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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

È ORA DI PAGARE


[Luciano Fontana]

È possibile in Italia far cambiare un’abitudine che dura da ventanni? L’obiettivo non è facile da centrare, soprattutto se si tratta di far pagare un prodotto che per due decenni gli italiani hanno avuto a disposizione, gratis, abbondantemente e dappertutto. Il Corriere della Sera, primo tra i quotidiani generalisti, ci prova dal 27 gennaio sull’esempio di altre testate internazionali, proponendo un paywall per la propria edizione on line completamente rinnovata. Per capirci, su Corriere.it si potranno leggere liberamente fino a 20 articoli al mese. La soglia si potrà superare solo sottoscrivendo un abbonamento che darà diritto ad accedere da tutti i device digitali all’offerta informativa del sito del quotidiano, compresi gli 8 milioni di articoli dell’archivio storico, secondo un’offerta che dai 0,99 euro del primo mese verrà articolata, dal successivo, a partire da 9,99 fino a 24,99 euro.
La novità viene accompagnata da una profonda trasformazione organizzativa dell’intera redazione (vedi Documenti di Primaonline) che, sulla via di una completa integrazione tra la piattaforma tradizionale e quelle digitali, prevede una presenza su più turni dalle 5,30 del mattino all’1,30 di notte.
Un cambio deciso nel concepire il prodotto e il lavoro giornalistico, oltre che il rapporto con i lettori, che Luciano Fontana ha portato avanti dal 1° maggio scorso, quando è succeduto a Ferruccio de Bortoli sulla poltrona di direttore del Corriere della Sera. Un duro impegno di nove mesi che sembra aver avuto un effetto corroborante. “In una fase di trasformazione, con così tante innovazioni da affrontare, il lavoro di direttore è fantastico, davvero una bella botta di vita”, afferma Fontana, e nell’intervista che segue spiega modi e ragioni del rinnovamento. “Certo, in uno dei momenti più difficili per l’editoria, è ovviamente anche molto impegnativo. Oltretutto, una volta il direttore faceva quasi solo il giornale, ora deve organizzare, occuparsi di tagli dei costi, di progetti, di promozione. In ogni caso, è bellissimo. Sono ben altre le cose di cui uno si potrebbe lamentare. La mia vita è cambiata? In pratica faccio solo questo”.
Ora il direttore di un grande giornale è pure il testimonial di un brand, partecipa a eventi e trasmissioni. Deve metterci la faccia. Per annunciare le novità del paywall si è fatto anche fotografare insieme ai giornalisti del Corriere sulla scala nobile della sede di via Solferino, dove comparivano esclusivamente i ritratti dei direttori.
«Quella è una parte rilevante del lavoro. E per fortuna posso contare su una squadra molto forte che presidia il giornale. Ma penso sia molto importante spiegare bene quello che facciamo, far capire tutte le dinamiche dei progetti che mettiamo in cantiere. È un compito della direzione, ma anche di tutti i giornalisti del Corriere».
A nove mesi dal suo insediamento, abbondantemente superata la cosiddetta ‘luna di miele’, in redazione si lavora sodo con un tasso di malumore ridotto ai minimi storici.
«Stiamo andando avanti con il progetto che avevo illustrato alla redazione all’inizio del mio mandato. E siamo arrivati al paywall. Certo, La Lettura, il nostro supplemento domenicale dedicato alla cultura, è un prodotto molto diverso dalla piattaforma digitale, ma la filosofia che ha accompagnato il lavoro su tutte e due è la stessa: elevare la qualità, lavorando sui tratti che rendano distintiva, unica ed eccellente l’informazione del Corriere della Sera. La trasformazione del prodotto, come accade oggi con il sito, è stata la chiave che ha portato La Lettura in edicola come prodotto autonomo chiedendo ai lettori di pagare un prezzo, non elevato, ma che contribuisse al nostro conto economico. Sempre così arricchiremo ulteriormente la iPad edition».
Come?
