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 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

SONO ANZALDI. LICENZIO GIORNALISTI – 

Anche agli epurator succede di contraddirsi. In fondo pure loro sono caduchi esseri umani e così è capitato persino all’onorevole Pd Michele Anzaldi, membro e segretario della Commissione di Vigilanza Rai e numero uno della categoria. Il 14 dicembre l’epurator della Generazione Leopolda condanna chi critica i giornalisti e tocca la libertà di stampa «è un errore farlo» tuona (specificando, prudente, che ci sono giornalisti e giornalisti.) Un mese dopo, Anzaldi smentisce Anzaldi gridando all’untore per la frase di Massimo Giannini, conduttore non allineato di "Ballarò", reo di denunciare «rapporti incestuosi» nella vicenda di Banca Etruria. Apriti cielo! La peste della critica- quella degli altri ovvio - va fermata subito, è il primo comandamento degli epurator. A essere precisi Anzaldi non critica Giannini. Confessa di sperare in una veloce condanna per calunnia. E di voler vedere al più presto rotolare la sua testa a opera della ghigliottina dei vertici Rai.
Che sia un editto bulgaro numero due com’è stato subito definito (il primo, immediatamente esecutivo, fu di Silvio Berlusconi) o siano parole in libertà, come sperano altri, in ogni caso Anzaldi, ombroso palermitano di 56 primavere, potrebbe tenere - al Mit, alla Sorbona, al Mgimo di Mosca - un master ad alta specializzazione in anatemi, scomuniche e condanne. Nessuno tocchi Maria Elena Boschi, è il sottotitolo dell’editto in questione. Soprattutto per lui autore di una scandalizzata lettera all’allora presidente Rai Anna Maria Tarantola per sapere se condivideva l’imitazione che a "Ballarò"- sempre "Ballarò"!- Virginia Raffaele faceva del ministro per le Riforme Costituzionali:«La sua colpa sarebbe quella di essere affascinante?» era la drammatica domanda conclusiva di Anzaldi con tanto di richiesta, sottintesa, del taglio di un’altra testa ancora, quella della sconsiderata comica. Ma come: e la libertà di stampa che non si tocca? E l’indipendenza della satira? Imprescindibile. Non se si tratta dei cari di Anzaldi.
Non passa giorno che il più dedito sacerdote del renzismo mediatico, il templare della teologia del segretario del Partito Democratico, devoto però in primis a Paolo Gentiloni (fu lui a scoprirlo) non bastoni, non chieda lumi e nomi da eliminare, non minacci interrogazioni parlamentari. Il campo d’azione è vasto. Il tribunale non conosce confini. Ma l’inquisizione primaria su cui indirizzare fulmini e strali sono Rai Tre, a suo dire molto indisciplinata, e il Tg3, troppo ribelle. Tutt’e due macchiati di atti criminali: non dare voce, adeguata e rispettosa, all’operato renziano.
Inseguito dalle proteste di Usigrai (sindacato dei giornalisti Rai) e della Federazione della Stampa, dagli altolà d’illustri intellettuali (Roberto Saviano sull’editto Giannini) e dalla costante riprovazione della minoranza Dem, Anzaldi, carinamente definito da Beppe Grillo "Goebbels", clessidra alla mano, pignolo più dell’Osservatorio di Pavia, appura, mette nel mirino e spara. Contro Bianca Berlinguer, una sviolinata: «Se dipendesse da me riterrei che ha dato tanto, ma così tanto alla Rai, che può anche bastare». Contro il consigliere Rai Carlo Freccero (che lo considera un «pazzo sciagurato») quasi un inchino:«È un padre della patria, ma ormai è superato». A casa, anche lui. Contro Andrea Vianello, capo di Rai Tre, convocato in Vigilanza per i misfatti della rete (troppi grillini, troppa Cgil e Fiom), una dolce carezza:«È arrogante, speriamo non faccia altri errori». Quando, in un’intervista per "La Stampa", Gabriele Martini gli chiede se è partita l’offensiva di Renzi per la presa di Rai Tre, epurator risponde sereno: «Visti gli ascolti, farebbe bene».
