Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

ACCUSATO DI FALSO IL GIUDICE DEL TAR CHE SALVÒ IL COMUNE DI MILANO DALLE SANZIONI DELL’UE PER LE CENTINAIA DI MILIONI ELARGITE ALLA SOCIETÀ AEROPORTUALE. SECONDO UN COLLEGA, ADRIANO LEO SI SAREBBE PRESENTATO IN CAMERA DI CONSIGLIO CON LA SENTENZA GIÀ SCRITTA SU UN FOGLIETTO. MA DA CHI?

Per il Comune di Milano sarebbe stata una catastrofe: 450 milioni che dovevano tenere a galla la Sea, la società degli aeroporti di Milano, andavano restituiti al mittente. A salvare il Comune fu una sentenza. Il giudice che ha scritto quella sentenza è finito sotto processo, accusato di avere falsificato i risultati della camera di consiglio. Ma ora dalle carte del processo al giudice, che inizierà il prossimo 3 novembre a Milano, si scopre ben di peggio. La sentenza che diede ragione alla giunta comunale non fu scritta dal giudice che la firmò, dice un testimone. Il presidente della terza sezione del Tar della Lombardia, Adriano Leo, si presentò in udienza quel giorno con la sentenza già scritta su un foglietto. A raccontarlo è stato uno dei giudici che era con Leo in camera di consiglio, che aggiunge una accusa grave: «Posso dire, sebbene sia per me doveroso rimarcare che si tratta di una impressione, che Leo non fosse l’autore di quel documento. Sviluppava argomentazioni tecniche che normalmente non appartengono al presidente Leo, che quasi mai nelle camere di consiglio si sofferma sugli aspetti tecnici delle questioni».
Da dove veniva il «pizzino» con cui Leo si presentò quel giorno in tribunale non lo sapremo mai. Arrivata sulla soglia di questo sbalorditivo episodio, l’inchiesta della Procura di Milano si è arenata. Il capo di Leo, il primo presidente del Tar lombardo Francesco Mariuzzo, è finito sotto inchiesta anche lui per favoreggiamento, accusato di avere cercato di insabbiare i guai del collega, ma poi è stato prosciolto. Così a processo è finito solo lui, Leo, 73 anni. Di fronte alle accuse, Leo si è difeso in modo altalenante: dapprima ha negato di avere scritto nulla di diverso da quanto deciso con i colleghi, poi ha parlato di lapsus, di errore materiale. Quel foglio con cui si presentò in udienza, dice, erano solo i suoi appunti. Su questa linea si attesterà la sua difesa nel corso del processo. Anche se ormai è forse troppo tardi per scoprire scoprire chi, se non Leo, avesse prefabbricato quella sentenza.
Tutto accade il 22 maggio 2013, quando il Tar esamina il ricorso presentato dal Comune di Milano contro Palazzo Chigi, che due settimane prima aveva ordinato il recupero, su ordine dell’Unione Europea, di 360 milioni fatti avere da Palazzo Marino (attraverso un aumento di capitale della Sea, la società controllante) a Sea Handling, la società che gestisce lo smistamento dei carichi e dei bagagli, in crisi nera e sull’orlo del crac. Per l’Unione Europea è un aiuto di Stato, vietato dai trattai comunitari. Con gli interessi, il salasso arriva a 452 milioni. È un ricorso cruciale: se saltasse il finanziamento Sea Handling andrebbe gambe all’aria, centinaia di lavoratori resterebbero a spasso, la efficienza degli aeroporti milanesi sarebbe a rischio. Il Comune guidato da Giuliano Pisapia schiera la sua avvocatura a sostegno del ricorso. E al Tar iniziano le stranezze. Prima Leo si autoassegna la trattazione della causa. Poi, il giorno dell’udienza, l’incredibile: il presidente discute la causa con gli altri due giudici, Silvana Bisi e Fabrizio Fornataro, e tutti decidono di bloccare il decreto di Palazzo Chigi, ma senza entrare nel tema degli aiuti di Stato.
Il 23, Leo deposita la sentenza: che stravolge quanto deciso in camera di consiglio, e annulla oltre al decreto del governo italiano anche il provvedimento dell’Unione Europea. «Quello è un deficiente e un corrotto», dirà in una conversazione intercettata il giudice Bisi.