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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

ABORIGENI E SIOUX, LA LOTTA PER I DIRITTI CIVILI IN UNA (GRANDE) FOTO

Una mattina dell’aprile scorso, il fotografo Roberto Vignoli si svegliò a Sydney sotto il diluvio universale. Capì che non sarebbe potuto uscire dall’albergo. «La radio trasmetteva i dati del disastro» racconta. «La città era completamente allagata, il traffico paralizzato, oltre duecentomila appartamenti senza corrente. Guardando dalla finestra, a un certo punto vedo alcune persone che sfidano la pioggia camminando un po’ storte contro vento, sotto grandi ombrelli. Allora ho avvolto la borsa con l’attrezzatura fotografica in un sacco della spazzatura e mi sono buttato anch’io». Arrivò fino al Redfern Community Centre, alla periferia di Sydney, dove, in un accampamento di tende, vivono gli aborigeni metropolitani. Quella mattina Vignoli li convinse a farsi fare il ritratto. Scattò venticinque primi piani dei loro volti. Uomini e donne, giovani e vecchi, timidi e spavaldi, introversi e ridenti. Due di loro mostrano il pugno chiuso: «Ho scoperto che erano comunisti e avevano un certo ritegno a rivelarlo. Una dei due, la donna, mi ha anche chiesto se potevo aspettarla. Voleva andare prima dal parrucchiere, per mostrarsi in ordine». Vignoli ha poi scelto, tra questi venticinque, diciassette ritratti e li ha messi in fila uno a fianco all’altro su un fondo nero, con i loro abiti colorati, in una stampa panoramica lunga sette metri, alta quarantatré centimetri. «La composizione richiama quella di molte delle opere d’arte aborigena che sono, appunto, pitture astratte su fondo nero. Le astrazioni rappresentano fedelmente i colori della loro terra». L’espressività dei volti lascia immaginare le vicende private di ciascuno di loro, e l’insieme delle singole storie, che emergono dalla panoramica in un flusso ininterrotto e quasi sussurrato, dipana la storia di un popolo che ha perduto per sempre il proprio mondo sotto l’onda travolgente dei colonizzatori. La panoramica di Vignoli si potrà vedere nella mostra che inaugura domani presso la Casa delle Letterature, accanto all’altra, di misure identiche ma con quindici personaggi, che il fotografo ha dedicato ai Sioux del Rosebud Sioux Indian Reservation, South Dakota, Stati Uniti. Qui i volti si stagliano contro il profondo azzurro di un cielo dove galleggiano nuvole bianche e vaporose. «Per i ritratti dei Sioux», dice Vignoli «la scelta del cielo come sfondo è parsa quasi obbligata. Le nuvole di fumo erano uno dei loro codici di comunicazione, il Grande Spirito è al centro della loro religione». Racconta di avere realizzato i quindici scatti in poche ore, perché il cielo che appare è quello vero di quel giorno e il tempo rischiava di cambiare e di mettere a rischio l’uniformità della panoramica fotografica. «La mostra romana», fa sapere Maria Ida Gaeta che dirige Casa delle Letterature, «è stata accolta con entusiasmo dal Redfern Community Centre e dal Buechel Memorial Lakota Museum, ai quali è stata donata una copia delle panoramiche che saranno esposte in contemporanea con la nostra. La Casa delle Letterature si inserisce in questo contesto contribuendo alla visibilità internazionale delle due comunità: il miglior strumento per incoraggiare i nativi di entrambi i paesi a superare le grandi difficoltà del loro inserimento sociale e per tutelare i loro diritti». Vignoli aggiunge che il suo lavoro si collega idealmente anche al lavoro dell’avvocato-antropologo italiano Alessandro Martire, che da anni si batte per il riconoscimento ufficiale della Nazione Sioux del South Dakota. «È stato eletto membro onorario della tribù dei Rosebud Sioux per essere riuscito a bloccare l’esproprio di duecentomila acri dei loro terreni da parte del governo americano». Vignoli, nato a Roma una cinquantina di anni fa e apprezzato a livello internazionale per i suoi lavori su certi luoghi particolari del nostro pianeta che sono in grado di evocare storie e utopie, non è nuovo all’uso delle panoramiche costruite con una serie di scatti. La più lunga misura diciannove metri e ritrae il Malecón, lungomare di L’Avana: quarantadue scatti che coprono due chilometri e mezzo di passeggiata e quattro secoli di vite passate della città, dai palazzi fatiscenti del Seicento, agli alberghi ultramoderni.
Lauretta Colonnelli