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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

AMATISSIMA VIL RAZZA DANNATA


Un’autobiografia collettiva firmata Gian Paolo Ormezzano. Un io singolare plurale, una moltitudine di individui. Una piccola e umile storia, e storiella, dei nostri ultimi sessant’anni. Un catalogo di avventure e ancor più di avventurieri. Un Bignami molto sentimentale e magmatico, gioioso con sbuffi di nostalgia, sugli uomini – e qualche donna – di sport. Quelli che si trovano da questa parte, però. Da questa parte della pagina. Dalla parte di chi testimonia. Dalla parte di chi va, vede e racconta.
Suona un po’ come il cesaresco Veni Vidi Vici. In effetti: soltanto se vieni o vai, soltanto se vedi e raccogli, poi il racconto diventa una vittoria. Funziona così in questo mestiere, dovrebbe esserne il cardine. Funzionava e funziona ancora così il mestiere del giornalista, del testimone attento e onesto. Sportivo, in questo caso. E che bel caso, se ti ritrovi a nuotare, correre, giocare dentro le pagine di I Cantaglorie (66thand2nd, pp. 176, euro 18). Ha una didascalia come sottotitolo, Una storia calda e ribalda della stampa sportiva, e un’efficace postfazione di Alberto Brambilla. Più che un libro, una scorpacciata di uomini e leggende, di aneddoti e ricordi tutti Dop, cioè a Denominazione di Origine Controllata. O meglio, tutti garantiti Gpo, perché è lì dentro che nascono. Da lì fioriscono. Da lui vanno e vengono. Da Gian Paolo Ormezzano, ingordo rabdomante di storie, maratoneta della macchina da scrivere, il giornalista sportivo più sportivo che c’è, Gpo per amici, conoscenti e lettori.
Chi è Gpo? Un uomo di tanto scrivere, un giornalista, ottant’anni di vita (è nato nel 1935) e sessantadue di professione (ha cominciato a Tuttosport nel 1953, poi La Stampa, rubriche su Famiglia Cristiana e Il Giornalino, molte apparizioni televisive e molti libri). Si presenta con una cifra: «Calcolando per difetto, ho premuto per centocinquanta milioni di volte i tasti della macchina da scrivere meccanica, poi di quella elettrica, poi di quella elettronica, poi del per me tragico ostico computer». Si è occupato di nuoto, basket, atletica, Formula 1, dell’amatissimo ciclismo e di calcio. È granata assoluto, tifa Toro come respira, ma ha scritto tutto il mensile Hurrà Juventus per anni, firmandosi Boniperti, Trapattoni, Cabrini e persino Platini. Ha seguito ventiquattro Giochi olimpici, tra estivi e invernali, ventotto Giri d’Italia (il primo nel 1959), quindici Tour de France, sette mondiali di calcio. Vertiginosa e leggendaria la sua velocità di scrittura. E intanto, mentre sparava l’articolo, parlava al telefono e rispondeva a gesti a un collega: ci sono testimoni autorevoli come Gianni Clerici, altro maestro olimpionico di giornalismo, tennista nonché poeta. Ma soprattutto Gpo è dotato di un’esuberante travolgente generosità e ha una penna ribalda e calda (suggerisce il vero, il sottotitolo), per questo racconta così bene.
E chi sono i Cantaglorie radunati nelle sue pagine? Sono una tribù di cantastorie animati da passione e voglie. Cantano le gesta altrui, e in fondo anche le proprie, attraverso la scrittura e l’eloquio, attraverso l’uso di aggettivi, pause, metafore. E così si guadagnano da vivere. Gpo li cataloga in tre schiere a seconda delle epoche, quasi fossero gironi: l’epoca dei cantori, cioè quella dell’amore per lo sport, quando gli articoli erano parole e musica, in pratica canzoni; l’epoca dell’erotismo che, se non proprio accademia, è studio dell’amore; l’epoca della pornografia, la più recente, in cui si rappresenta in modo osceno o comunque esplicito l’atto amoroso-erotico, e qui c’entra la tv.
Risultato: trenta ritratti, e altrettante segnalazioni, di cantori, erotisti e pornografi dello sport. Con l’avviso che i confini sono labili e sommari; che nello stesso personaggio possono convivere tutte le tipologie; che non esiste classifica di valori fra i tre generi. Si comincia con Raro, Ruggero Radice, monsieur le Suiveur, «il più allegro dei cantori, felice di vivere, di seguire i suoi ciclisti con l’entusiasmo dell’eterno fanciullino», uno che non scriveva, dettava al volo al giornale: andava al telefono e raccontava. Si finisce con Fabio Fazio: «Un pornografo, onesto, pulito. Un Rocco Siffredi che studia, legge, ascolta, medita. Ha inventato l’interrogatorio che non irrita l’interrogato e soddisfa quelli che vogliono sapere tutto».
In mezzo ci sono Vittorio Pozzo, giornalista a La Stampa, nonché commissario tecnico della nazionale di calcio che ha conquistato i mondiali del 1934 e del 1938 e l’oro olimpico del 1936 («Un grande uomo, enorme, unico, un eterno alpino») e Carlo Bergoglio alias Carlin, pittore di campagna con le sue caricature («Un cantore che canticchiava sottovoce, con tanta attenzione per non fare troppo rumore»). Nicolò Carosio, funzionario della Shell e radio-telecronista Rai («La grande voce della fantasia») e Dino Buzzati, umile nello scrivere («Il punto più alto dell’incontro fra letteratura e sport»). Gianni Brera, il proteiforme padano, l’icona («Grande studioso dello sport, è stato l’inventore dell’erotismo sportivo») e Gianni Mura, l’amico («Ama l’etica, la democrazia, l’educazione, la sincerità, il vocabolario e la grammatica»). Mario Fossati, tutto ciclismo, ippica e alpinismo («Il massimo giornalista sportivo conosciuto, enorme perché pudicamente inespresso») e Vladimiro Caminiti, l’ultimo grande narratore di partite, l’unico più veloce di Ormezzano («Scriveva a velocità doppia della mia e un italiano ben migliore del mio»).
E poi Gianni Minà, il re del mondo, e Sergio Zavoli, il fuoriclasse. Aldo Biscardi con il suo Processo e Adriano De Zan con i suoi ciclisti. Gli indimenticabili Ameri e Ciotti, radiovoci mitiche; Tosatti e Sconcerti, i teledecenti; Clerici e Tommasi, due che non finiresti mai di ascoltare e leggere. Ci sono anche Fausto Coppi, le sue vittorie e la sua morte, l’Italia di Bearzot ai Mondiali di Spagna ’82, Muhammed Alì a Kinshasa nel 1974 contro Foreman, le Olimpiadi di Tokyo del ’64.
Mette malinconia e allegria insieme I cantaglorie. Mette voglia di esserci. Essere lì nelle storie, accanto agli uomini che racconta. E pazienza se sono tutti giornalisti, vil razza dannatamente amata. Verso la fine, in un capitolo intitolato Momenti sanguigni di una professione ora anemica, dedicato ai Giochi olimpici di Monaco 1972 e all’attentato di un commando palestinese che ha provocato 17 morti, Gpo scrive: «Tormentato dalle paure e dagli scandali, lo sport non ha osato proporsi come forza particolare, opporsi magari proprio sventolando i Giochi, con la loro forza ecumenica, sulla faccia della politica c del denaro che lo hanno invaso». I bei tempi non tornano. Ma lo sport resiste come ideale. Non resta che farlo. E scriverne, continuare ad applicarlo alla scrittura.
Gian Luca Favetto