Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 06 Sabato calendario

GRILLINI SU MARTE


[Chiara Appendino]

Non c’è niente di più torinese del mercato di Porta Palazzo. Non deve essere un caso, allora, se proprio qui è avvenuto l’incontro di Chiara Appendino, 31 anni, mamma di Sara da un paio di settimane, con la politica. Con la borsa della spesa si avvicinò a un tavolino del Movimento 5 Stelle, verso il quale già mostrava simpatia il marito Marco Lavatelli, e scoppiò la scintilla. La selezione dal basso, come recita la leggenda grillina, ha portato la giovane torinese prima in consiglio comunale e ora a sfidare Piero Fassino, l’ex comunista che si ricandida, anche se forse sperava di fare dell’altro, per la carica di sindaco.
Torino come Parma e Livorno? I sondaggi oggi dicono che Appendino, pur distante di circa 13-14 punti, è la più seria sfidante di Fassino e se dovesse arrivare al ballottaggio potrebbe rappresentare una sorpresa perché il suo profilo, personale e politico, sta diventando familiare, conquista, rassicura. Se uno gira la città, dalle file per vedere la mostra di Monet davanti alla Galleria d’Arte Moderna – uno dei segni con il grattacielo di Intesa Sanpaolo della nuova economia torinese post-fordista – fino ai bar attorno alle storiche porte di Mirafiori ormai deserte, difficilmente troverà qualcuno che giudica Appendino una pericolosa grillina. Anzi. È tutto un distinguo. Sì, sta con i 5 Stelle, ma è educata, non ha lo stile del Vaffaday. Brava, studiosa, ci si può fidare. Una donna giovane, determinata, che si ispira alla Comunità di Adriano Olivetti, con un programma politico illuminato (concentrato su tre priorità: lavoro, povertà, periferie).

Figlia d’arte
Chiara Appendino non spaventa i poteri e gli imprenditori della città, almeno per ora. La candidata grillina non fa paura forse perché ha confidenza con le stanze del potere torinese. È figlia di Domenico, manager e vicepresidente di Prima Industrie, azienda all’avanguardia nei macchinari laser, guidata da Gianfranco Carbonato – che è l’attuale presidente di Confindustria Piemonte. Ha fatto gli studi giusti, compreso un periodo in Germania durante il liceo (recentemente ha concesso un’intervista in tedesco a Die Welt), si è laureata all’università Bocconi con Tito Boeri, attuale presidente dell’Inps, sui criteri di valutazione del parco giocatori nelle società di calcio.
Questa competenza, ma forse anche il cognome che in certi ambienti conta sempre, le ha aperto le porte della Juventus, dove si è occupata di pianificazione finanziaria e poi, in un momento di ricambio generazionale, si è messa a lavorare nell’azienda del marito che si occupa di prodotti per la casa. Ora la politica, l’ambizione di prendere la guida della città, di sostituire Fassino che l’ha definita «la Giovanna d’Arco della moralità».
Cosa vuole fare? Appendino ha presentato il suo programma alla Falchera, quartiere di periferia. Immagina una «città solidale, sicura, sana», «multicentrica» valorizzando i quartieri trascurati; vuole tagliare del 30% le spese della politica e creare con le imprese un fondo per la lotta alla povertà, recuperando subito 5 milioni dalle spese dello spoils system. Ma c’è qualche cosa che precede il programma, è una filosofia di fondo che la candidata ci illustra. «Come ho scritto nel libro La città solidale si deve ricucire il rapporto tra i cittadini e i governanti, ma anche tra i cittadini», spiega, «abbiamo assistito a un progressivo calo di fiducia dei cittadini negli amministratori che avrebbero dovuto governare la città. Certo è un problema non solo di Torino, ma da noi è stato accentuato perché Fassino ha descritto e dipinto una città che non esiste che rappresenta solo una parte della realtà». E qual è la “vera” realtà? «Accanto alla città più bella e attiva», risponde Appendino, «c’è la Torino che soffre e fa fatica, la nostra città ha il primato della disoccupazione giovanile: tra i 18 e i 24 anni ben il 44% dei giovani non studia e non lavora. Fassino ha finora seguito il metodo di infondere ottimismo, ma alla fine ha costruito una città parallela nella quale una parte dei cittadini non si riconosce. Solo se Torino diventerà una comunità potrà iniziare a risolvere i problemi più profondi della sicurezza, della povertà, dell’integrazione e dello sviluppo».

L’outsider e l’usato sicuro
Appendino sindaco, dunque? «È una grillina atipica: è una ventata d’aria fresca per l’amministrazione, ha una forte empatia con la città», risponde l’industriale Marco Boglione (Robe di Kappa, Superga, Kway), secondo il quale «Fassino ha lavorato bene in una situazione difficile, ma se non vince al primo turno poi rischia». Diego Novelli, il sindaco degli anni più duri, non ha dubbi: «Non giochiamo con le fanfaluche dei grillini. Non si può affidare Torino a una consigliera inesperta che in cinque anni non ha fatto molto. Io sto con Fassino, è un gran lavoratore, lo voto anche se Renzi non mi piace e dirò no al suo referendum».
Fassino è un politico d’esperienza, l’usato sicuro. Ha vissuto tutti i cambi di stagione della sinistra, tra modernizzazioni e diaspore dolorose. Ha lavorato per dare un’impronta diversa alla città, puntando sulle innovazioni, l’università, il turismo, il sistema museale, i collegamenti superveloci come la Tav (però si tagliano i treni Frecciarossa con Milano...). Un impegno difficile non solo per la cultura industriale del passato, ma perché su Torino, di cui molti hanno riscoperto la bellezza (il New York Times la segnala come meta del 2016), grava un debito spaventoso (circa 2,9 miliardi iscritti nel bilancio 2015) in una regione, il Piemonte, indebitata fino al collo. Fassino prova ad allargare la base elettorale, sperimentando l’asserita modernità del partito della Nazione. Enzo Ghigo, sodale di Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia e per dieci anni governatore del Piemonte, gli porta il suo voto. L’ex destra berlusconiana è allo sbando, la Lega ha perso la faccia con l’ex governatore Roberto Cota che con i soldi pubblici comprava mutande verdi. Poi ci sono i poteri, anzi c’è Sergio Marchionne, il più potente di tutti, che fa quello che vuole.

Il fattore M
In città molti ricordano quando il sindaco, nel dicembre 2010, alla vigilia del referendum sulle nuove regole in fabbrica imposte da Marchionne, dichiarò: «Se fossi un operaio Fiat voterei sì». L’adesione quasi acritica della politica alle scelte del manager dei due mondi ha consentito alla Fiat di non rispettare i piani di andarsene, di pagare le tasse altrove. Intanto migliaia di cassintegrati attendono la ripartenza di Mirafiori «Marchionne ha appena detto che a Mirafiori sarà prodotto solo il Suv Maserati Levante», rileva lo storico dell’industria Giuseppe Berta, «ora se l’anno scorso lo stabilimento d Grugliasco ha prodotto circa 30 mila vetture, quante ne può produrre Mirafìori con un solo modello, molto costoso? Forse la metà, e con questi numeri quali prospettive può avere la fabbrica? Inoltre è stato rinviato di nuovo il rilancio dell’Alfa Romeo, Marchionne sta rimandando la questione a quando lui non sarà più al vertice del gruppo. A Torino l’azienda leader ormai è Lavazza, mantiene gli impegni».
Chi farà il sindaco avrà davanti una sfida epocale. La povertà e l’emarginazione pesano. I poveri non sono diseredati ma giovani o cinquantenni che lavorano e non ce la fanno perché il lavoro vale sempre meno. Ma «a Torino c’è ancora la sinistra», dice l’ex segretario della Fiom, Giorgio Airaudo, che si presenta con la lista “Torino in comune”, nella quale vuole tenere insieme tutto quel che c’è a sinistra del Pd. «Questa è la città delle nuove solitudini, del precariato di massa, dove il centrosinistra ha fallito», afferma. «Fassino è il pensionato del partito della Nazione e Appendino flirta con l’establishment. La politica deve riscattare il lavoro, battersi per chi sta peggio».

Città ex operaia
La trasformazione di Torino «da factory town, simbolo del lavoro e dell’industrializzazione del Novecento, a una città con un profilo plurale, con una nuova vocazione verso l’economia della conoscenza», come racconta il sindaco, non è indolore, fa i conti con il retaggio della caduta della grande industria e del profondo disagio sociale. Il rapporto 2015 Giorgio Rota su Torino, dal titolo La sfida metropolitana, documenta una città dove sono presenti «marcate sofferenze».
Il lavoro a tempo indeterminato conta sempre meno: la percentuale dei posti fissi sul totale delle assunzioni è scesa dal 19 al 10,7% tra il 2008 e il 2014. La durata dei contratti a termine è passata nello stesso periodo da 156 a 121 giorni di media. Le statistiche non rilevano ancora l’impatto del Jobs Act, ma per dare una speranza ai giovani ci vuole un miracolo. Torino ha il record della disoccupazione giovanile in tutto il Centro Nord, pari al 49,9%; bisogna scendere a Catania, Reggio Calabria, Napoli, Bari, Palermo per trovare dati peggiori.
Il reddito medio si è ridotto in quattro anni del 15,7%, i consumi sono calati del 17,9% e tra il 2007 e il 2013 il numero delle famiglie assistite economicamente dal comune è più che raddoppiato (più i 122%). La Caritas, infine, elenca quali sono i nuovi poveri in fila davanti alle sue porte per chiedere aiuto: operai, addetti alle pulizie, colf. Chi saprà dare le risposte giuste a queste emergenze?