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 2015  novembre 28 Sabato calendario

PERISCOPIO

La Repubblica sarà guidata da Calabresi. Disappunto nella Lega Nord. Gianni Macheda.

L’Islam è una vittoria della banalità e la gran massa degli uomini è banale. In Maometto le qualità mediocri della natura umana hanno trovato una poderosa rappresentazione. Gli odierni ammiratori di Maometto hanno di se stessi un ben mediocre concetto. Ma la banalità ama essere tirannica, e imporre il proprio giogo agli spiriti superiori. L’islam ha voluto strappare a popoli nobili e antichi la loro mitologia, ad esempio ai persiani il loro «Libro dei Re», e ha proibito da 1.200 anni la loro scrittura e la loro pittura. Jabob Burckhardt, Historische Fragmente.

Dalla repressione del giugno 1848 e dalla Comune di Parigi, non si può dire che il popolo, e in particolare gli operai, siamo stati ben serviti dalla sinistra borghese. Fino al 1914, i radicali hanno avuto la più grande difficoltà a passare dalla rivoluzione politica alla rivoluzione sociale, contrariamente alla Germania, dove gli operai sono stati tenuti politicamente da parte ma dove sono stati, dopo Bismarck, socialmente integrati. Jacques Julliard, Les Gauches françaises: 1762-2012. Flammarion.

Cosa resta di Gianni Agnelli? L’orologio sul polsino della camicia e la cravatta portata sopra il pullover anziché sotto. Due pacchianerie che impediscono di assumerlo a modello almeno per l’eleganza. Come mito resiste, ma non si capisce su quali fondamenta poggi. Forse sul fatto di aver portato Michel Platini alla Juventus («l’abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il foie gras», si vantava) o di «piacere come piace un attore, e perché la fortuna lo ha scelto», come diceva Federico Fellini, convinto che fosse «un vittorioso» (e chissà perché, visto che l’Avvocato non ne imbroccò mai una). «Mettigli un elmo in testa, mettilo a cavallo: ha la faccia del re», insisteva il regista parlando di lui all’amico Enzo Biagi. Ma qui siamo al remake del Satyricon. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

C’è un problema di merito sul metodo, mettiamola così. Perché in primo luogo, se voi politici ci chiedete un’opinione, dovete poi tenerne conto. Per esempio: a Bologna, nel maggio 2013, si è celebrato un referendum consultivo sui fondi alle scuole private. Hanno vinto i no, ma il Consiglio comunale ha detto sì. Ovvio che poi ti senti buggerato. Michele Ainis. Corsera.

La stazione ferroviaria più chic è quella di Palermo. Si entra e ci si dirige verso l’atrio. Si consultano i tabelloni con gli orari e le destinazioni, si va verso i binari, com’è normale che sia, ma poi nessuno staziona alla stazione di Palermo per prendere in treno. A fianco della strada ferrata, dentro il recinto della Ferrovie di stato, c’è il piazzale interno con gli autobus. Non ha senso infatti prendere un treno per Siracusa. Impiegherebbe almeno otto ore. E qualcosa come cinque e mezzo (di ore) ce ne vogliono per arrivare a Catania. Così anche per Messina. Un percorso ferroviario, in Sicilia (da Trapani a Taormina, faccio un esempio) dura quanto la Transiberiana ed è per questo che i pendolari preferiscono l’autobus in quel parcheggio a pettine dove strillano, festose, le destinazioni: Enna, Ragusa, Ravanusa, Caltanissetta. Pietrangelo Buttafuoco. Il Foglio.

Romagnese (in provincia di Pavia) è un paese di montagna, ricco di risse grandi come osterie, di fisarmoniche, di giocatori di morra, di formaggi coi vermi, di analfabeti, ma povero di risorse e di storia. Non ha mai avuto altre risorse che quelle delle balie per le città, delle mondariso e dei mietitori per la Lomellina, delle sguattere per Buenos Ayres, dell’emigrazione disperata e dissanguata dagli usurai. La strada finisce là, sulla piazza, e i soldi naturalmente fanno come l’acqua, scappano via, per le tasse, per il sale, per il vino, per il cuoio, per il tabacco, per le medicine. Italo Pietra, I Grandi e i Grossi. Mondadori, 1973.

Da ragazzo passeggiavo in piazza dei Mercanti, a due passi da Piazza Duomo di Milano. Ci andavo di notte, depresso, insonne. Sin da bambino mi hanno diagnosticato «ritmi antisociali»: se mi lasci senza pillole, mi addormento all’alba. Abitavamo in via Marco de Marchi, superavo piazza del Duomo, che mi è sempre sembrata dispersiva, e arrivavo nell’ultimo pezzo di architettura medievale pura della città. Popolata da disperati, poeti, insonni come me. Erano i primi anni Settanta. Sono entusiasta anche dei nuovi quartieri, però. Una città deve osare cambiare. Per 12 anni ho vissuto a Parigi, dove mi sono trovato quasi più a casa che qua. Perché? Milano è un’adorabile piccola città. Il passo della metropoli, però, le manca. Giovanni Gastel, nipote di Luchino Visconti, fotografo. (Alessandra Coppola). Corsera.

Io pensavo che le Tofane fossero preistoriche matrone pietrificate, per qualche sortilegio arcano, e che mi guardassero però benigne, dicendomi: «Non puoi capire, tu, piccola». Non so cosa vedesse in loro Giuditta, novant’anni: a me parevano coetanee, la pelle ugualmente dura e rugosa. Ma forse lei si ricordava di quando le guardava ed era come me, bambina, nell’incanto del sole che calava. Poi la notte scendeva e le Tofane venivano ingoiate dal buio. Il rito della panchina al tramonto mi lasciava assorta. Come se alludesse, come se mi sussurrasse qualcosa. Marina Corradi.

«Pensavo», dissi, «allo strano spettacolo che ho visto stamattina: in boulevard Saint-Michel c’era un uomo appoggiato al muro, che mostrava una scimmietta. La teneva dentro una cassetta. La scimmietta tirava la tenda, si affacciava e dava la mano al curioso, il quale poi metteva qualche moneta nel cappello che l’uomo gli porgeva. Andai anch’io a dar la mano alla scimmietta e sentii tra le dita le sue ossicine e il suo piccolo palmo, freddo e tremante». Piero Chiara, Il cappotto di astrakan. Mondadori, 1978.

Mia madre non sapeva far da mangiare, bolliva la minestra senza sale, come fanno i montanari, poi ciascuno la salava per conto suo. Per prenderla in giro, mio padre le diceva: «Te si ’na montanara», non era vero, e lei rideva. Quando rideva, si portava una mano sul cuore. Non ho capito perché. Sembrava volesse tenerlo fermo, come se, ridendo, il cuore sussultasse. Ferdinando Camon, Un altare per la madre. Garzanti, 1978.

Totocalcio. La febbre del sabato scheda. Da Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi: Palla lunga e pedalare. Baldini & Castoldi. 1992.

Il cielo mi fa sentire immensamente grande il mio immensamente piccolo. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi