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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SULLA SIRIA


REPUBBLICA.IT
BEIRUT - Un’intensa ondata di raid russi ha colpito stamane la provincia siriana di Hama e le zone limitrofe, nella vicina provincia di Idlib, nell’ovest del Paese. Lo ha reso noto l’Osservatorio siriano per i diritti umani, aggiungendo che ci sono stati pesanti bombardamenti con missili terra-terra. Dall’inizio dell’operazione militare russa in Siria sono stati colpiti "112 obiettivi dello Stato islamico", ha detto il ministro della Difesa russo, Serghiei Shoigu, citato dall’agenzia Tass. "Nelle ultime 48 ore - ha aggiunto - dopo un lavoro intenso di diversi tipi di ricognizione, sono stati scoperti numerosi e diversi obiettivi dell’Is: si tratta di punti di comando, depositi di munizioni e di materiale bellico e di campi di addestramento dei miliziani. Per colpirli oltre all’aviazione abbiamo usato le navi della flotta del Caspio". L’attacco è quindi partito da una distanza di circa 1.500 chilometri, come sottolineato successivamente dal presidente Vladimir Putin.
INTERATTIVO Le luci spente della guerra
Contemporaneamente ai raid aerei russi è in corso un pesante attacco di terra dell’esercito fedele al regime di Assad contro le postazioni dei ribelli. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) ha riferito che le truppe siriane, appoggiate dai jet di Mosca, hanno lanciato un’offensiva di terra contro gruppi di ribelli e formazioni islamiche non appartenenti all’Is nella provincia di Hama. Gli attacchi, secondo l’Osservatorio, hanno preso di mira le città di Kafr Zita, Kafr Nabudah, al-Sayyad e il villaggio di al-Lataminah, e nella provincia di Idlib i centri abitati di Shaykhun e Alhbit. La maggior parte della provincia di Idlib è nelle mani di un’alleanza di ribelli che include il Fronte Nusra, gruppo legato ad al-Qaeda, e altre fazioni islamiste.
Siria: i caccia russi bombardano le postazioni dell’Is nella provincia di Hama
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"Secondo le informazioni militari che abbiamo ricevuto, la Russia ha condotto 57 operazioni aeree, di cui 55 contro l’opposizione moderata (a Bashar al Assad, ndr) e solo due contro Daesh", cioè lo Stato islamico, in Siria, ha detto il premier turco Ahmet Davutoglu, citato dall’agenzia di stampa statale Anadolu, rinnovando le critiche di Ankara all’intervento di Mosca. Secondo i dati in possesso della Siria, i raid russi hanno distrutto "circa il 40%" delle infrastrutture dello Stato islamico. Lo ha dichiarato all’agenzia Ria Novosti l’ambasciatore di Damasco in Russia, Riyad Haddad.
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Il presidente russo Vladimir Putin è apparso all’emittente Rossiya-1 insieme con il ministro della Difesa Sergei Shoigu per commentare la campagna militare russa in Siria. "Sappiamo - ha affermato - quanto siano difficili questo tipo di operazioni anti-terrorismo e, naturalmente, è troppo presto per trarre conclusioni. Ma ciò che e’ stato fatto finora merita certamente una valutazione molto positiva, sia per il lavoro del ministero della Difesa nel suo complesso, sia per il lavoro degli esperti dello Stato Maggiore e dei nostri ufficiali e soldati operanti sulla scena", ha detto Putin.