«Pensiamo a nuovi prodotti, in modo che la fruizione non si limiti a quella classica dello sfogliatore. Già un paio di iniziative dedicate esclusivamente alla comunità dell’edizione digitale ha avuto successo: la rassegna stampa, che con un atteggiamento aperto comprende articoli presi da altre testate, anche internazionali, e le ‘bussole del giorno’ con cui il Corriere cerca di orientare per rendere la giornata informativa più comprensibile. Comunque, lo ripeto, il passaggio decisivo è alzare la qualità dell’informazione, fare in modo che sia allo stesso livello su tutte le piattaforme, anche se ognuna, cartacea o digitale, ha caratteristiche e linguaggi diversi e differenti modi di interpretare il giornalismo».
La qualità è il prerequisito indispensabile quando si chiede di pagare un prodotto.
«Naturalmente si paga per ciò che è originale, esclusivo, approfondito. Si paga per quello che non si trova nel resto del panorama informativo e nella Rete. Per questo dobbiamo sforzarci di produrre ciò che il lettore ha il diritto di aspettarsi da un brand forte come il Corriere della Sera, con il livello dei suoi giornalisti e opinionisti. Da questo punto di vista il nuovo sito, anche con una grafica più elegante e razionale, tende a limitare l’ordinario – ma ovviamente continuiamo a fornire breaking news – mettendo subito in evidenza le parti di analisi e commenti, gli approfondimenti e le inchieste, oltre alla parte video di CorriereTv e ai vari canali verticali, le sezioni che, completato il processo di integrazione delle redazioni, verranno gestite non automaticamente, come succede finora. L’obiettivo è far trovare già al mattino su Corriere.it, in particolare sullo smartphone la piattaforma su cui c’è più futuro la stessa qualità informativa dell’edizione cartacea».
Per lo smartphone avete rilasciato la versione ‘M site’, cioè il sito trasferito sul device mobile.
«Sì, ma tra poco, entro febbraio, rilasceremo la nuova app che, oltre alla selezione realizzata dalla redazione, darà la possibilità a chi si abbona di fare un palinsesto informativo personalizzato. L’app fornirà al lettore anche delle indicazioni per integrare le sue scelte».
È un’informazione su cui influisce sempre di più la tecnologia. Da questo punto di vista Rcs e il Corriere hanno mostrato qualche debolezza: due anni fa al momento del rilascio della nuova versione del sito avevate perso in due giorni metà degli utenti. Voi vi affidate a strutture esterne?
«In passato ci sono state esperienze non proprio positive, ma l’ultimo lancio della digital edition, a metà settembre, è stato molto soddisfacente. C’è un gruppo It interno che ci ha lavorato parecchio. Per la nuova app abbiamo il contributo di una società esterna molto innovativa. Grandi gruppi come il nostro non possono avere al proprio interno tutte le competenze e spesso all’esterno ci sono team molto aggiornati. Come sempre bisogna raggiungere il giusto mix, con all’interno la struttura di controllo e verifica. Comunque, lo sviluppo del nuovo sito, come la iPad edition, è stato portato avanti tutto in azienda».
Per il paywall avete adottato il sistema Metered, dopo 20 articoli scatta l’invito a pagare.
«È il modello adottato dal New York Times e da molti altri grandi quotidiani internazionali. L’home page si può consultare liberamente e tutti gli articoli hanno un lead che si può leggere. È libera anche la parte video».
Considerato che in base ad alcune ricerche solo il 15-20% di chi consulta un sito o uno smartphone va oltre i 20 articoli, non credo che vi aspettiate grandi incassi.
«È un’operazione che non può essere valutata in tempi brevi. Lanciandola, puntiamo ad alzare la qualità, i tempi di lettura e il numero di articoli fruiti. Insomma, l’obiettivo è che, con un’offerta originale e distintiva, i lettori si abituino ad arrivare a quell’asticella di 20 articoli e a superarla, trovando utile abbonarsi. Insieme al nuovo sito abbiamo rilasciato l’archivio storico del Corriere della Sera».
Cioè tutti i numeri usciti dal 1876.
«Sì, otto milioni, digitalizzarli è stato un lavoraccio. Ma così si possono leggere 140 anni di storia d’Italia attraverso quanto hanno scritto i giornalisti del Corriere. È un valore aggiunto piuttosto importante, disponibile per gli abbonati. Avevo detto chiaramente alla redazione, al momento di insediarmi, che avremmo lavorato a un sistema completo su tutte le piattaforme. I motivi sono ormai ovvi: i lettori vanno seguiti in qualunque luogo vogliano fruire di un tuo prodotto, inoltre il modello gratuito sulle piattaforme digitali ha una sostenibilità economica complicata».
Allo stesso tempo, l’attività si allarga notevolmente ai social media.
«Quella sui social è una parte importante del lavoro che facciamo e che faremo nei prossimi mesi. Abbiamo costituito una redazione che si occuperà dei social media, insieme alla smartphone edition. Saremo su Facebook anche con degli instant article: è importante farci conoscere e, soprattutto, quella è la via per arrivare a lettori che altrimenti non sapremmo come raggiungere. È un modo per restituire valore a quel che facciamo, per far sapere che le informazioni e le opinioni non possono arrivare solo dai blogger, ma da quanti sanno fornire quegli elementi di profondità che fanno il lavoro giornalistico diverso da quello dell’opinionista sulla Rete».
Ma dai social media e dal sistema delle instant news può arrivare, almeno per ora, un contributo davvero minimo al conto economico.
«Abbiamo già un accordo con Facebook e siamo nella fase realizzativa degli instant article e delle istant news, e con Google siamo in fase di intesa per tutto ciò che la digital company può offrire in termini di velocizzazione della fruizione dell’informazione e per stare sulla sua piattaforma. Anche in questo caso, l’elemento fondamentale della nostra strategia è costruire intorno al Corriere e al valore della sua informazione una comunità di lettori, evitando che questo valore si disperda e non ne venga apprezzato il contenuto. Un po’ come ha fatto il New York Times. E per il lancio della Lettura i social sono stati uno degli elementi decisivi».
Lei ha assunto direttamente la supervisione editoriale della digital edition e del nuovo sito. Si è ripreso il ruolo che poco più di una decina di anni fa, quando era vice direttore, Paolo Mieli le aveva affidato per trasformare il Corriere.it.
«La situazione era allora ben diversa: il digitale costituiva un mondo completamente separato. In una redazione completamente integrata, che lavora su più piattaforme, è normale che tutta la direzione sia punto di coordinamento. Con la fine della logica delle separazioni non hanno più senso neppure le deleghe».
Negli ultimi mesi in Rcs, lo si è notato da come l’ad Laura Cioli ha presentato il nuovo piano industriale, non si enfatizzano le aspettative economiche sul fronte digitale.
«Perché la carta è ancora molto importante. Lo è, e lo sarà ancora per tanto tempo dal punto di vista economico, per la riconoscibilità e il prestigio del brand Corriere con tutte le sue firme. Certo, in futuro i pesi cambieranno, parallelamente al variare degli equilibri di lettura tra carta e digitale. Ma è un processo che va accompagnato, dimostrando sempre di più che quanto facciamo sulla edizione tradizionale siamo in grado di farlo anche sulle altre piattaforme».
Degli obiettivi ve li sarete comunque dati.
«Certo che ce li siamo dati».
Insomma, non vuol dirmeli.
«Sono obiettivi collegati a un cambiamento culturale rilevante, perché l’ideologia dell’informazione sul web è nata all’insegna del tutto gratuito. Quindi, c’è bisogno di tempo perché si affermi. L’importante è partire bene, fare bene il nostro lavoro, in modo che la gente capisca che vale la pena, perché ciò che troveranno sul sistema Corriere non potranno trovarlo da altre parti. Arrivare a questo risultato è tutto compito nostro».
