bernie Sanders, senatore del Vermont che in New Hampshire gioca praticamente in casa e dovrebbe ottenere una facile vittoria (il terzo candidato dei Democratici, il governatore Martin O’Malley, si è ritirato dopo un deludente risultato in Iowa).
Il fatto che partecipassero solo due candidati ha reso il confronto molto divertente da seguire: a questo hanno contribuito anche l’atteggiamento combattivo di Clinton e Sanders e l’apprezzata decisione dei moderatori di fare le domande e poi lasciare dibattere liberamente i candidati.

Clinton e Sanders hanno parlato di molti temi, dalla politica estera all’economia, ma hanno affrontato tutte le questioni dallo stesso angolo, che poi è quello che sta dominando la campagna elettorale dei Democratici nelle ultime settimane: chi è più di sinistra? Chi può dirsi davvero un progressista? Clinton propone un cambiamento incrementale, che costruisca su quanto fatto dall’amministrazione Obama anche grazie alla sua grande esperienza e conoscenza degli Stati Uniti, consapevole che il progresso si fa un passo alla volta; Sanders propone quella che chiama esplicitamente «una rivoluzione», chiede cambiamenti più radicali – ricominciare da capo sulla sanità, per esempio, nonostante la riforma di Obama – e sostiene che l’establishment politico americano, Clinton compresa, sia troppo compromesso con Wall Street e le lobby per produrre cambiamenti significativi.

“Per la prima volta in otto mesi”, ha scritto Buzzfeed, Clinton “è stata capace di attaccare Sanders, che si definisce socialista, proprio sul tema della purezza ideologica”. Ma Sanders si è difeso bene, usando i toni e le proposte che hanno reso la sua campagna molto popolare soprattutto tra gli elettori più giovani.

Clinton ha insistito più volte sul fatto che non fa nessuna promessa che non sia in grado di poter mantenere, accusando Sanders di fare proposte magari anche seducenti ma irrealizzabili: «Un vero progressista è qualcuno in grado di ottenere progressi». Anche i moderatori hanno suggerito qualcosa del genere, tanto che a un certo punto hanno chiesto a Sanders: «Ci spiega come ha fatto a passare quasi vent’anni al Congresso e non ottenere nulla delle cose che propone? Perché pensa che una volta presidente sarebbe in grado di ottenerle?». Sanders si è difeso dicendo che l’immobilità del Congresso è il motivo per cui si è candidato alla presidenza, e che solo chi non fa parte dell’establishment può ottenere un vero cambiamento.

Su questo tema è avvenuto lo scambio più importante e discusso del dibattito. Sanders rivendica spesso di non avere un Super-PAC – un comitato politico in suo sostegno che può accettare donazioni economiche senza grossi limiti – e di essere per questo l’unico candidato credibile. Clinton ha risposto accusando Sanders di usare questo argomento per fare «insinuazioni» e sostenere che qualunque candidato abbia mai ricevuto una donazione da un’azienda sia un «venduto», e allo stesso tempo vantarsi di non fare mai attacchi contro i propri avversari: «Se hai qualcosa da dire, dilla e basta, e interrompi questa artistica campagna di bugie».

Come in ogni vera campagna elettorale tra candidati di sinistra, la discussione si è poi spostata su quale candidato ha più possibilità di vincere le elezioni (e quindi realizzare le cose promesse). Anche su questo tema Clinton è andata all’attacco, sostenendo che trovandosi in politica da vent’anni «non c’è davvero niente che non si sappia di me», mentre con Sanders sia la stampa che i Repubblicani non hanno ancora nemmeno cominciato. Sanders però ha fatto notare come, al momento, secondo molti sondaggi vincerebbe sia contro Donald Trump che contro Ted Cruz e Marco Rubio, a volte anche con distacchi superiori a quelli che otterrebbe Clinton. «I Democratici vincono quando molta gente va a votare, quando gli elettori sono entusiasti, quando i lavoratori, i giovani e la classe media decidono di farsi coinvolgere». L’entusiasmo degli elettori è oggi probabilmente il principale vantaggio di Sanders su Clinton.

Sanders e Clinton hanno discusso poi di alcuni temi concreti, su tutte la politica estera, su cui hanno entrambi evidenti punti di forza e debolezze. Clinton ha conoscenze ed esperienze superiori a quelle di qualsiasi altro candidato alla presidenza degli ultimi cinquant’anni, probabilmente, escludendo i presidenti uscenti, ma questo la rende anche vulnerabile su cose come la seconda guerra in Iraq, che all’epoca approvò. Sanders invece ha mostrato più volte di non padroneggiare bene l’argomento, ma ha spiegato più volte che conta più «la capacità di giudizio» rispetto all’esperienza, ricordando proprio la decisione di Clinton sull’Iraq.
Sulla pena di morte, invece, Clinton ha detto di essere favorevole solo in casi davvero estremi di crudeltà e violenza, mentre Sanders ha detto di essere contrario.

