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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

GOAL! – [JOHN ELKANN, QUELLO CHE ERA CONSIDERATO IL TIMIDO EREDE AGNELLI, NELL’ULTIMO ANNO...]


Lo sbarco a Piazza Affari e a Wall Street compie un anno: martedì 14 ottobre 2014 Fca (Fiat Chrysler Automobiles) – nata dalla fusione di Fiat spa con Fiat Investments in Fca, che dà vita a un nuovo soggetto di diritto olandese con sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra – varca i cancelli dell’arena finanziaria. Roba seria, dove molto si gioca e molto si rischia. E una svolta epocale per il grande gruppo automobilistico che dopo 115 anni lascia Torino, la sua città natale. Una decisione promossa dall’ad Sergio Marchionne e controfirmata da John Elkann, presidente del gruppo ed erede della famiglia dei fondatori della Fiat. È l’inizio di un anno adrenalinico per John Elkann – presidente di Exor, la società finanziaria controllata con il 51,39% dalla Giovanni Agnelli e C. S.a.p.az., quotata in Borsa – che si conclude con una serie di operazioni dirette a potenziare il business della cassaforte di famiglia.
Un anno che tra l’altro vede il finanziamento del Juventus Football Club, subito ripagato dalla conquista del quarto scudetto consecutivo e dall’arrivo in finale alla Champions League, successi che permettono anche il consolidamento del bilancio economico. La decisione di scorporare la Ferrari da Fca per mettere in Borsa un 10% del capitale e di ridistribuire il capitale rimanente tra i soci di Fca, un’operazione che permetterà a Exor di diventare primo azionista del Cavallino e punto di riferimento della casa di Maranello (che con l’arrivo di Vettel è tornata a vincere in Formula1). La cessione della partecipazione in C&W Group, con un incasso per Exor di 1.278 milioni di dollari e una plusvalenza di 722 milioni. La dura battaglia aperta in aprile per la conquista di PartnerRe, giocata a colpi di rilanci economici e di un’aggressiva politica di comunicazione. E, infine, in un infuocato inizio d’agosto, il colpo inatteso sul fronte editoriale: l’acquisto da Pearson Group delle azioni del gruppo Economist. Una notizia che suscita un’eco straordinaria a livello internazionale e mette John Elkann sotto i riflettori dei media.
Viene, a questo punto, spontaneo chiedersi da dove nasca la passione di John Elkann per l’Economist che lo ha convinto a un investimento milionario per diventare con Exor il primo azionista, con il 43,4%, del pregiato gruppo editoriale inglese. La storia prende le mosse ben ventisei anni fa, quando John Elkann, appena tredicenne e studente dello storico Lycée Victor Duruy di Parigi, decide di abbonarsi all’Economist, settimanale di gran pregio che dalla metà dell’Ottocento viene assiduamente letto, compulsato e studiato dall’élite politica e industriale di mezzo mondo, ma che tra il suo pubblico non annovera certo una gran quantità di teenager, per quanto sofisticati possano essere.
Nato a New York, quel ragazzo porta con sé nomi di famiglia di rilievo tanto in Francia quanto in Italia. Nell’Ottagono il nome Elkann è noto per via del nonno Jean-Paul, banchiere, rabbino e presidente del Concistoro ebraico parigino per la durata di tre lustri tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. La nonna, Carla Ovazza, figlia di una famiglia di banchieri ebrei torinesi, divenne involontaria protagonista delle cronache quando fu vittima di un sequestro proprio nel 1976, l’anno in cui nacque John, primogenito di Alain, giornalista e scrittore, e Margherita Agnelli, figlia di Gianni e appartenente alla stirpe industriale che più di ogni altra ha segnato il Novecento italiano.
È strano però che a un adolescente venga in mente di abbonarsi a un periodico così sofisticato, ma John sembra atterrato da un altro pianeta e ha poco in comune con i suoi coetanei. E questo non solo perché la genealogia lo segna, ma forse perché possiede qualcosa che lo rende profondamente ‘differente’, qualsiasi cosa quest’aggettivo possa voler dire. Tanto che l’altro nonno, Gianni, dopo la tragica quanto precoce scomparsa di Giovanni Alberto, figlio del fratello Umberto, che era previsto fosse il suo successore, nel dicembre 1997 gli apre le porte del consiglio Fiat spa investendolo come suo erede alla guida del gruppo, convinto che “John è giovane ma ha dimostrato di possedere notevoli capacità e doti morali”. Gianni Agnelli, che è noto per avere intuito e sapienza, sa che quel ventunenne possiede i requisiti giusti per una carica tutt’altro che onorifica, ma che richiede talento, preparazione e impegno. Ciononostante la decisione dell’Avvocato viene incassata con stupore, qualche sorriso malizioso e molta diffidenza.