Si è sempre pensato che sul web si arrivasse all’informazione generalista a pagamento dopo un accordo fra gruppi editoriali. Qualcuno gufa, ma non pochi considerano la vostra decisione un po’ rischiosa.
«Tentativi di accordo? Nel panorama editoriale italiano vale il ‘wait and see’. Ognuno decide liberamente le proprie strategie e ritengo che il Corriere della Sera abbia la qualità e la forza per prendersi i margini di sfida che questa operazione comporta. Mi conforta che altre grandi testate nel resto del mondo abbiano preso questa strada. E so anche che le difficoltà di sostenere economicamente un modello gratuito di informazione sul web sono uguali alle nostre. Dicevano che eravamo matti anche quando abbiamo rilanciato La Lettura facendola pagare».
A chi è venuta l’idea?
«All’azienda insieme alla direzione del Corriere. Eravamo di fronte a un dilemma abbastanza drammatico. C’era un prodotto distribuito gratuitamente che gravava in modo pesante sul conto economico e dovevamo decidere se ridimensionarlo, eliminarlo o considerare qualche altra possibile opzione. A quel punto, insieme alla direzione Media, che fa capo ad Alessandro Bompieri, abbiamo pensato che ci fosse il pubblico che legge libri e frequenta festival culturali e che mancasse un prodotto. Da qui il rilancio con un investimento in temi, firme e anche per migliorare la carta. Abbiamo accettato di correre un rischio e sono arrivate 100mila copie. Ci credevo, ma il risultato è stato notevolmente superiore alle attese».
La scorsa primavera si diceva che sotto tiro oltre alla Lettura, ci fossero le edizioni locali e anche Sette.
«Sulle edizioni locali dobbiamo ragionarci, ma non si prevede di chiuderli. L’obiettivo è di rendere più uniforme il sistema, stando attenti ai costi».
Nella presentazione del piano industriale Laura Cioli ha parlato di informazione iperlocale.
«Sì, iniziative digitali iperlocal, un nuovo modo di fare informazione che si può realizzare con una nostra presenza diretta, ma anche utilizzando i blogger e quanto offre la Rete. È un progetto che stiamo studiando. Per Sette non è mai stata ipotizzata la chiusura. Dobbiamo studiare l’intero sistema Corriere, tutti i prodotti settimanali, e trovare per ognuno di quelli esistenti, o per qualcuno nuovo, il modo migliore per stare sul mercato, con più efficienza. L’ho detto anche alla redazione: voglio solo discutere progetti che stiano in piedi dal punto di vista economico. Un’azienda sana e un giornale sano sono i requisiti migliori per avere risorse per lavorare bene, alzare la qualità ed essere più liberi di fare il nostro lavoro. I collaterali continuano a darci soddisfazioni. Altre iniziative le lanceremo per celebrare i 140 anni del Corriere. È prevista anche una serie di eventi esterni. Anniversario a parte, proseguiremo con quelli all’interno del ‘Tempo delle donne’ e del ‘Bello dell’Italia’. Inoltre, andremo avanti con format tipo ‘L’Isis spiegato alle scuole’ che ha avuto un gran successo. Una volta si produceva solo un giornale di carta, ora una pluralità di prodotti attorno al brand».
A proposito di ragazzi: è difficile farli leggere.
«I giovani leggono in maniera diversa. Sono informati. Il problema è non farli accontentare della lettura veloce di Google News o di un blog. Puntiamo a intervenire seriamente sugli universitari, con offerte selezionate, cercando di prenderli nella fase decisiva tra studio e lavoro».
Ha concluso gli incontri con le varie redazioni per discutere della nuova organizzazione del lavoro. Ha iniziato dall’economia.
«Ho cominciato da lì, certo, ma è stato un caso».
Per la verità, l’ho detto per segnalarle che ero informato. In ogni caso l’area economia sforna un buon numero di prodotti ed è una delle prime ad aver realizzato l’integrazione tra carta e web.
«Sì, oltre alle pagine del quotidiano e al web, da lì esce il supplemento ‘CorrierEconomia’, lo speciale ‘CorriereInnovazione’, ‘EconomiaPro’».
