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 2015  settembre 10 Giovedì calendario

L’AMORE CHE NON SO DIRE


[Beppe Fiorello]

A volte non occorre parlare. Per capire molto di una persona basta guardare la foto che ha come salva-schermo sul cellulare. L’immagine scelta da Beppe Fiorello è antica, color seppia, scattata negli anni 50. Ritrae suo padre Nicola da giovane. E morto quando l’attore aveva 21 anni. «È mancato troppo presto, in un’età in cui sarebbe stato fondamentale. È come se tra di noi si fosse interrotto il dialogo, perché volevo fargli vedere che non ero quello che sembravo. Non ero quel ragazzo così patologicamente chiuso, introverso. Dentro di me avevo molto da dire, la voglia di raccontare storie. Ma la timidezza mi bloccava completamente». Per l’attore siciliano papà Nicola non è solo un ricordo, un’acuta nostalgia, ma una presenza certa e silenziosa, una continua ispirazione. Lo è stato per interpretare il personaggio del giudice Paolo Borsellino nel film Era d’estate di Fiorella Infascelli, con Valeria Solarino, che verrà presentato il 15 ottobre nella serata di pre-apertura del Festival di Roma. È la storia di una piccola parentesi di vita dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: 25 giorni che hanno trascorso in segreto con le famiglie all’isola di Asinara, in Sardegna. Il loro compito: scrivere “nascosti” la sentenza del primo maxi processo a Cosa Nostra.
Suo padre assomigliava a Borsellino?
«Era un giovane finanziere con la voglia di essere fin da ragazzo un uomo di Stato. Nel giudice siciliano ho trovato l’aspetto paterno del mio papà: un uomo simpatico, caldo, molto legato ai figli, protettivo senza essere troppo “maestrino”. C’è sempre un pezzo di lui nei miei personaggi. O forse sono io che lo cerco in ogni ruolo che recito».
In questo film ha un compagno eccellente, Massimo Popolizio, che interpreta Giovanni Falcone. Avete lavorato bene insieme?
«È un uomo molto sensibile, umile. Sul set pensavo di appoggiarmi sulla sua spalla, è un grande attore di teatro, invece è successo il contrario. “Faccio poco cinema. Aiutami a capire come funziona”, mi diceva. Finalmente ho trovato un compagno più ansioso di me».
Non l’ha intimidita l’idea di interpretare un mito come Borsellino?
«Nella mia carriera ho attraversato tanti personaggi, spesso veri, che porto tutti dentro di me. Un percorso bellissimo. Quando ho interpretato Domenico Modugno all’inizio avevo rifiutato: tante paure, ma anche molta voglia di raccontare la sua storia. Fiorella Infascelli, la regista di Era d’estate, non ci ha chiesto di raccontare i due giudici, il loro eroismo, ma le loro anime. Mi ha detto che non voleva somiglianze fisiche con Borsellino. Invece, nel film, lo ricordo molto. Succede così, in modo naturale: alla fine devo diventare il personaggio che interpreto».
Che legame c’era tra i due giudici?
«Lo spiega bene una scena del film: Falcone sfida l’apparato di sicurezza e va al bar dell’isola. “Lei è il dottor Borsellino?”, chiede il barista. Lui risponde: “Non completamente”. Ecco: erano come due fratelli. Molto più di un’amicizia professionale».
Due facce della stessa medaglia: diversi, ma complementari. Lei ha mai avuto una relazione così speciale con qualcuno?
«Domanda difficile. Non ho un bel carattere: non riesco mai a capire quanto posso fidarmi di me stesso e degli altri».
È davvero un uomo diffidente?
«In realtà ho delle insicurezze che trasformo in diffidenza verso gli altri. È un problema mio, non c’entrano le altre persone. Anzi, sono molto migliorato grazie a mia moglie. Senza spiegarmelo, lei mi ha fatto capire che vale la pena buttarsi nei rapporti con gli altri, anche se si rischia un tradimento o una delusione».
Come ha conquistato sua moglie Eleonora?
«Con la simpatia. Ma dopo qualche anno sono diventato un disastro, un uomo pesantissimo. È lei la colonna, l’energia, la positività che circola in famiglia. Io sono tendenzialmente un malinconico, un catastrofista. Anche con i nostri figli: Eleonora è gioiosa, li fa sempre sognare. Io sono rigido, metodico, anche se adesso sono più rilassato, grazie a lei. Le devo molto. Ma il mio più grande errore è che sto confessando tutto questo a lei, in un’intervista, mentre non lo dico a Eleonora».
Perché non lo fa?
«Mi trattengo. Non so esprimere apertamente i sentimenti d’amore».
Con Eleonora è stato un colpo di fulmine?