Ma dall’abbonarsi precocemente all’Economist a diventarne proprietario con quasi la metà delle quote ne dovrà scorrere di acqua sotto i ponti. C’è intanto da dire che John, una volta laureato ingegnere al Politecnico di Torino, entra nel 2001 alla General Electric e due anni dopo fa il suo ingresso nella complessa organizzazione finanziaria della famiglia Agnelli passando dalla porta dell’Ifil, di cui diventa vice presidente nel 2004. Nel maggio di quell’anno il suo ruolo è decisivo nella nomina di Sergio Marchionne (voluto dallo zio Umberto) come amministratore delegato di Fiat, con tutto quel che ne consegue. Tra i due il rapporto si farà sempre più stretto, convinto e duraturo, al punto da far digerire al manager la necessità che Fiat tenga le sue partecipazioni nell’editoria, su cui Marchionne ha sempre espresso parere negativo non tanto per quanto riguarda La Stampa, intoccabile per gli Agnelli, ma per Rcs MediaGroup.
Tornando a John e all’Economist, quell’infatuazione da adolescente è destinata a trasformarsi in un rapporto solido e importante che gli farà capire lo stile e le regole che governano il mondo dei media fuori dall’Italia quando nel 2009 Simon Robertson, personaggio molto noto nel mondo finanziario inglese, ex presidente di Goldman Sachs Europa, oggi deputy chairman di Hsbc Bank e consigliere di amministrazione dell’Economist Group, gli propone di entrare nel board della casa editrice inglese. Sempre nel 2010 Elkann decide il primo investimento sulla testata, acquisendo un 5% dalla società del barone Jacob Rothschild, gesto che comincia a rendere visibile la sua presenza nel salotto degli azionisti.
Ma qual è il richiamo che l’Economist suscita sul giovanissimo, poi giovane e ora adulto John Elkann? Lo stesso di sempre. L’Ingegnere (così lo chiamano in azienda) ammira due elementi che sono caratteristici della testata: l’autorevolezza e la mancanza di tabù. Pur fedele a un’ispirazione liberal conservatrice, l’Economist non si sente in dovere di sacrificarsi davanti ad alcun totem. Una barra ce l’ha, ma i mari che percorre sono aperti; il mondo non è irregimentabile in schemi ideologici che lasciano il tempo che trovano; la curiosità culturale e l’onestà del mestiere obbligano a liberarsi, per quanto possibile, dalle catene intellettuali. Tutto questo supportato da un instancabile lavoro editoriale e manageriale per allargare i confini della casa editrice, per sperimentare, per innovare. Ecco, l’Economist ha i requisiti giusti per il palato di John che, appena intercetta la volontà del gruppo Pearson di concentrarsi sul business della didattica e di liberare, dopo 58 anni di possesso, la metà delle quote della testata, decide di compiere il grande passo arrivando al 43,4%, attraverso la Exor. Ai primi di agosto la holding stipula così un accordo che prevede l’acquisto di 6,3 milioni (corrispondenti al 27,8%) di azioni ordinarie e di 1,26 milioni (pari al 100%) di azioni speciali ‘B’. Totale del conto: 405 milioni, euro più euro meno.
Cosa del tutto inusuale, si assiste a un altro fenomeno parallelo: è lo stesso mondo dell’Economist – i trustees (la baronessa Bottomley of Nettlestone, Tim Clark, Lord O’Donnell e Bryan Sanderson), l’intero corpo redazionale, gli altri azionisti (tra cui le famiglie Rothschild, Cadbury e Schröder) – ad accogliere con interesse l’operazione, tanto da mettere in palio la propria ricchezza, e cioè lo storico palazzo di St James’s Street, per poter rifinanziare un prudente (quanto rassicurante) buyback degli azionisti.