Il portavoce della Difesa, generale Igor Konashenkov, ha detto che il ministero russo ha risposto alla richiesta del Pentagono e preso in considerazione la proposta americana per un coordinamento delle azioni di contrasto al gruppo terroristico dello Stato Islamico sul territorio siriano. Ieri il ministero della Difesa russo aveva fatto sapere di aver ricevuto dagli Usa un documento sul coordinamento Usa-Russia delle azioni contro lo Stato islamico, con il portavoce Konashenkov a ribadire oggi che restano da discutere solo "alcuni dettagli tecnici". Coordinamento che sembra assolutamente necessario: il Pentagono in serata ha fatto sapere che almeno un caccia americano ha dovuto deviare dalla sua rotta per evitare di incrociare gli aerei di Mosca. "E’ accaduto almeno una volta" ha indicato il capitano di vascello Jeff Davis, portavoce del Pentagono.
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Ma al di là del coordinamento l’amministrazione Usa non sembra voler andare. Al termine di un incontro a Roma con il ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti, il capo del Pentagono Ashton Carter ha ribadito: "Noi riteniamo che la Russia stia seguendo una strategia sbagliata. Continuano a colpire obiettivi non dell’Is. E’ un errore, e non coopereremo con la Russia finché continueranno questa strategia errata". "Quello che abbiamo intenzione di fare - ha aggiunto Carter - è proseguire con le discussioni tecniche, manterremo il canale aperto perché si tratta di una questione di sicurezza per i nostri piloti".
Per tutta risposta, la Russia per la prima volta dall’inizio della crisi ha rivolto la stessa accusa agli Stati Uniti. "Gli americani e le altre forze aeree (della Coalizione internazionale, ndr) hanno condotto per un anno raid, ma abbiamo ragione di credere che non sempre hanno mirato a colpire obiettivi riconducibili ai terroristi" ha dichiarato ancora Konashenkov, citato dall’agenzia Ria Novosti.
Il presidente francese Hollande, davanti alla Plenaria del Parlamento Ue, ha definito "impossibile" riavvicinare "l’opposizione democratica, quella moderata, con chi massacra il popolo siriano", il regime di Assad. Smentendo così Putin, che alla tv aveva dichiarato che proprio Hollande avrebbe proposto di unire gli sforzi delle truppe governative siriane e dell’esercito libero siriano. Altra bordata a Putin dall’ambasciatore britannico all’Onu, Matthew Rycroft. Secondo il diplomatico, i raid russi stanno rafforzando lo Stato Islamico perché, rafforzando Assad, spingono la popolazione sunnita tra le braccia dell’Is. Inoltre, "chiunque guardando la mappa della Siria può rilevare come i bombardamenti russi sono "contro quelli che noi consideriamo l’opposizione moderata ad Assad, proprio quella parte di popolazione che abbiamo bisogno faccia parte del futuro del Paese".
Dai toni duri di Hollande e Rycroft agli auguri di Silvio Berlusconi, che, riferisce Forza Italia, ha telefonato oggi pomeriggio al presidente Putin per fagli gli auguri di compleanno. Una "lunga e cordiale telefonata" in cui i due hanno anche commentato "gli ultimi sviluppi relativi ai conflitti in Iraq e Siria", si legge in una nota di Fi.
Parlando di Siria, oggi il ministro per le Riforme e i rapporti con il parlamento, Maria Elena Boschi, è intervenuta sulla notizia del riscatto per Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria lo scorso anno. "Il governo italiano ha appreso da fonti di stampa, tutte da verificare" la notizia di un presunto riscatto che sarebbe stato pagato per la liberazione delle due cooperanti italiane". "L’attendibilità - ha aggiunto Boschi - è tutta da dimostrare". Il ministro ha parlato di ’congetture’ e aggiunto che attorno alla vicenda si "è prodotta una guerra mediatica con notizie prive di fondamento".

