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 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

LA LIQUIDITA’ IN DOLLARI CALA: ECCO COSA ACCADE CON LA SVOLTA FED

La fine della politica monetaria ultra-espansiva da parte della Federal Reserve e la necessità di molte banche centrali di “bruciare” riserve valutarie (denominate soprattutto in dollari) hanno avuto nell’ultimo anno un effetto dirompente sui mercati finanziari: hanno ridotto la liquidità globale denominata in dollari. Hanno insomma rinsecchito la grande “flebo” che per anni ha alimentato Borse, titoli di Stato e valute. Questa è la vera spina nel fianco dei mercati finanziari almeno dalla metà del 2015, non compensata dalle iniezioni di denaro in altre valute: in un’economia mondiale che secondo le stime di Banca del Ceresio è per il 60% «dollarizzata» in varie forme, la contrazione della liquidità in dollari rappresenta infatti un problema enorme. In grado, come sta accadendo, di far saltare molti equilibri in giro per il mondo.
Sono i dati a parlare da soli. Secondo un indice di Bank of America che misura la liquidità globale (intesa come la somma tra i bilanci delle banche centrali e le riserve valutarie), è dalla prima metà del 2015 che la marea ha iniziato a ritirarsi. Un po’ perché la Fed ha smesso di stampare dollari, ancora prima di rialzare i tassi a dicembre. Un po’ perché le riserve valutarie delle banche centrali sono diminuite - a livello globale - di mille miliardi di dollari dai massimi toccati nel 2014. Solo la Cina ha bruciato circa 700 miliardi di riserve (che ammontano ancora a 3.300 miliardi di dollari), nel tentativo di limitare le svalutazioni della propria moneta. Ma anche i Paesi esportatori di petrolio hanno iniziato a fare lo stesso. Questo ha prodotto una riduzione della liquidità denominata in valuta Usa a livello mondiale, creando un effetto creditizio restrittivo in tutto il globo. Soprattutto nei Paesi emergenti che, iper-indebitati in dollari, si stanno strozzando. Morale: mentre le banche centrali di mezzo mondo annunciano manovre monetarie sempre più espansive, esiste una forza che rema diametralmente nella direzione opposta.
Questo è un problema per tutti, perché il mondo è ancora troppo dollarizzato. Sono denominati in dollari i debiti di molte aziende in giro per il globo: stima Morgan Stanley che le imprese non statunitensi abbiano un indebitamento in valuta americana pari a 9.200 miliardi di dollari (erano appena mille miliardi 10 anni fa). Molti di questi sono nelle pance delle imprese dei Paesi emergenti. Sono denominate in dollari le materie prime, e dunque gran parte delle riserve valutarie delle banche centrali che le esportano. Sono denominate in gran parte in dollari anche le riserve di Paesi non esportatori di materie prime, come Cina e Giappone. Avviene inoltre in dollari il 42,68% dei pagamenti globali, secondo i dati di Swift.
Ecco perché se la liquidità in dollari si riduce e se i tassi americani salgono, i contraccolpi sono globali. Ecco perché, per contro, se la Federal Reserve cambia marcia (e rallenta i rialzi dei tassi come il mercato spera ora), i benefici possono sentirsi in molte parti del mondo. A partire dai Paesi emergenti.