Fondatore ai suoi esordi di Telefono verde e poi di OP-LA (Osservatorio permanente di Legambiente), Anzaldi è un solido ramo dell’albero genealogico renziano, il capostipite è Francesco Rutelli, il padre putativo (per lui) l’attuale ministro degli Esteri Gentiloni, poi giù lungo il tronco il variopinto e giovane Giglio magico. Negli anni Novanta collabora all’imperdibile rivista "Rifiuti Oggi" e lavora come redattore a "Milano, Italia" in onda su Rai Tre (vedi il destino) al tempo della conduzione di Gianni Riotta. È l’incontro con Gentiloni, direttore del mensile "La Nuova Ecologia" a cambiare il karma del futuro epurator. Viene nominato capo ufficio stampa in Campidoglio con Rutelli sindaco e Gentiloni plenipotenziario. Poi con il ruolo di portavoce li segue in tutto il loro percorso politico, l’Ulivo, la Margherita, il Pd. Alle politiche del 2013 arriva la candidatura a Bologna, città che gli è estranea. Ma non c’è da preoccuparsi: la sua posizione in lista è più che blindata.
Al Comune di Roma, Anzaldi aveva un vice: Filippo Sensi, ora potentissimo speaker e consigliere principe della comunicazione renziana. Alcuni cronisti politici ricordano come la coppia sembrasse uscita da un film americano ambientato nel Bronx. Anzaldi vestiva i panni del poliziotto cattivo e già allora mandava missive di fuoco quando, secondo lui, la stampa era irriverente con Rutelli. Sensi era lo sbirro buono, quello che media e ammorbidisce. Oggi non c’è intervista in cui l’ex vice, diventato anche blogger di successo con l’acronimo Nomfup, non celebri i talenti di Anzaldi «È il più grande spin doctor italiano, è il mio maestro».
Editto dopo editto, con il sostegno dei renziani che sottoscrivono le sue ire e Palazzo Chigi che finora non l’ ha mai né smentito né consigliato una tisana alla camomilla, Anzaldi è diventato un epurator maturo e a tutto tondo. Al grido di «No a Montalbano taroccato» ha diffidato la Rai dal cambiare il set siciliano del personaggio di Andrea Camilleri. Ha bollato Massimo Gilletti per la trasformazione del servizio pubblico in deplorevole arena e ha attaccato viale Mazzini a causa di "Ghiaccio bollente". Ghiaccio bollente? «Sulla strategia in campo musicale della Rai, in particolare su chiusura di programmi come "Ghiaccio bollente", presenterò un’interrogazione parlamentare» ha scritto su "L’Unità". Tempo fa, sconvolto dalla versione Usa di Monopoli, ha spedito una stizzosa lettera (ancora? sarà una fissazione?) firmata anche da altri sei deputati Pd, all’ambasciatore americano in Italia protestando per il modello di «finanza irresponsabile» rappresentato dalle «preoccupanti novità del gioco». L’iniziativa ha avuto un seguito, ma di notevole sarcasmo. Sul web Marco Agnoletti, storico portavoce di Renzi a Firenze, ha ironizzato: «Abolito il gioco dell’oca: gli animali non si sfruttano!».
Ma in questo momento l’editto "Ballarò"-Giannini, l’ultimo della collezione Anzaldi, pone più che mai il problema della libertà d’informazione e del controllo della politica sul servizio pubblico. «La Rai mi può licenziare, il Pd no», ha replicato Giannini in diretta. Viale Mazzini è alla vigilia di una gran tornata di nuove nomine editoriali e il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto è diventato un amministratore delegato con in mano quasi tutti i poteri. Molto spesso gli editti non sono vani. E raramente gli epurator parlano a caso.