«Nei colpi di fulmine, di solito, ci si spoglia. Lei, invece, mi ha vestito. Mia moglie cura il look degli attori, gestisce l’immagine degli eventi cinematografici. Stavo promuovendo il film C’era un cinese in coma di Carlo Verdone. Sono entrato nel suo ufficio, mi ha squadrato e mi scelto gli abiti. Poi, qualche settimana dopo, per caso ci siamo incontrati sullo stesso aereo, vicini di posto. Era Roma-Los Angeles, non proprio un volo comune. In America ci siamo frequentati e una sera con altri amici abbiamo affittato una limousine. E quando tutti sono andati a dormire, noi siamo rimasti lì: due italiani in limousine a girare per la città. E a innamorarsi».
Che tipo di uomo è lei? Uno che vuole tenere tutto sotto controllo?
«Non mi piace essere colto di sorpresa. Il futuro non mi fa paura, ma mi insospettisce».
Che cosa succede se uno le fa una festa a sorpresa?
«Quando è capitato ho fatto scenate terribili a chi me l’aveva organizzata. Da questo punto di vista sono insopportabile. Ma ho altri grandi pregi».
Per esempio?
«La lealtà: nell’amicizia, nell’amore, nel rapporto con i miei figli. Con loro essere leale vuol dire rispettare i ruoli: io sono il padre, loro i bambini. Non amo i “genitori 2.0”, che fanno finta di essere amiconi. Essere leali significa non proiettarsi troppo su di loro: non voglio che facciano qualcosa solo per rendermi felice. E vuol dire ammettere i propri errori anche ad alta voce, senza vergognarsi».
Come sono i suoi figli con lei?
«Sanno che sono un po’ all’antica e ogni tanto mi prendono in giro chiamandomi “Beppe”. E io, un po’ irritato, rispondo: “Come mi hai chiamato?”. Sono simpatici, ironici. Quest’estate sotto l’ombrellone qualcuno veniva a chiedermi una foto, un autografo. Quando mi rilassavo un po’, mi svegliavano e dicevano: “Scusi, possiamo fare un selfie insieme?”».
Che valori ha trasmesso ad Antonia e Nicola (12 e 10 anni, ndr)?
«Quelli semplici, banali, come per esempio essere educati anche in mia assenza. Se si comportano male a casa degli amici, mi sento tradito».
Che cos’è il tradimento per lei?
«Una ferita enorme. Anche in amore. È giusto non tollerarlo. Il tradimento distrugge tutto».
Nessuno dei suoi due figli è timido com’era lei?
«Per fortuna no. Per me, soprattutto durante l’adolescenza, è stata un’esperienza devastante. Non riuscivo a comunicare. Mi spaventavano i rapporti con gli altri. Non avrei mai immaginato che in futuro sarei stato in grado di sostenere un dialogo come sto facendo con lei. O raccontare storie in un film».
In passato ha detto che è stata l’esperienza da animatore nei villaggi turistici e il karaoke in tv a farle vincere la timidezza. Credo ci sia qualcosa di più profondo. Forse legato alla morte di suo padre?
«Lo stavo pensando proprio in questo momento. Forse è stata proprio la sua scomparsa improvvisa che mi ha costretto a uscire fuori, a prendere in mano la mia vita. Mi sentivo protetto, per lui ero un po’ un poeta: l’unico che intravedeva la mia vera natura».
Una volta, parlando di suo fratello, lo showman Rosario, ha detto: “Non ci diciamo tutto”. Perché?
«Tra me e lui ci sono nove anni di differenza. Ho sempre avuto rispetto nei suoi confronti, ma da giovane mi intimidiva. È così travolgente che non trovavo lo spazio per esserci. Non è un uomo egocentrico, anzi, ma è un vortice, un vulcano che trascina tutto quello che c’è intorno, sempre in eruzione. Io invece sono un vulcano dormiente, che prima o poi scoppia. Sono più indecifrabile, chiuso. Forse per questo tra di noi ci sono poche parole dette, ma un grande amore».
Lui è in giro per l’Italia con lo spettacolo l’Ora del Rosario. Lei torna a teatro in novembre. Prima o poi vi vedremo insieme?
«Sono pronto, magari anche lui. Ma forse non si farà mai, perché in questo Paese si scatenano subito le invidie, le critiche, le accuse di nepotismo, come se volessimo fare tutto in famiglia. Ma se ci riuscissimo, sarei felice. Siamo così diversi che insieme potremmo fare davvero qualcosa di interessante».
Mentre parliamo per strada, in attesa che il fotografo scatti, due signore si fermano, quasi lo abbracciano. «Pensano che io sia un po’ come i miei personaggi, una bella persona. E mi dà una soddisfazione immensa».
Le è sincero e forte, perché rivela le sue debolezze. Ha anche un vizio segreto?
«Fare il casalingo. Non spenderei tanti soldi per un’auto di lusso, ma per un forno, un elettrodomestico, un frigo sì. Ho disegnato la mia ultima cucina e l’ho fatta fare a un bravissimo ebanista pugliese. La vuole vedere?». E mi mostra orgoglioso le foto della cucina in costruzione.
Mentre spengo il registratore, gli racconto tutti i segreti del teppanyaki, la piastra giapponese che uso anch’io. Chi l’avrebbe detto che avrei finito l’intervista sui metodi di cottura?