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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

L’EUROPA È UNA RAGAZZA APPESA A UN DAVANZALE

Ricordiamo tutti l’immagine che divenne il simbolo degli attacchi dell’11 settembre, l’uomo che cade. Una fotografia scattata da Richard Drew, una delle più sconvolgenti raffigurazioni del male di ogni tempo. Ritrae un uomo che precipita a capofitto dalla torre nord del World Trade Center, una gamba piegata, l’altra estesa come chi discenda una scala. Quell’uomo, mai identificato, venne costretto a quella immane caduta da un irrazionale impulso di fuga, dopo essere rimasto intrappolato ai piani alti della torre invasi da fuoco e fumo. L’immagine analoga all’uomo che cade è, negli attacchi di Parigi, la ragazza appesa al davanzale. Un’immagine iconica, come si dice, che resta impressa nella memoria, e scava nel nostro cervello, nella nostra coscienza morale, come una potente profezia. A riprenderla è stato Daniel Psenny, giornalista di Le Monde, che stava lavorando a casa. Ai primi scoppi ha pensato che fosse la tv, che dava un poliziesco. Poi si è affacciato dalla finestra al secondo piano che dà sull’uscita di sicurezza del Bataclan, e ha visto i disperati che fuggivano cercando scampo dal tiro al bersaglio. La ragazza, a differenza dell’uomo che cade, ha potuto appigliarsi a un davanzale, sostenersi con i piedi sulle sbarre di un’inferriata, aspettare in quella posizione di vulnerabilità assoluta che qualcuno, concluso lo sterminio, la tirasse dentro. Sull’uomo che cade uno dei grandi scrittori americani, Don DeLillo, ha costruito un romanzo. La ragazza appesa è un’immagine molto diversa, forse meno scioccante e romanzabile, ma perché, nel guardare il video che mostra i ragazzi che fuggono zoppicanti nel vicolo, e gli altri fuori dalle finestre sui davanzali, l’occhio insistentemente torna a lei, solo a lei, alla ragazza appesa? La risposta è che lei è il nostro alter ego, il nostro testimone storico di questa escalation nella scientifica distruzione europea da parte dei jihadisti. Così come l’uomo che cade era l’americano-tipo, il cittadino di Manhattan che lavora al World Trade Center, la ragazza aggrappata ha preso il posto della Marianna - l’incarnazione allegorica della Francia - e ci ha mostrato lo stato di cose in Europa. Non si può parlare nemmeno di metafora: quella ragazza non è una metafora, è una persona concreta, braccata nel locale dove era andata a sentire un gruppo rock americano, a divertirsi, a bere, a godersi una serata di civile libertà e controllata sfrenatezza come tutti facciamo in occidente. Il suo peccato mortale, agli occhi dei jihadisti, sta semplicemente nell’essere andata a un concerto, non c’è da andare a trovare colpe nascoste, collettive, indirette. Ciò che la ragazza aggrappata ci insegna è che infatti ci vogliono uccidere per quello che concretamente, normalmente facciamo giorno per giorno. È solo per queste cose: ascoltare musica rock dopo il lavoro, vestire in modo disinvolto, ballare, bere, guardare una partita di calcio - solo per questo che ci spingono fuori dai palazzi, appesi con l’ultima falange delle dita a un davanzale. Ragionando dal loro punto di vista ideologico, i jihadisti non vogliono terrorizzare, e nemmeno invadere. Vogliono disinfestare. Sapete quando trovate la cucina piena di formiche, di blatte, o quando uccidete un ragno (non dovreste, portano fortuna) e trovandovi vicini a una finestra, lo raccogliete su un foglio di giornale e lo scaraventate giù dal secondo piano sulle piante dell’inquilino al pianoterra? Ecco, così. Ma com’è successo che ci siamo trasformati in insetti da sterminare? Com’è successo che siamo finiti appiattiti all’intonaco, appesi per la punta delle dita, ammutoliti di terrore, in una situazione di blocco assoluto che ricorda una delle carte più infauste dei tarocchi: l’Appeso? Lui sta a testa in giù, come l’uomo che cade, ma nella nostra situazione essere dritti o capovolti, visto che siamo ridotti alla completa impotenza, cambia poco. Come l’Appeso, o l’appesa alla finestra del Bataclan, non abbiamo più un sostegno sotto di noi, la nostra esistenza improvvisamente ha perso ogni appoggio, ogni fondamento, siamo talmente storditi dalla violenza dell’aggressione, dall’inadeguatezza delle nostre difese, dalla vaporosità delle nostre chiacchiere a fronte dei proiettili di Kalashnikov, da saper solo mettere tutte le forze in quelle falangi, ultimo residuo di una energia appassita che ormai sappiamo indirizzare solo a conservare la nostra codarda sottomissione. Di consolante c’è che la ragazza appesa oggi è viva mentre dell’uomo che cade non è restata che quella foto. E ora immaginate un jihadista appeso come quella ragazza. Vi risulterà difficile. Odiano le nostre vite, e quanto alla loro, gli danno un senso solo in vista della morte, propria e altrui. Evocherebbero l’inferno piuttosto che finire appesi a un davanzale. In effetti, è proprio quello che stanno facendo. Ci ridurremo come quella voce, nel canto biblico, che chiede alla sentinella a che punto è la notte, e si sente rispondere che è ancora notte, ma il mattino verrà, e di tornare a domandare un’altra volta, o cominceremo a fare qualcosa prima della defenestrazione?