Tuttavia la strada per arrivare al risultato non è stata tutta in discesa. A mettersi in mezzo, per esempio, la sessantunenne Lynn Forester de Rothschild che ha mostrato qualche resistenza a mollare l’osso, dopo aver ribattuto più volte: “La nostra famiglia resterà azionista per tutto il tempo che sarò viva”. Tra le due famiglie – i Rothschild e gli Agnelli – non era mai corso buon sangue. Si congratulavano gli uni con gli altri, si scambiavano opinioni e facevano qualche affaruccio insieme, ma sempre guardandosi in cagnesco. Il tempo e gli interessi hanno rimarginato molte ferite, tanto che ora, sotto la gestione di John Elkann, gli animi appaiono meno esacerbati di un tempo. Fatto sta che al momento dell’annuncio ufficiale dell’aumento della quota nel gruppo The Economist, John dichiara, con linguaggio anch’esso poco rituale nel mondo della finanza, di aver voluto sottoscrivere pienamente la storica missione della testata nel “prendere partito nella dura battaglia tra l’intelligenza, che lo spinge verso il progresso, e un’ignoranza vile e timorosa, che lo ostacola”.
Editori attraverso la Fca della Stampa e del Secolo XIX, e azionisti di Rcs MediaGroup con circa il 16%, gli Agnelli-Elkann (o, dovremmo dire d’ora in poi, gli Elkann-Agnelli?) dimostrano di avere forti e costanti pulsioni nei confronti del mondo editoriale. Il rapporto tra John e la direttora dell’Economist (prima donna a ricoprire tale ruolo dalla fondazione del giornale) Zanny Minton Beddoes, elegante e assai preparata, è considerato fluido e rispettoso dei differenti ruoli. Tanto che la Zanny Minton Beddoes ha voluto metterci la faccia scrivendo, nero su bianco, che l’ingresso della quota Exor “rafforzerà l’identità del gruppo The Economist”. A firmare con lei i suoi quattro predecessori: John Micklethwait, Bill Emmott, Rupert Pennant-Rea e Andrew Knight. E il quintetto d’archi ha aggiunto: “Exor è da cinque anni un’azionista di rilievo del gruppo e John Elkann è amministratore dal 2009. Ciò fa sì che una reciproca concordanza di vedute esista già, oltre che una forte condivisione di obiettivi”. Detto da loro ci si può credere, visto che nel 2007 l’Economist non s’era fatto scrupolo di pubblicare un’inchiesta sulla famiglia Agnelli in cui tra l’altro si diceva che “John Elkann controlla una società denominata Dicembre, che ha il 31% dei voti nella società in accomandita Giovanni Agnelli & C. Decine di altri discendenti del fondatore della Fiat, nessuno dei quali ha più del 5%, detengono quasi tutte le altre azioni. Ciò rende la posizione di Mr. Elkann inattaccabile, a meno di un’improbabile alleanza del resto della famiglia contro di lui. Quindi il resto della famiglia, Elkann a parte, fornisce il capitale ma non ha voce in ciò che accade. Intanto, l’uomo che controlla la Fiat ne possiede solo il 3,5%”.
Bill Emmott ha raccontato al direttore della Stampa Mario Calabresi (giornale con il quale l’ex direttore dell’Economist collabora) che quando si è saputo della decisione di Pearson di sbarazzarsi della propria quota “tra noi vecchi direttori ci siamo sentiti e abbiamo deciso di scrivere una lettera al comitato dei garanti dell’Economist raccomandando di continuare a proteggere il giornale da ogni influenza esterna e di salvaguardare quella struttura che a noi tutti aveva garantito un’indipendenza totale, una condizione che ha fatto la fortuna del settimanale tra i suoi lettori. Quando poi abbiamo visto l’accordo con Exor e le nuove regole, abbiamo deciso di dichiarare la nostra fiducia nell’operazione, per dire ai giornalisti che secondo noi era garantita la loro indipendenza e per spiegare ai lettori che la nuova situazione era anche migliore del passato”.
Forte dell’imprimatur dei ‘vecchi’ dell’Economist, della benedizione dei libri contabili (l’utile netto di Exor nel primo semestre dell’anno ha registrato profitti consolidati a 219,3 milioni, più che triplicando il risultato dell’anno precedente), John Elkann pare voler restare fedele alla strategia politico economica inaugurata dall’Avvocato, che punta all’internazionalizzazione dei quattro settori su cui si fonda l’impero di famiglia: le auto, le assicurazioni, il calcio e l’editoria.
Daniele Scalise