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 2016  febbraio 06 Sabato calendario

CONSIGLI CHE NON TI ASPETTI


[Andrea Consigli]

Occhi buoni e faccia pulita: sarà mica per questo che la sua carriera è stata inferiore alle attese? «Sarebbe grave. Invece io dico che è andata in questo modo perché così doveva andare. Destino, quella roba lì. Cosa vuole, io sono fatalista». Fatalista o no, a 29 anni e per le doti dimostrate tra i pali in 6 stagioni di onoratissima carriera a Bergamo, fa specie che Andrea Consigli non sia a difendere la porta di una “grande”. Invece, con tutto il rispetto, l’anno scorso dall’Atalanta si è trasferito al Sassuolo.
Le è mancato il procuratore giusto?
(ride) «A queste cose non credo. La verità è che in Italia il calcio è strano, ancora di più riguardo ai portieri. L’ultimo del nostro campionato che è andato a giocare in un club di prima fascia è stato Handanovic, dall’Udinese all’Inter».
Perché?
«Piazze belle come Roma o Napoli hanno pressioni tali che i dirigenti preferiscono prendere un portiere fatto e finito, di nome e di esperienza, per non gettare un agnello in pasto ai leoni. A Napoli hanno sostituito il più giovane Rafael con Reina. Il Milan si era affidato a Diego Lopez dopo aver preso Agazzi, subito bruciato. Un altro che ha fatto un salto è stato Marchetti, ma dal Cagliari alla Lazio, mica alla
Juve. Anche perché lì c’è Buffon, e chi lo tocca? Intanto in Inghilterra e Germania vedo portieri 20enni in Champions».
Perché ha detto sì al Sassuolo?
«Avevo chiarito all’Atalanta che consideravo finito il mio tempo lì e loro erano disposti ad accontentarmi, soprattutto per motivi economici. Guadagnavo parecchio per i parametri del club e la fine del contratto era vicina. Il Sassuolo ha accettato le mie richieste e ha un progetto tecnico che mi intriga. È un matrimonio di cui sono orgoglioso e che rifarei».
» una squadra da Europa League?
«Sì. Il Sassuolo cresce anno dopo anno. Squinzi è un presidente ambizioso, sarebbe da folli non provarci già quest’anno».
Da bambino giocava con quelli più grandi di 3 anni, alla Sambenedettese, a 19 ha stabilito il record di imbattibilità per un portiere del club, idem l’anno dopo a Rimini: portieri si nasce? «A 4-5 anni, nella squadretta del mio paese, Cormano, iniziai giocando fuori, ma l’istinto del portiere l’ho sempre avuto: in casa mi tuffavo in continuazione nonostante il pavimento in marmo. Un giorno dissi al presidente: o convinci l’allenatore a mettermi tra i pali, o non gioco più».
Ma perché si era stufato di giocare fuori dai pali?
«Proprio perché giocavo con quelli più grandi: non la prendevo mai».
A 17 anni la cercò l’Arsenal. Rimpianti di aver detto no? «Zero. Ho sempre pensato che a quell’età l’Atalanta, dove avevo fatto la trafila delle giovanili, fosse il posto migliore per crescere. Avevo due grandi maestri: Mino Favini, responsabile del settore giovanile, e il preparatore dei portieri Massimo Biffi, che non a caso oggi è in prima squadra».
Oggi andrebbe a giocare all’estero?
«Sì. Per come si vive il calcio, penso che l’Inghilterra sia il massimo, con la Germania subito dietro. Come esperienza di vita, però, sceglierei gli Stati Uniti».
Nel 2002, a 15 anni, i giornali nazionali parlavano di lei come di un predestinato. Nel 2010, ormai professionista, il giudizio era diverso: “debole, soffre la pressione del ruolo”.
(ride) «È normale. Era il mio primo anno da titolare in A. Avevo esordito con Delneri allenatore nella stagione precedente, ma subentrando a Coppola a febbraio. In estate era arrivato Conte e mi aveva promosso. Ma durante il campionato cambiai 3 preparatori, ciascuno con una propria visione del ruolo del portiere. A 23 anni non è una cosa che ti fa bene. Persi le mie certezze, con esse il posto, alla fine la squadra retrocesse. Ma tutto serve: l’esperienza negativa mi fortificò e l’anno dopo ancora ripartii titolare in B e venni eletto miglior portiere del campionato».
Cosa le disse Conte per giustificare la sua decisione di sostituirla? «Mi disse... No, lasciamo perdere».
Dài. Le aveva fatto qualche promessa che poi disattese? «No, Conte non è tipo da promesse. A inizio stagione mi aveva detto che per le mie qualità dovevo ambire alla Nazionale, dietro a Buffon secondo lui c’era un vuoto che avrei potuto colmare. Dopo la squadra entrò in crisi, io commisi qualche errore e lui decise di cambiarmi. Ci sta, ero il portiere più giovane della Serie A e noi portieri paghiamo sempre il cattivo andamento della squadra. Soprattutto se si è a inizio carriera. Poi Conte fu esonerato, arrivò Mutti che mi rimise titolare, ma ormai la stagione era andata».
Ma lei sentiva davvero di essere debole psicologicamente, all’epoca?
«Non mi sono mai sentito debole, ma neanche il più forte, nemmeno quando ero titolare dell’Under 21 ed effettivamente ero il più quotato tra i portieri della mia età. Sono sempre stato ipercritico verso me stesso: mi rivedo sempre in tv, studio ogni particolare della mia partita, non sono mai soddisfatto. Forse è un difetto».
È rimasto scontento anche dopo la prestazione eccezionale contro l’Inter a San Siro?
«No. Però ho guardato i video per capire se certe mie parate obiettivamente spettacolari erano proprio necessarie o se, piazzandomi in maniera diversa, avrei potuto fermare i tiri avversari con maggiore semplicità. Lo so, mi faccio delle pippe mentali, ma mettermi in discussione è anche la mia forza».
Chi sono gli attaccanti più forti che ha affrontato?
«Ibrahimovic è il più forte in assoluto: fa impressione il solo vederlo. Una montagna. E quando tira ti scalda veramente le mani. Poi Higuain: in area è un serpente, prende la porta da qualsiasi posizione».
Il portiere perfetto, invece, dovrebbe avere la presa di...?
«Con questi palloni ultraleggeri e i campi sempre bagnati, la presa è una qualità che si sta un po’ perdendo. Il più forte che ho visto in Italia è stato Peruzzi. Poi Toldo».
Il colpo d’occhio di...?
«Di Buffon, il migliore di tutti».
L’agilità di...?
«Alberto Fontana. Non era altissimo, era magro, ma tra i pali volava».
Il senso della posizione di...?
«Dida. Nei suoi anni d’oro al Milan non si tuffava neanche».
Il tempo nelle uscite di...?
«Marchegiani».
La capacità di giocare coi piedi di...?
«Victor Valdes e Claudio Bravo».
I suoi punti forti e quelli deboli?
«Sono un portiere reattivo, ma volo poco, se posso parare in piedi lo faccio. Posso migliorare sui tiri da lontano e nelle uscite. In Italia puoi fare 3 belle parate, poi sbagli un’uscita e ti mettono in croce».
Donnarumma è un predestinato?
«Ha tutto per essere il nuovo Buffon. A 16 anni non ho mai visto qualcuno giocare con la sua stessa disinvoltura e tranquillità. E i mezzi fisici che gli ha dato madre natura non glieli toglie nessuno».
Tra qualche anno avrà più rimpianti o bei ricordi? «La vita è fatta di momenti. Essere al posto giusto in un certo momento può cambiarti la carriera. All’esordio in A ho fatto molto bene: 3 vittorie di fila senza prendere gol, titolare da febbraio a maggio. L’anno dopo, quando avrei dovuto confermarmi, ho perso il posto. Fosse andata diversamente, la mia carriera sarebbe svoltata, invece sono rimasto a Bergamo e molti, negli anni seguenti, hanno detto di me: questo è un portiere da Atalanta. Sono gli stessi che adesso forse diranno: questo è un portiere da Sassuolo. Ma io so che non sono troppo vecchio per non pensare ancora in grande».