Non tutti conoscono il prodotto ‘EconomiaPro’. Come è stato accolto?
«È una newsletter che arriva agli abbonati al servizio tre volte durante il giorno, un prodotto B2B per le aziende. È partita bene e ci sono margini per migliorarla ulteriormente, nella logica di individuare i diversi segmenti di lettori a cui fornire i prodotti giusti. Il rapporto con i professionisti è un versante su cui vogliamo lavorare perché c’è un buon mercato. Per quanto riguarda l’integrazione, in economia abbiamo già raggiunto l’obiettivo. L’area economia produce anche un canale verticale. La consuetudine a lavorare sulle varie piattaforme è già molto avanzata e ci permetterà di avere tutte le firme anche sul web. Anche per il giornalista, il valore del proprio articolo su una piattaforma che si rivolge a centinaia di migliaia di lettori aumenta notevolmente. Hanno fatto un gran lavoro in questo senso anche le cronache di Milano e di Roma, salute, i motori, le pagine Tempo Libero, il supplemento ‘ViviMilano’. Ora partiamo con le ultime cinque: cronache, politica, esteri, sport e spettacoli».
Lo spirito è completamente diverso da quello che aveva provocato la sventola, sottoforma di lettera, che Ferruccio de Bortoli aveva sferrato ai giornalisti del Corriere nell’autunno 2011, accusandoli di resistere alle innovazioni. In quel caso lei, condirettore, fece la parte del poliziotto buono, del mediatore. Ora, si passa a lavorare su turni.
«Le riunioni sulla nuova organizzazione sono state molto costruttive. C’è tanta consapevolezza e molta disponibilità. Naturalmente, in un giornale in cui è in atto uno stato di crisi, dove è in corso una riduzione del personale, in cui si lavora su tante piattaforme e in cui il peso della presenza si è spostato al mattino, perché è lì il momento di maggior lettura, è chiaro che possano emergere difficoltà e preoccupazioni. C’è un confronto serrato e stiamo cercando le soluzioni. Per fare la rassegna stampa che arricchisce la digital edition i giornalisti arrivano in redazione alle 5,30. Evidentemente quel passaggio con la lettera di de Bortoli è stato sicuramente duro, ma necessario».
Sparite anche le tensioni tra generazioni?
«La parte più giovane della redazione ha meno difficoltà a rapportarsi al digitale, ma tanti giornalisti della mia età hanno un atteggiamento, oltre che disponibile, molto interessato. Alcuni sembrano nativi digitali, altri hanno maggiori difficoltà a prendere le misure del mezzo, però non vedo sacche di resistenza. Inoltre, l’ultimo stato di crisi è stato gestito in maniera costruttiva. Quando per alcuni giornalisti si prospetta l’eventualità della pensione, è normale che qualche incrinatura possa emergere. Ma in maniera del tutto gestibile».
Oltre che in redazione, in questi mesi regna – almeno così appare all’esterno – la pace tra gli azionisti.
«Sì, è una fase in cui è stato lasciato al presidente e all’amministratore delegato dell’editrice il ruolo di realizzare gli obiettivi. Forse ciò deriva dal fatto che hanno deciso che non ci fosse un primus inter pares. Comunque dagli azionisti non arrivano pressioni, sono contento».
Invece, e ciò vale non solo per il Corriere, il rapporto tra giornali e banche, se non in qualità di azioniste come erogatrici di credito, continua a esistere, insieme al forte rischio che ciò influisca sull’informazione.
«Mi sembra che stiamo raccontando tutto ciò che accade. Basta leggere ciò che abbiamo pubblicato, anche gli articoli di Fiorenza Sarzanini su Banca Etruria e le altre tre banche coinvolte nelle ultime vicende».
Intanto, il 15 gennaio si è aperta una bella sfida. Mi riferisco al cambio del vertice giornalistico di Repubblica. Su quella poltrona di direttore siede Mario Calabresi che per lungo tempo sembrava destinato a occupare quella dove ora siede lei.