FABIO MINI
’’Finora abbiamo solo scherzato’’. Per il generale Fabio Mini ’’tutti i protagonisti, dai francesi, ai russi, agli americani, hanno fatto i propri interessi. Ma contro l’Is si è visto poco. E ricordiamoci che l’Is non esisterebbe senza un sostegno esterno. Ora sembra che si sia aperto uno spiraglio e una volontà concreta di agire, ma dubito che l’Iraq acconsenta a borbardare le zone strategiche vicino ai suoi pozzi di petrolio’’. Medici senza frontiere chiede spiegazioni e un’inchiesta sui raid all’ospedale di Kunduz, perché anche l’Italia tace? ’’Il borbardamento americano sull’ospedale di Msf in Afghanistan, conferma che nella guerra moderna gli attacchi non sono mai casuali. Si tace perché il fatto è imbarazzante ed è chiaramente un attacco deliberato’’.

PINOTTI GENTILONI IN PARLAMENTO
ROMA - Nessuna frenata, anzi. L’Italia sta "valutando" con gli altri partner della coalizione messa in piedi contro l’Is "ulteriori ruoli" dei Tornado in Iraq. Quando sarà il momento, il governo riferirà in parlamento". Lo ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, davanti alle Commissioni riunite (Esteri e Difesa) di Senato e Camera. La Pinotti, che proprio oggi ha incontrato a Sigonella il segretario alla Difesa Usa, Ash Carter (col quale peraltro i colloqui proseguiranno anche domani), ha specificato che il nuovo ruolo degli aerei italiani in Iraq sarebbe legato alla situazione operativa, alle richieste della coalizione che lotta contro il Daesh e alle necessità del governo iracheno. Il ministro ha poi sottolineato che Bagdad ha pure sollecitato Roma per una fornitura di equipaggiamento dinanzi a un eventuale uso di materiali chimici.

Poco prima, però, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, davanti alle medesime commissioni parlamentari aveva reso una dichiarazione decisamente meno netta: "L’Italia non ha preso nuove decisioni sull’utilizzo dei propri aerei in Iraq. E se dovesse prendere tali decisioni, il governo non lo farebbe di nascosto ma in parlamento. La crisi non si risolve con un intervento unilaterale".

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L’Italia, infatti, è impegnata contro lo Stato islamico assieme alla Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Un àmbito nel quale oggi non ricopre un ruolo attivo in termini di ingaggio. Ruolo che secondo il Corriere della Sera sarebbe destinato a mutare radicalmente, con il governo italiano pronto a ordinare ai Tornado dell’aeronautica militare di entrare in azione con raid in Iraq. In merito, però, il ministero della Difesa oggi aveva precisato che operazioni militari aeree italiane in Iraq "sono solo ipotesi da valutare assieme agli alleati e non decisioni prese che, in ogni caso, dovranno passare dal parlamento". Un concetto, questo, che la titolare della Difesa aveva pure ribadito in serata al Tg1: "L’Italia nella lotta all’Isis, in Iraq c’è sempre stata: siamo ad Erbil, siamo a Baghdad, ci siamo con i nostri addestratori, con i carabinieri e con aerei da ricognizione che partecipano all’operato della coalizione. Eventuali diverse esigenze, sulla base del rapporto con gli alleati e con il governo iracheno verranno valutate ma certamente passeranno al vaglio del parlamento".

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Attualmente lo schieramento italiano nella Coalizione internazionale anti-Is include due droni Predator, un velivolo da rifornimento in volo KC 767, quattro caccia Tornado con compiti di ricognizione e sorveglianza, 530 uomini. In Iraq, soprattutto con i carabinieri, l’Italia provvede alla formazione delle forze curde e irachene, con la presenza più consistente a Bagdad ed Erbil.

In Iraq, aveva spiegato in precedenza Gentiloni, "la situazione è aperta, è in corso il tentativo di riconquistare la regione di al Anbar e la sua capitale Ramadi, cadute quattro mesi fa. C’è una discussione con gli alleati sul modo migliore per partecipare a questa operazione. Noi siamo parte di questa discussione". Gentiloni ha quindi definito "centrale" la sfida di Daesh (lo Stato islamico), che è "la minaccia non solo nuova ma più consistente che abbiamo davanti". L’Italia fa parte della coalizione e ha da sempre "un ruolo rilevante in tutti settori, non solo quello militare ma anche culturale, della controinformazione, economico. Sul piano militare siamo impegnati in particolare in Iraq, dove sosteniamo un governo che cerca di recuperare le porzioni del suo territorio che sono state occupate da Daesh, lo spingiamo ad avere una politica più inclusiva verso le comunità sunnite e a non interrompere nonostante le difficoltà l’avvio di dialogo con le autorità regionali del Kurdistan".

Gentiloni, tuttavia, parla anche di quanto sta accadendo in Siria - un Paese spaccato tra Assad e Is - e dice: "Gli sconfinamenti della Russia all’interno del territorio turco, che hanno suscitato la giusta reazione della Nato, sono molto pericolosi. Ma, ha aggiunto, va bene coinvolgere la Russia perché può contribuire alla transizione politica in Siria" perché lì, "come anche sollecitato dal capo dello Stato, è necessaria una transizione politica. Bisogna pervenire all’uscita di Assad senza arrivare a un vuoto di potere che sarebbe molto probabilmente occupato da questa o quella componente terroristica".

