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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

LA MANO BIONICA PROGETTATA A PISA CHE RIDÀ IL TATTO


Da adolescente Silvestro Micera amava così tanto il telefilm L’uomo da sei milioni di dollari, le avventure di un astronauta a cui vengono impiantate parti artificiali che lo trasformano in un supereroe, da decidere di diventare ingegnere biomedico e rendere reali quelle fantasie. Un po’ c’è riuscito, come spiegherà l’11 ottobre al festival BergamoScienza (www.bergamoscienza.it). Micera coordina infatti il team della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa che, con altre Università europee, ha sviluppato un nuovo tipo di mano artificiale. Questa non solo compie movimenti simili a quelli naturali, captando i segnali elettrici dei muscoli del braccio, ma, per la prima volta, è anche capace di trasmettere sensazioni tattili a chi la usa, tramite elettrodi impiantati nei nervi. «Garantire il feedback sensoriale dalla protesi è molto utile», ci spiega Micera «perché non sempre si vede quello che si deve manipolare. Avere poi la sensazione tattile serve a dosare la forza della presa e aiuta a percepire la protesi come parte di sé».
Il primo prototipo realizzato aveva solo due sensori di pressione, nell’indice e nel mignolo, ma nonostante ciò Dennis Aabo Sørensen, un danese privo della mano sinistra che ha testato la mano bionica per un mese nel 2014, ne è stato entusiasta. «I segnali inviati dai nostri sensori imitano talmente bene quelli naturali che Sørensen diceva di provare dalla protesi le stesse sensazioni tattili che sentiva nella mano destra» dice ancora Micera. «Inoltre il cervello è un organo molto plastico e in pochi giorni Sørensen aveva già imparato a riconoscere con la mano bionica forma e consistenza degli oggetti. In futuro, con più sensori, e più raffinati, il recupero sarà molto migliore». Per esempio si aggiungeranno altre» sensazioni, come la temperatura, che, essendo convogliate da nervi più piccoli di quelli per la pressione, richiedono elettrodi ancora più miniaturizzati. Il vero dubbio era quanto potessero durare questi elettrodi, visto che si tratta pur sempre di corpi estranei, che l’organismo tende a espellere. «Invece abbiamo scoperto che, anche se il nervo nei primi giorni copre l’elettrodo con tessuto cicatriziale, poi la situazione si stabilizza e il segnale resta buono. Siamo quindi convinti che la connessione possa durare anni».
Se collegare una protesi a dei nervi sembra già fantascienza, negli Stati Uniti si sono spinti oltre, arrivando a collegarle al cervello, per muoverle «con il pensiero». «Quella tecnica è però molto invasiva, comporta l’inserimento di elettrodi nella corteccia cerebrale. Non la consiglierei quindi a un amputato, ma potrebbe servire a un tetraplegico per muovere un braccio robotico». Si tratta comunque di tecnologie molto complesse e costose. «Anche se gli amputati sono relativamente pochi, hanno diritto a essere aiutati al meglio. E poi perfezionare interfacce compatibili con i nervi avrà molte possibili ricadute, come trovare soluzioni per far tornare a camminare chi ha subito lesioni alla spina dorsale».
Intanto, forse già nel 2016, con il professor Paolo Maria Rossini del Gemelli di Roma, Miceri impianterà una nuova mano bionica a un amputato. E stavolta come soluzione permanente.