«È il bello della competizione. Con Calabresi l’editore di Repubblica ha fatto un’ottima scelta. È un professionista molto impegnato sugli stessi nostri fronti».
Finora i due giornali andavano a pescare in bacini politici molto differenti. Pensa che Repubblica possa aggiustare la sua linea sconfinando sui vostri terreni?
«È difficile che si realizzi un’eventualità del genere. I lettori di Repubblica sono molto identitari e, a detta di loro stessi, spesso molto più radicali di quanto sia il giornale. Per cui spostarne ulteriormente la linea potrebbe creare qualche problema. Per il profilo che abbiamo, possiamo continuare a presidiare serenamente la nostra area».
Nei confronti di Matteo Renzi il Corriere è diventato un po’ più duttile.
«Qualche volta sì, qualche volta no. Rispetto ai rapporti con l’Europa non siamo certo stati teneri. E neppure sui temi economici. Sì, la riforma elettorale... Non è fantastica, ma è comunque meglio della precedente. Così è per le unioni civili: alla fine spero che si arrivi a una legge che riconosca alcuni diritti, come accade nel resto di Europa. Abbiamo un atteggiamento molto laico».
Ma a differenza di de Bortoli, lei Renzi lo sente?
«Ogni tanto, non tantissimo. Con una frequenza non enorme sento un po’ tutti».
Chi dell’opposizione?
«È venuto in redazione anche Matteo Salvini, in scarpe da ginnastica: ci ha tenuto a farsi fotografare nel corridoio della direzione. E sento Silvio Berlusconi. Pure la Meloni».
I Cinquestelle, no?
«Un po’ più raramente. Tempo fa è stato qui Gianroberto Casaleggio. Noi seguiamo molto bene il movimento, visto che sono quasi un terzo dell’elettorato. Il nostro Emanuele Buzzi fa un buon lavoro tutti i giorni. Ogni tanto i Cinquestelle si arrabbiano, dicono di non voler più parlare. Ma per fortuna dura poco».
Questa estate avete fatto un macello su Roma e l’ex sindaco Ignazio Marino. Non avete esagerato?
«Roma il macello se l’è fatto da sola. Anche quel che è successo dopo ha dimostrato che quanto avevamo scritto era necessario. Roma è la capitale d’Italia, una città meravigliosa in cui ho vissuto per tanto tempo e che amo: sicuramente ha bisogno di ricostruire un minimo di amministrazione decorosa e civile. Bisogna ripulire un’amministrazione che, come dicono le inchieste, era nelle mani di clan e lobby affaristiche. Non gioco sulla contrapposizione tra le due città, ma Milano in questi anni è diventata la vetrina internazionale dell’Italia, Roma invece ha avuto una forte regressione amministrativa e nella capacità di rappresentarsi. Spero che le prossime elezioni siano un punto di svolta, che facciano emergere una classe politica capace di prendere in mano i destini della città».
Anche Milano guarda alle prossime elezioni amministrative. E almeno il centrosinistra è già impegnato nelle primarie per scegliere il candidato a succedere a Giuliano Pisapia.
«Stiamo seguendo questa sfida molto interessante all’interno del Pd. Vedremo poi la situazione quando il centrodestra – che dai sondaggi che vedo ha un elettorato molto vicino al centrosinistra – finalmente deciderà il proprio candidato».
Avete rinnovato in maniera decisa anche il settore degli esteri.
«È stato un cambiamento molto guidato. Abbiamo cercato di elevare le capacità di intervento del Corriere sui temi internazionali. Ciò ha contribuito anche a togliere tutta quella politica un po’ ordinaria che costituiva un aggiustamento progressivo di minuzie. Sulla politica facciamo più selezione in modo che uno possa leggersela più volentieri. Abbiamo aumentato le storie e le inchieste. Contrariamente a quanti mi considerano un giornalista politico, sono un appassionato del giornalismo che racconta le persone e le storie».
Intervista di Carlo Riva