Contro l’ipotesi di un intervento aereo in Iraq si è scagliato, sempre oggi, Beppe Grillo, leader del M5s, che in un post sul suo blog denuncia: "L’Italia non può entrare in guerra senza che prima non ci sia stato un dibattito parlamentare, un’approvazione da parte del parlamento e un’approvazione da parte del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella dove sei? Pacifisti con le bandiere arcobaleno dove siete finiti? A girare le frittelle con Verdini e il Bomba (in nomen omen) alle feste dell’Unità? L’Italia bombarderà l’Iraq in funzione anti-Is. E’ un’azione di guerra e come tale dovrebbe essere discussa e approvata dal parlamento, non in modo autonomo da un governo prono alla Nato".

"Vale la pena di ricordare che, solo qualche giorno fa - prosegue il leader M5s - i caccia della Nato hanno bombardato per più di mezz’ora il centro traumatologico di Medici Senza Frontiere a Kunduz City, sono state uccise oltre venti persone tra cui tre bambini".
Afghanistan, ospedale di Msf colpito dalla Nato a Kunduz
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Un orrore, quello di Kunduz, su cui Pinotti ribadisce che "va fatta piena luce" e che Gentiloni definisce un "tragico e ingiustificabile errore" che "ha acceso un riflettore sul tema delle modalità attraverso le quali la comunità internazionale sta organizzando il ritiro dall’Afghanistan. L’Italia è impegnata a far rientrare i suoi 500 uomini nei prossimi mesi ma l’impegno sull’Afghanistan è un impegno generale".

Negli stessi minuti, in una intervista all’agenzia Tass, Mattarella ha dichiarato che per sconfiggere "il terrorismo fondamentalista" è "necessaria una risposta di collaborazione di tutti i Paesi nell’ambito della comunità internazionale" e "iniziative unilaterali non riescono a risolvere ed affrontare adeguatamente il problema".

LUCIA ANNUNZIATA
Fermo restando che, come amano dire i generali di tutto il mondo, "La guerra non si vince con gli aerei", e pur sottolineando che quattro bombardieri son solo una goccia nel mare di armi che viene oggi impiegata in Medioriente, anche prendendo insomma in considerazione ogni possibile cautela, un giudizio sicuro possiamo esprimere fin da ora: lo scenario di un possibile impiego di aerei italiani in Iraq è la prima grande grana internazionale che il governo Renzi deve affrontare. Che scelga o meno di partecipare alla missione di cui si parla in queste ore. Se è vero che il Governo ancora non ha deciso, è chiaro che sia un sì che un rifiuto alla partecipazione di una nuova missione militare avrà un costo altissimo. In Italia l’Esecutivo si troverà in Parlamento un fronte anti-intervento, come si vede già in queste ore; ma sarà ancora più difficile se non impossibile dire di no a un invito di una coalizione cui già apparteniamo, e dopo aver da tempo sostenuto in tutte le istituzioni che abbiamo voglia di avere un ruolo più forte sulla scena internazionale.

Quello che sta succedendo in Medioriente, con una forte accelerazione in queste ore, è infatti il formarsi di uno scenario perfino più pericoloso di quello fin qui perseguito - dietro l’esile schermo della lotta al terrorismo si è creata una tensione aperta e molto ravvicinata fra Russia e Stati Uniti più alleati.

Le cronache di queste ultime settimane non lasciano dubbi, e val la pena riepilogarle solo per i più distratti: un Putin isolato sul piano internazionale sulla questione Ucraina, ed espulso da tempo da sue tradizionali aree di influenze, ha intelligentemente colto la sciatteria e la malavoglia dell’intervento Usa in politica estera, in particolare in Medioriente, ed ha ripreso l’iniziativa. Sul piano diplomatico corteggiando il favore di ex alleati e non - con un giro di incontri ampi, dal premier israeliano ai vertici italiani, dai colloqui con Iran a quelli del nemico dell’Iran, l’Arabia Saudita. Facendo intravedere alla pubblica opinione araba e occidentale la Russia come necessario alleato per una lotta al terrorismo. Significativamente il tour diplomatico è stato accompagnato dal rafforzamento militare di Mosca a Latakia, il porto che è l’accesso al mare della Siria, e dove la presenza russa è stata fatta salire a duemila soldati e un sostanzioso numero di aerei.

