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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

SCRIVERE UNA RICETTA, OGGI

«Non ci sono più le ricette di una volta...». No, non è il solito mantra nostalgico proferito da chi non si sente al passo con i tempi. È proprio che non ci sono più le ricette di una volta, nel senso che il modo di scriverle e di presentarle è inesorabilmente cambiato. Dal libro senza immagini a quello con le foto, dal cartaceo al digitale, dal pubblico di nicchia a quello di massa, dalle indicazioni approssimative al mondo dello step by step, il salto è stato enorme. Ma non è tutto oro quello che luccica: come spesso accade, in questi passaggi forse ci siamo persi qualcosa.
La giornalista gastronomica Tamar Adler qualche giorno fa ha pubblicato sul sito del New York Times un interessante articolo sul tema, facendo un paragone tra i vecchi ricettari e quelli di oggi: la ricetta odierna, scrive, «è oggettiva e idealistica, promette di essere “la più veloce”, “la più semplice”, “la migliore”, “quella perfetta”. Si ritrae dal racconto. Manca il contesto, ed è letteralmente e figurativamente orientata verso il supermercato, con i suoi standard e i suoi scaffali».
È tutto vero: le ricette più datate spesso si aggrappavano a elementi narrativi o a secche annotazioni contingenti (sul prodotto, su una tecnica, su usi e costumi di vario tipo) piuttosto che all’esposizione ordinata di una sequenza di azioni. Tra Bartolomeo Scappi e Pellegrino Artusi corrono circa 300 anni (da fine Cinquecento a fine Ottocento), ma basta leggere uno dei due per renderci conto di come nei ricettari di un tempo trovassero ampio spazio le indicazioni sulla stagionalità dei prodotti, inevitabili nell’epoca pre-refrigerazione, o piatti definiti “ordinari”, mentre oggi è tutto un proliferare di “straordinario” e “strabiliante”. Spesso, poi, mancava la lista degli ingredienti, le quantità erano approssimative, i tempi pure.
Sorge spontanea la domanda: è solo una questione di preistoria della ricettistica? Non credo. Mia nonna, che ogni mattina si alzava presto per tirare la pasta fresca a mano, non misurava con precisione millimetrica le quantità degli ingredienti, e nemmeno me le sapeva dire a voce. Andava a occhio, che significa che dava retta all’esperienza e al buon senso. E le ricette di Bartolomeo Scappi o Pellegrino Artusi per lei sarebbero state del tutto comprensibili, oltre che facilmente replicabili.
Oggi quest’esperienza quotidiana non c’è più, in buona parte. Più che imparare a cucinare, replichiamo le ricette: non abbiamo tempo per sbagliare, riprovare, metterci alla prova. Ed è per questo che sentiamo il bisogno di consultare ricette infallibili, diremmo quasi “a prova d’asino”. È cambiato il nostro modo di rapportarci con la cucina e con gli ingredienti che utilizziamo: tutto è diventato più veloce, cuciniamo nei ritagli di tempo e prendiamo continuamente scorciatoie, a partire dall’acquisto del cibo già pronto/cotto/prelavorato.
Come si riconosce, quindi, il valore di una ricetta contemporanea? È una domanda che noi di Piattoforte ci siamo posti spesso. Certo, la chiarezza e la facile replicabilità oggi sono fuori discussione, sono le classiche conditio sine qua non, come direbbero i latini. Ma forse non (ci) basta. Forse una ricetta deve anche far venir voglia di mettersi ai fornelli e di recuperare un rapporto più diretto e intimo con la cucina. Un rapporto che, magari, potrebbe farci riscoprire il piacere di dedicare il giusto tempo alla preparazione del pasto, e per un momento mettere da parte la frenesia del quotidiano.
Scrivere una ricetta così non è affatto semplice, e ci riesce solo chi ha una grande abilità comunicativa unita a una quotidiana e verace esperienza di cucina. Di persone con queste doti ce ne sono poche in giro: io ho la fortuna di conoscerne una (cara Annalisa), altre si trovano qua e là, ma col contagocce.
Intanto vale la pena riprendere in mano l’Artusi: nel mondo della gastronomia se ne parla molto, ma non lo si lascia mai parlare. È per questo motivo che nelle prossime settimane qui su Piattoforte inizieremo a pubblicare una rubrica di ricette artusiane. A presto, quindi.