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 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

LO SPOT? TE LO LEGGO NEL PENSIERO


"I nostri committenti dell’industria si chiedono: come faccio a fare emergere la mia proposta commerciale rispetto a quelle della concorrenza, o semplicemente a farmi notare? Il problema non si porrebbe se avessimo un sistema – un traduttore, dentro la testa – abbastanza evoluto. Il nostro hardware è invece composto da circa 100 miliardi di neuroni, 10 gigabyte, forse meno di quello che c’è in un iPad. Non possiamo fare la foto alle cose: non abbiamo la capacità di memorizzare immagini e concetti in una forma fotografica. Perciò dobbiamo basarci, come gli animali prima di noi su alcune strategie: ricordiamo maneggiando piccolissimi pezzetti di informazioni e poi ricostruendoli sempre sottoforma di storie. Ricordare con una storia è più efficace del flash o del frammento, perché la pressione evolutiva ci ha dotato di sistemi per la selezione dell’informazione”.
Fabio Babiloni, docente di fisiologia e direttore scientifico di BrainSigns, spin off dell’università La Sapienza di Roma, spiega una delle metodologie con cui è stata impostata la nuova campagna di comunicazione per il lancio del rebranding di Telecom Italia in Tim. La parola magica è neuromarketing. BrainSigns lavora sulle emozioni. Più esattamente fornisce alle aziende servizi basati sulla registrazione di segnali fisiologici di attività cerebrale e di reazione sensoriale. “Per trasferire gli otto megapixel della retina al nostro cervello ci sarebbe voluto un cavo – un nervo ottico – piuttosto grosso, mentre noi abbiamo una codifica tipo jpeg e sulla nostra retina passa solo un megapixel. Ciò ha dato luogo a un meccanismo di selezione delle informazioni che noi adesso chiamiamo emozione. Le emozioni sono meccanismi di qualificazione sensoriale che l’evoluzione ci ha fatto raffinare per consentirci di scegliere quali informazioni mettere in memoria. Un buon film, per esempio, per avere successo deve sollecitare una parte del nostro sistema che qualifica il flusso percettivo come importante”.
Dai film alla pubblicità. “Le parti del cervello che generano emozioni e decisioni si parlano pochissimo con la corteccia cerebrale, perché sono arrivate prima. È come se si agganciasse una stampante 3D a un pc del 1980 e, soprattutto, queste strutture sottocorticali possono accendere e spegnere la corteccia cerebrale. È un fenomeno che conosciamo bene: a volte possiamo compiere azioni di cui non ci capacitiamo 10 minuti dopo e diciamo: ma quello non ero io. Fa parte del fatto che esistono tanti sistemi che agiscono in parallelo. Ognuno di questi sistemi può prendere il controllo e noi sperimentiamo questa dicotomia. Non occorre che pensiamo a un raptus omicida, ma più banalmente a ciò che abbiamo nel carrello all’uscita del supermercato:è ciò che volevamo comprare? Quando noi percepiamo un’emozione alcuni parametri corporei si alterano, e ciò avviene anche a livello cerebrale. Se noi misuriamo queste alterazioni – e qui sta l’aspetto scientifico – è possibile interpretarle”.
Le ‘interpretazioni’ che offre BrainSigns, misurando queste alterazioni, sono declinate in diversi campi. La valutazione dell’efficacia di uno spot o di una campagna istituzionale, si chiama neuromarketing.
“Nel nostro cervello ci sono strutture che lottano per il tutto e subito. Sono molto basse, sottocorticali: la Borsa va giù, vendo le azioni. E strutture corticali che tendono a prendersi del tempo: tengo i titoli anche se la Borsa va giù. Queste strutture vengono costantemente interrogate quando bisogna prendere qualche decisione. È possibile rilevare segni di questa attività cerebrale ed emozionale per studiare la reazione agli stimoli commerciali che ci vengono proposti. Il neuromarketing è molto più efficace dei vecchi metodi. Misurando invece l’attività cerebrale ed emozionale delle persone – il battito cardiaco, la traspirazione delle mani, il puntamento dello sguardo, alcune attività che si sviluppano nella corteccia prefrontale – è possibile avere risposte affidabili”.
Per esempio è possibile scoprire che, nello spot di un’auto guidata da un’attrice, gli uomini si soffermeranno maggiormente su di lei – il viso, lo sguardo rimandato dallo specchietto – e le donne daranno una risposta emotiva più intensa al suo gesto di allacciare le cinture di sicurezza ai figli. E quindi decidere se accentuare la seduttività dell’auto oppure sottolineare la sicurezza che offre a chi la guida. Oppure rendersi conto che un attore utilizzato per lo spot di una banca offusca, con il suo protagonismo, il messaggio che la banca vuole lanciare, e quindi bilanciare e correggere lo spot. Benvenuti nel magico mondo del neuromarketing.
Roberto Casalini