Una mossa audace che in pochi giorni ha spiazzato gli Stati Uniti, sottolineandone la impotenza. L’Amministrazione Obama conduce infatti da tempo raid aerei in Siria e in Iraq, senza aver avuto finora risultati credibili, e senza aver mai davvero trovato una strategia capace di arginare il terrorismo - come hanno sottolineato le ripetute recenti convocazioni di esperti e di inviati da parte delle Commissioni Esteri e Difesa del Congresso Usa.

Gli Stati Uniti devono ora riorganizzare l’intervento della coalizione in quella regione, e la Russia sta già facendo pesare la sua presenza nei cieli di Turchia, e con un invio di "volontari", come quelli che combattono in Ucraina.

A meno di non trovarsi d’accordo sul salvataggio di Assad, un accordo impossibile (almeno per ora) visto che proprio il destino del Presidente siriano (alleato della Russia e arcinemico degli Usa) è all’origine dell’intervento occidentale nel Paese, è evidente che stanno nascendo le condizioni per un nuova tensione fra Washington e Mosca, in un territorio molto pericoloso perché molto circoscritto.
In questo contesto è maturata anche la possibilità di impiegare anche i bombardieri italiani, finora basati in Kuwait, per operazioni di attacco all’Isis in Iraq. Come si vede è un contesto troppo duro per poter uscirne senza un sì, dal momento che peraltro, passaggio parlamentare a parte, noi siamo già dentro la coalizione che interviene in Iraq.

È una mossa giusta o sbagliata? Ancor prima che sul piano morale questa è una domanda molto concreta: fa differenza oggi bombardare o meno, aumentare o meno i raid aerei contro l’Isis? L’esperienza fin qui, e in altre guerre, ci dice chiaramente che questo eventuale intervento è troppo tardivo e troppo inutile per servire sul piano militare. Tutti i raid finora fatti in Iraq dalla coalizione in un anno sono stati solo una esile dimostrazione di forza che non è servita a decidere le sorti della sconfitta dell’esercito iracheno. In Siria gli interventi aerei si sono rivelati, semmai, ancora più irrilevanti.

Peraltro la frantumazione sul terreno di gruppi militari, pro e contro Assad, di sigle terroriste di cui l’Isis è solo una, tutte con diverse agende, rende impossibile pensare ai bombardamenti aerei come più efficaci di quel che sono stati finora. In Siria e in Iraq non è chiaro chi combatte con chi, e su quale linea di confine.
Immaginare che Usa più alleati e Russia combattano fianco a fianco gruppi diversi militari è credibile quanto un terreno di battaglia su un puzzle. Il rischio, al contrario, è quello di un involontario scontro fra forze occidentali e russe, un aggancio fra aerei non calcolato - l’abbattimento di un Mig russo o di un aereo a stelle e strisce nel ristretto cielo mediorientale.

La soluzione militare come fin qui praticata, con questa sorta di esserci e non esserci, è già fallita per poter oggi essere credibile. L’Isis si combatte con uno scontro vero, con tanto di uomini impiegati, o con una soluzione politica di accordo che includa la Russia.

LUCIO CARACCIOLO
Se davvero bombarderemo lo Stato Islamico in Iraq, lo faremo – come al solito – per conquistarci la benevolenza del nostro alleato americano. Con risultati militari e diplomatici che nel migliore dei casi saranno impalpabili.
di Lucio Caracciolo
Difesa, Iraq, Jihadismo, Siria, Stato Islamico, terrorismo, Italia

Che cosa succederà se andremo a bombardare lo Stato Islamico nei suoi territori iracheni? Sul terreno mesopotamico, nulla o quasi. Non saranno un paio di Tornado tricolori a spostare gli equilibri in una partita che comunque non verrà decisa dal potere aereo.

Sul fronte della nostra sicurezza, innalzeremo di qualche grado il rischio di attentati terroristici per opera di cellule jihadiste o di “lupi solitari” in vena di rappresaglie contro i “crociati” che osano mirare al sedicente califfo.

Sul quadrante internazionale, gli americani accoglieranno con simpatia e buon umore la notizia, che per loro vale – forse – una nota a piè di pagina. Quanto al teatro politico domestico, è bastato evocare l’ipotesi dell’attacco per scatenare un effimero tumulto tra fautori e critici dell’intervento, basato sulle preferenze ideologiche e sulle presunte convenienze elettorali di ciascuno, certo non sull’analisi specifica di un tale atto di guerra e delle sue conseguenze. E allora perché si lascia filtrare alla stampa, salvo poi ridimensionarlo, questo scenario bellico?