L’opinione comune dei giornalisti e degli analisti che seguono la campagna è che sia stato un dibattito appassionante e divertente, senza un vero vincitore: Sanders ha passato più tempo a difendersi da Clinton, che però si è trovata “costretta” a usare una strategia del genere anche per la posizione straordinaria di forza di Sanders in New Hampshire, una condizione che secondo i sondaggi non si verificherà nei prossimi confronti.

Molti osservatori hanno fatto notare anche come nonostante certe asprezze da campagna elettorale, anche stanotte Clinton e Sanders non si siano scambiati colpi particolarmente scorretti, neanche quando avrebbero potuto. Entrambi hanno mostrato di non dare molto peso alla faccenda del risultato equilibratissimo delle primarie in Iowa, finite a favore di Clinton per lo 0,2 per cento e sulle quali la stampa locale chiede un riconteggio: «Non facciamone una cosa enorme», ha detto Sanders, «noi potremmo avere un paio di delegati in più ma alla fine della fiera saranno più o meno gli stessi». Clinton ha detto la stessa cosa: «Qualsiasi cosa il partito decida per me va bene».

ILPOST LO SCORSO 12 LUGLIO


Nella cronaca politica statunitense da qualche settimana si parla parecchio di Bernie Sanders, un senatore Democratico del Vermont che ha 73 anni e si è candidato alle primarie del Partito Democratico. Lo scorso aprile, quando Sanders ha annunciato la sua candidatura, molti ne hanno parlato in termini sarcastici: Sanders è noto per essere molto di sinistra, è deputato da decenni e si è dichiarato più volte “socialista”, che nella politica americana è una specie di insulto.

Ancora oggi nessuno crede davvero che Sanders abbia una possibilità contro Hillary Clinton, ma i giornali riportano però da giorni, con una certa enfasi e sorpresa, i numeri degli spettatori presenti ai comizi di Sanders (che nemmeno lui stesso si aspettava): 10mila persone in Wisconsin il 2 luglio, 7.500 persone nel Maine quattro giorni dopo, e così via. Negli ultimi giorni, inoltre, diversi sondaggi indicano che Sanders ha recuperato su Clinton in Iowa e nel New Hampshire – cioè i primi due stati in cui si voterà durante le primarie Democratiche, da febbraio del 2016 – ed è attualmente il suo avversario più accreditato.

hil bernie (Un grafico realizzato dallo Huffington Post che mostra la media dei sondaggi più diffusi e affidabili in Iowa)

Praticamente tutti gli analisti e gli esperti di campagne elettorali, comunque, stanno invitando alla cautela: è piuttosto comune che i candidati più radicali partano molto bene e che si sbriciolino nel corso dell’anno. Sanders, inoltre, non ha nemmeno lontanamente i soldi e i sostenitori di Hillary Clinton, ed è praticamente sconosciuto fra gli elettori afroamericani: i sondaggi dicono che i suoi sostenitori sono quasi esclusivamente uomini bianchi. Questo secondo molti è il vero motivo per cui Hillary Clinton dovrebbe preoccuparsi, nel lungo periodo.

Chi è, cosa vuole
Sanders è nato a New York nel 1941 da due genitori di origine ebrea. Da studente si avvicinò al movimento per i diritti civili. Nel 1964 si laureò in Scienze Politiche all’università di Chicago. Fece poi parte del Liberty Union Party, un partito di estrema sinistra del Vermont. Dopo aver tentato senza successo di farsi eleggere governatore e senatore del Vermont, lasciò il partito. Nel 1981 fu invece eletto sindaco di Burlington, una città del Vermont di circa 40mila abitanti: fu poi rieletto per tre volte, fino al 1989. Nel 1991 iniziò la sua lunga carriera da deputato nella Camera del Vermont, che si è conclusa solo nel 2007 quando è stato eletto al Senato federale. Nel 2012 Sanders è stato rieletto al Senato dopo avere ottenuto il 71 per cento dei voti contro il suo sfidante Repubblicano.

Da senatore, Sanders ha spesso preso posizioni molto nette sulla diseguaglianza economica, il cambiamento climatico e il salario minimo. Il Washington Post ha raccontato in breve i punti salienti di un suo comizio di fine giugno a Rochester, nel Wisconsin.

