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 2015  ottobre 03 Sabato calendario

SUL SET CON JEFF


Se sono un fotografo professionista? Mah, dipende. Mi faccio pagare per le mie foto e questo mi qualifica come un professionista, ma è anche un hobby per cui provo grande passione e quindi mi sento come un dilettante».
La passione di Jeff Bridges per la fotografia è fuori dubbio. Ne parla volentieri e con grande entusiasmo, a Los Angeles, alla vigilia del debutto, alla Galleria Ono di Bologna, della sua mostra Jeff Bridges Photographs: Lebowski and Other big Shots. Il filo conduttore è quello che l’attore coltiva da anni: immagini scattate sul set dei film nei quali recita e che ne raccontano in modo immediato e naturale il dietro-le-quinte.
Incominciò quasi per scherzo nel 1984. Un click via l’altro mentre era sul set di Starman, diretto da John Carpenter. «Misi poi insieme un libretto da regalare ai colleghi e a tutti quelli che avevano partecipato alla realizzazione del progetto. E da quella volta quasi per tutti i film ho realizzato un album-regalo, fino a quando non mi fu chiesto di fare un vero e proprio libro di fotografia destinato al pubblico».
In mano all’attore sessantacinquenne, sempre la stessa macchina fotografica, una Widelux che gli regalò sua moglie Susan nel 1977 il giorno delle nozze. Una macchina insolita in quanto scatta in formato panoramico, più adatto a foto d’esterni di paesaggi naturali anziché di attori, attrici e personale tecnico mentre lavora in una produzione. Ma Bridges ama quel particolare formato per la similitudine col mondo del cinema, l’immagine allungata che riempie l’intero grande schermo. In questo modo perfino la messa a fuoco della Widelux diventa approssimativa, ma non per questo le immagini sono meno belle e d’impatto.
«Uso prevalentemente il bianco e nero perché credo nel potere dell’immaginazione», spiega l’attore che cinque anni fa vinse un Oscar per il film Crazy Heart. «L’assenza dei colori lascia più spazio alla fantasia, che deve fare lo sforzo di immaginarli». La Widelux non è stata però la sua unica macchina fotografica. Quando era ragazzino suo padre gli regalò una Nikon e fu con quella che scattò un’immagine che ancora gli è cara. È una foto che risale al 1965: suo padre Lloyd e sua madre Dorothy che si guardano adoranti quasi di profilo. «Provo molto affetto per questo scatto perché cattura il grande amore che ci fu fra i miei genitori», precisa Jeff, che ha seguito il padre nella carriera di attore.
Aveva soltanto due anni quando papà Bridges ebbe l’occasione di far apparire il figlio nel film The Company She Keeps. Già a nove anni Jeff e suo fratello Beau erano regolarmente ospiti di Sea Hunt, lo show che Lloyd condusse fra il 1958 e il 1961. Ne aveva 22 anni quando recitò nel suo primo film, L’ultimo spettacolo. E dimostrò un tale talento da guadagnarsi una nomination come migliore attore non protagonista agli Oscar del 1972. Da allora Jeff Bridges non si è più fermato e oggi ha al suo attivo quasi settanta film.
«Sono attore, ma anche fotografo e musicista e nella mia vita tutte e tre le vocazioni artistiche hanno beneficiato l’una dell’altra», prosegue spiegando che la sua creatività non è mai divisa in compartimenti stagni. «Mi ricorderò sempre una volta che ero nella stanza di un albergo e stavo cercando di memorizzare la parte in un film che stavo girando. A un certo punto lessi parole che mi ispirarono una musica nella testa. Presi la chitarra in mano e mi misi a comporre». C’è un filo diretto anche fra cinema e fotografia, che Jeff spiega usando la parola “magia”. «Succede spesso che qualcuno cerchi di fare un documentario per rivelare che cosa c’è dietro alla magia dei film, ma per quante volte si tenti di svelare i trucchi, la magia del cinema è un pozzo senza fondo. Allo stesso modo anche la fotografia ha un segreto magico. È impossibile dire esattamente che cos’è che rende un’immagine perfetta».
Per lui fonte d’ispirazione dietro l’obiettivo sono le immagini di Jacques Henri Lartigue, fotografo francese nato alla fine dell’800 che nel corso della sua lunga carriera ha catturato sempre in bianco e nero una sorta di retroscena della vita di tutti i giorni. «Fu lui il primo a introdurre in Francia il concetto della fotografia istantanea, quando ancora quest’arte veniva recepita come qualcosa di formale. Vorrei sperare che le mie foto nel loro spirito abbiano qualcosa di simile a quelle di Lartigue».
Non tutto quello che è legato alla fotografia, comunque, piace a Jeff. Anzi, c’è un aspetto che lo irrita. «Guardare le cose dentro l’obiettivo ti astrae, impedendoti di essere del tutto presente in quel momento. Ti tira fuori dalla realtà», precisa l’attore che in veste di fotografo ha anche ricevuto premi e riconoscimenti (nel 2013 l’International Center of Photography gli ha tra l’altro assegnato il premio Infinity «per il suo contributo all’arte della fotografia»).
Bridges da poche settimane ha finito di girare un film in New Mexico. Si intitola Comancheria e uscirà il prossimo anno. Diretto da David MacKenzie, è la storia di due fratelli disposti a tutto pur di salvare la loro fattoria. Anche sul set di Comancheria Jeff ha messo mano alla sua Widelux e scattato. Ma sono fotografie troppo recenti e non sono entrate a far parte delle immagini selezionate per l’esposizione a Bologna.
«Mi dispiace non poter essere presente al vernissage perché l’Italia è un paese che adoro», conclude l’attore. «Mia figlia Isabel ha studiato a Firenze, sono andato a trovarla e ricordo benissimo i periodi passati là. Le volte che, per effetto dal fuso orario, a tarda notte mi sentivo ancora pieno di energia, rimanevo al ristorante ben oltre l’orario di chiusura a chiacchierare coi proprietari». Bridges non ha tempo por l’Italia, questa volta, perché è occupato anche con la sua musica. Suona nel gruppo The Abiders, con cui ha inciso l’album Sleeping Tapes. Un miracolo di energia... Ma lui, con una risata, minimizza. «Macché, in realtà io sono un tipo pigro».