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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

IN UN LIBRO, IL VIAGGIO NELLA PROSTITUZIONE DI RACHEL MORAN: “LA CHIAVE PER CHI SI PROSTITUISCE È IMPARARE AD ALIENARSI DAL PROPRIO CORPO. E’ PER LA SUA SALVEZZA. SOLO SE UNA DONNA È MASOCHISTA, PUÒ ECCITARSI ATTRAVERSO LA PROPRIA DEGRADAZIONE”

La natura della prostituzione degrada l’atto sessuale al punto che non lascia nulla al divertimento. Ovviamente questo non piacerà a chi viaggia con la fantasia. I sentimenti della donna, nella prostituzione, vanno dal mezzo disgusto al disgusto totale e solo in occasioni eccezionali ne sperimenterà altri. Quando accade, nessuno è più sorpreso di lei.
A me è capitato due volte. La prima a 16 anni, quando il tribunale minorile fu così sciocco da pensare che, dopo qualche mese di detenzione, potevo essere rilasciata in strada, dove non avevo altra alternativa se non battere il marciapiede. Se avesse davvero voluto cambiarmi la vita, il tribunale mi avrebbe dovuto trattenere dentro almeno due anni, insegnandomi a fare la segretaria o la parrucchiera, insomma mettendomi nelle condizioni di crearmi un futuro nella società. Non successe e finii di nuovo in strada.
La prima macchina che si fermò era guidata da un timido e attraente ventenne, molto rispettoso. Mi accorsi di essere eccitata. Nessuno mi toccava o mi abbracciava da mesi e il contatto umano mi mancava. Gli dissi che ero disposta ad avere un rapporto completo, lui mise il preservativo e in pochi minuti era tutto finito. Prese il portafogli e mi chiese quanto doveva darmi: era la prima volta che facevo sesso senza aver prima preso soldi e capii che non l’avevo fatto per lavoro.
Mi sarei sentita a disagio ad accettare denaro per qualcosa che avevo fatto volentieri. Mi feci riportare indietro, in strada, e cominciai a lavorare davvero. Le mie colleghe non erano d’accordo con il mio gesto. Eppure per me non era stata prostituzione, solo incontro sessuale fra due persone con zero riserve mentali.
Tre anni dopo, ebbi la seconda esperienza di questo tipo. Lavoravo come escort e incappai in un nuovo cliente: bella faccia, gentile, accento inglese. Non bevo mai in servizio ma feci uno strappo alla regola. Tutto dava calore nella sua casa, i colori ambrati, il profumo di cannella. Mi aveva ingaggiato per due ore ed eravamo molto rilassati. Mi preoccupava il fatto che non riuscissi ad erigere un muro come di solito facevo. Ero sedotta da lui.
A letto mi accorsi che le sue mani addosso non mi davano fastidio. Non provavo la solita repulsione. Sembrava adorare il mio corpo, mi toccava senza invadermi, senza dominarmi. Mi aprì gentilmente le gambe, entrò ed io emisi un gemito. A quel punto lui mi sussurrò: «Non devi fingere che ti piaccia», e l’esperienza si ribaltò totalmente.
Era un uomo di ottime maniere ma pensava che non mi sarebbe piaciuto. E come tanti altri, la sua eccitazione dipendeva dal fatto che non mi sarebbe piaciuto. Immediatamente riuscii a costruire il fatidico muro, la mia mente riuscì a disconnettersi dal mio corpo, come sempre, ma per un motivo diverso.
Quel sesso fu surreale. Ero lontana da me stessa come mai prima di allora. Sconcertata perchè avevo permesso che i miei sentimenti prevalessero. Vi dico questo: la chiave per chi si prostituisce è imparare ad alienarsi dal proprio corpo. E’ per la sua salvezza. Solo se una donna è masochista, può eccitarsi attraverso la propria degradazione.
Il mito della prostituta che prova piacere è solo una tattica per normalizzare l’esperienza della prostituzione. La rende accettabile. Il piacere femminile non può far parte della prostituzione, lo sanno sia uomini che donne in fondo. La verità è che se sei eterosessuale e scopi con migliaia di persone del sesso opposto in pochi anni, solo raramente sarà piacevole. Se avessi incontrato gli stessi uomini in altre situazione, forse sarebbe stato gradevole, ma il contesto nega qualsiasi fascinazione. Non è che la prova che la prostituzione avvelena i rapporti interpersonali. Agli occhi della prostituta, i clienti non sono attraenti.
Il mito della prostituta che gode è strettamente legato a quello secondo cui “vuole essere salvata da un uomo”. E’ un’idea creata certamente dagli uomini, perché una donna sa che si può salvare unicamente da sola. Il mito è semplificato nel film “Pretty Woman”, che non trovo particolarmente offensivo, perché mente ma non ritrae la prostituzione come una esperienza gradevole.
Il personaggio di Julia Roberts è chiaramente infelice. Per renderlo più credibile però avrebbero dovuto mostrarlo insieme ad altri uomini, non con l’unico innamorato. Non dico che non possa accadere, ma nella prostituzione è davvero raro. E’ un ambito in cui l’amore scarseggia.
Avevo 15 anni, battevo da un paio di mesi, quando un quarantenne in macchina si fermò, mi guardò con gli occhi di fuori, mentre praticamente sbavava. Mi portò in un posto appartato e mi disse che mi seguiva da un anno. Mi aveva vista in giro e da allora glielo facevo venire duro. All’epoca avevo 14 anni, dunque.
Era stato fortunatissimo a ritrovarmi in strada, disse. Mi strinse i seni, mi infilò le dita nella vagina, e io mi costrinsi a diventare assente, a non pensare a quanto fosse bastardo. Ho avuto molte esperienze simili e una cosa è certa: quando un uomo, che ha pagato 20 o 200 euro per guardarti dimenare, ti strofina il clitoride con una mano mentre ti morde i capezzoli coi denti, tu provi molte cose. L’eccitazione non è fra queste.