Nel suo discorso di circa un’ora, Sanders ha criticato ferocemente la “classe dei milionari” e promesso che se diventerà presidente farà pagare il giusto quantitativo di tasse alle grandi aziende. Gran parte del suo discorso si è incentrato sul miglioramento delle condizioni delle classi povere e medie: secondo Sanders è possibile ottenere risultati del genere rendendo gratuita l’università, garantendo vacanze e permessi a ciascun lavoratore e alzando il salario minimo a 15 dollari l’ora [l’ultima proposta dei Democratici e appoggiata da Obama – alzarlo fino a 10,10 dollari – è stata respinta dal Congresso nella primavera del 2014]

Sanders ha però anche alcune posizioni più vicine ai “libertari” – quelli che chiedono il minor intervento possibile dello Stato – che all’ala sinistra dei Democratici. In passato ha difeso l’utilizzo privato delle armi e durante una recente intervista con CNN ha detto che in caso di omicidio con armi da fuoco le aziende che producono armi hanno la stessa responsabilità «di una fabbrica di martelli, se qualcuno spacca la testa a un’altra persona con un martello». Riguardo la proposta di togliere i benefici fiscali alle chiese che non riconoscono i matrimoni omosessuali – resi legali da una storica sentenza di poche settimane fa – Sanders ha detto che non se la sente di «spingersi fino a lì» e di rispettare «le persone che hanno un punto di vista diverso».

Perché va così bene?
Fondamentalmente perché al momento raccoglie i consensi di tutte le persone che per vari motivi non vogliono votare Clinton e che voterebbero volentieri un candidato più di sinistra: il Washington Post ipotizza che Sanders abbia per ora ottenuto il consenso delle persone che erano inclini a votare Elizabeth Warren, una senatrice “di sinistra” molto apprezzata dall’ala radicale del partito democratico (che però ha escluso nettamente una sua candidatura). Sempre secondo il Washington Post, però, Sanders potrebbe riuscire a raccogliere consensi anche fra i Repubblicani.

Sanders potrebbe diventare il candidato preferito dai Repubblicani, ma non solo perché si oppone fermamente a Clinton. Non è difficile notare che alcune sue posizioni possono apparire interessanti per gli elettori “libertari” che nel 2012 votarono per Ron Paul, e che preferirebbero Sanders a suo figlio Rand Paul (che si è candidato con un profilo un pelo più “istituzionale” per le primarie repubblicane del 2016). Le sue posizioni tendenti al “compromesso” su alcune questioni sociali potrebbero anche attrarre degli elettori seccati dalla loro forte politicizzazione.

Insomma, che possibilità ha?
Sanders ha ottime possibilità di influenzare il dibattito politico statunitense e nelle primarie Democratiche, soprattutto nei primi mesi del 2016, ma secondo la grandissima parte degli esperti non ha possibilità di battere Clinton. Lo dicono sia gli stessi sondaggi che oggi vengono citati dai giornali – che secondo Nate Silver possono al massimo farlo vincere in Iowa e New Hampsire, ma perdere in tutti gli altri stati – sia alcune considerazioni base sulle campagne presidenziali negli Stati Uniti, ben riassunte su Slate da Jamelle Bouie.

Le primarie per la presidenza non sono gare di popolarità. Sono più vicine a dei negoziati, nei quali interessi collettivi e individuali si vengono incontro per decidere una singola leadership e la linea da tenere. La persona in questione deve parlare a chiunque: sia alle fazioni più estreme, sia ai politici più potenti, sia agli elettori comuni e ai ricchi finanziatori. Ciascun candidato deve dimostrare che può essere a capo di una campagna nazionale, che può raccogliere soldi e vincere dibattiti. Clinton ha già dimostrato di poter fare tutto questo, nelle scorse primarie del 2008.

Sanders, invece, è un candidato affascinante perché porta un messaggio “vivo” ma sotto-rappresentato nella politica americana. Ma le stesse caratteristiche che lo rendono unico – la relativa indipendenza dal partito democratico, una critica netta della politica americana corrente – lo rendono inadatto per la candidatura di un grosso partito: figuriamoci quella dei Democratici. Le componenti più moderate del partito non appoggeranno mai un candidato così di sinistra come Sanders: e gli elettori più smaliziati saranno scettici sulle sue capacità di vincere davvero le elezioni, anche se sono d’accordo con le sue idee.

La candidatura di Sanders potrebbe pragmaticamente essere di aiuto alla campagna di Clinton: per capire per esempio in che modo correggere il tiro su alcune questioni, e cercare di attrarre alcune fasce di elettorato per ora poco interessate a Clinton (come i maschi di sinistra, per esempio). Oppure, secondo altri, potrebbe avere l’effetto di attrarre la campagna elettorale democratica su argomenti più “liberal”, costringendo Clinton a spostare a sinistra il suo approccio su alcuni temi e renderla meno efficace alle elezioni presidenziali, quando dovrà cercare il voto degli elettori moderati e Repubblicani.