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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

SESSANT’ANNI DI SERIE TELEVISIVE, UN’INVENZIONE ITALIANA. UN LIBRO RIPERCORRE LA STORIA DI SCENEGGIATI, FICTION E MINISERIE IN ITALIA, DA "IL DOTTOR ANTONIO" DEL 1954 ALL’ODIERNO "GOMORRA"

Sessant’anni fa nasceva la fiction, il romanzo sceneggiato, la miniserie come volete chiamarla. Nasceva in Italia.
Proprio così. La tv italiana nacque vari anni dopo quella americana, inglese e francese, ma sulla miniserie arrivò prima. Nel novembre 1954 prese il via il primo teleromanzo a puntate Il dottor Antonio con largo anticipo su ogni altro paese. Per trovare una miniserie sui dizionari angloamericani bisogna attendere gli anni 70. Prima, nelle altre nazioni le riduzioni da romanzi erano veramente ridotte, nel 1952 uno dei pionieri americani, l’ex attore Robert Montgomery teletrasportò Il grande Gatsby in un’ora scarsa pubblicità compresa. Insomma è il caso di vantare una volta tanto una primogenitura. Tanto più che il primogenito, benché sessantenne, si rivela ancora e sempre robusto, pimpante, il campione di audience ora e sempre (oggi una fiction per quanto scassa, non totalizza mai meno di cinque milioni di spettatori). Perciò non casca affatto male il volume edito da RaiEri da poco in libreria Il segno del telecomando una storia della fiction nostrana firmata da Biagio Proietti e Maurizio Gianotti (pp 236, euro 10).
Gianotti è tra i firmatari di Forum UnoMattina e del leggendario Non è la Rai di Boncompagni. Proietti poi è una leggenda dello sceneggiato (Coralba, Philo Vance, Come un uragano). Insomma, scrivono di quello che sanno. E dal momento che il sessantenne è vispo (Gomorra e Montalbano impazzano, cioè sono venduti, in ogni marchè della tv) il libro non è solo un piacevole amarcord ma una story che è ben lontana dal finire. Una bella story.
Il vero boom arrivò colla fiction n.2 Piccole donne diretta da Anton Giulio Majano. Tutte le donne, piccole, grandi, giovani, vecchie, smisero di pensare ai loro uomini -cioè a preparare le cene- per incollarsi per quattro sabati di fila davanti alle vicende delle sorelle March, capitanate da una 35enne Lea Padovani che piccola non era in nessun senso. Majano raddoppiò subito con Jane Eyre e Capitan Fracassa. Sulle sue orme si lanciarono Mario Landi (Canne al vento) e Daniele D’Anza (Orgoglio e pregiudizio e Nicola Nickleby). Proprio D’Anza fu tra i primi a capire (e illustrare) il perché del successo.
«Lo sceneggiato ha la misura ideale per uno spettacolo tv. Dura un’ora. Giusto il tempo per la digestione e giusto il tempo che hanno prima di andare a letto gli spettatori che al mattino debbono alzarsi presto. Certo lo sceneggiato ci obbliga a un’operazione faticosa ma bella. Trovare nuovi attori che possano incarnare plausibilmente i personaggi di Dickens e delle Bronte. Agli attori di cinema si sa la tv fa schifo (parlava nel 1957 n.d.r.). E quelli di teatro van bene solo per la prosa tv». Cosicchè D’Anza e colleghi dovettero improvvisarsi talent scout.
Orgoglio e pregiudizio rivelò al mondo l’esistenza della ventiduenne Virna Lisi che all’epoca aveva nel curriculum solo qualche filmetto di canzonette. Ottocento impose Sergio Fantoni come latin lover esportabile anche in America. Andrea Giordana era solo il figlio di Marina Berti quando fu tramutato in Conte di Montecristo. Gli anni 60 furono la stagione top della fiction, l’era dei grandi sceneggiati di Bolchi (I promessi sposi) e sempre Majano (La cittadella). Una stagione che ebbe l’apice nel thriller (Il segno del comando) e in quelli che oggi chiameremmo telefilm polizieschi (Maigret, Padre Brown, il tenente Sheridan che si ispirava a Bogart) che finì coll’arrivo delle tv private. La maxi proposta televisiva sembrò mettere fine alla programmazione a puntate (la cadenza settimanale non fu più appuntamento obbligatorio). Col nuovo secolo, la Fiction ha ripreso lena. Cioè audience.
In compenso è diventata più cialtrona. La ormai laicissima tv di stato s’è scoperta da qualche anno baciapile. Come non lo fu mai la Rai degli esordi benché a monocolore democristiano. La parola d’ordine è filmare le vite dei santi e dei papi. Non c’è pontifice, anche il più discusso (leggi Pio XII) che non abbia avuto il suo biopic su Raiuno. Mediaset (che non sta a guardare) ha invece scelto la via del romanzo d’appendice. Squadre di sceneggiatori lavorano «in progress» per i veicoli di Gabriel Garko. In «progress» vuol dire che le carte possono cambiare spesso in tavola facendo morire un personaggio e resuscitandone un altro. Insomma è risorto il feuilleton ottocentesco. Qualcuno osserverà che anche nel celebratissimo Trono di spade si lavora in progress. Sì, ma Losito (il Dumas di Mediaset) è arrivato prima.