Molto induce a pensare che si tratti dell’ennesimo episodio di una sindrome tipicamente nostrana, per cui in caso di coinvolgimento dell’alleato americano in un conflitto cerchiamo di guadagnarci la sua benevolenza offrendogli un misurato contributo. Insieme, intendiamo ricordare ai partner europei più spicciativi nell’imbracciare le armi – francesi e inglesi – che anche noi siamo in grado di farlo, malgrado la modestia (e, nel caso dei Tornado, l’imprecisione) dei mezzi a disposizione. Mentre segnaliamo ai tedeschi, così timidi nell’impiego della forza nel marasma nordafricano e levantino, che noi non abbiamo paura di farlo. Sempre che la Bundeswehr sia qualcosa di più di una «aggressiva organizzazione di campeggiatori», per stare alla definizione di un ufficiale britannico.

Se poi mettendo sul tavolo il nostro gettoncino – qualche Tornado sui cieli iracheni – contribuiamo a guadagnarci il riconoscimento della leadership italiana nella kermesse libica, tanto meglio. Ammesso sia un obiettivo invidiabile.

Risultato: nella migliore delle ipotesi i nostri eventuali raid in ciò che resta dell’Iraq lasceranno il tempo che avranno trovato; nella peggiore, susciteranno l’eccitata reazione di qualche testa calda jihadista, mentre il campo alleato si dividerà fra cortese indifferenza e sarcasmo. Visto che siamo la patria del diritto, è suggestivo notare che stando alla citata ipotesi ci limiteremmo a colpire lo Stato Islamico nei suoi dipartimenti iracheni – essendo a ciò autorizzati da Baghdad – mentre quelli siriani non verrebbero toccati in quanto al-Assad non ci darebbe il permesso di penetrare il suo trafficatissimo spazio aereo, dove ogni minuto si sfiora l’incidente fra caccia russi o siriani e omologhi Nato o israeliani.

Scelta in sé saggia: perché moltiplicare le probabilità di perdere mezzi e piloti? Ma anche rivelatrice di quanto distante sia il nostro mondo legale da quello reale. Da tempo il confine siro-iracheno è puramente virtuale. Anzi, il “califfo” si fa un punto d’onore di averlo abolito, radicando i suoi domini a cavallo di quella vetusta frontiera coloniale.

Solo una robusta spedizione militare a partecipazione americana, “ stivali sul terreno”, potrebbe sgominare le bande di al-Baghdadi. Ipotesi respinta con orrore dalla Casa Bianca. Obama ha voluto riportare a casa i ragazzi, lanciati dal suo predecessore in improbabili guerre “contro il terrorismo”, con gli esiti che sappiamo. In buona parte ci è riuscito. E ora dovrebbe smentire se stesso per passare alla storia come il presidente che ha rimpantanato la superpotenza a stelle e strisce nei deserti e nelle paludi mesopotamiche?

E se anche sconfiggesse le milizie “califfali”, chi insedierebbe al loro posto? Certo non gli attuali regimi di Damasco e di Bagdad, impegnati a difendere i loro residui feudi domestici. L’alternativa sarebbe fra altri jihadisti e altro caos. Dal quale forse emergerebbe un nuovo aspirante califfo.

Non sembra dunque irrealistico lo scenario disegnato su Foreign Policy da Rosa Brooks, autorevole giurista già consulente del Pentagono e di Obama: «Se lo Stato Islamico continua a decapitare gente e se noi non siamo in grado di distruggerlo, forse ci stancheremo di combatterlo e decideremo di stringere accordi con esso. Passerà poi qualche decennio ed ecco che lo Stato Islamico avrà un seggio all’Onu, se l’Onu esisterà ancora. E tutte quelle atrocità verranno cortesemente ignorate». Insomma, «se smettiamo di bombardare lo Stato Islamico, forse potrà contenere se stesso più rapidamente di quanto possiamo farlo noi».

Un consiglio per chi deve ancora decidere se bombardarlo.

Articolo pubblicato su la Repubblica il 7/10/2015