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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

GLENCORE, QUELLA MINIERA NON È PIÙ D’ORO

Londra
Il re delle materie prima rischia non solo di essere detronizzato ma di perdere il suo regno. La settimana scorsa il crollo in borsa della Glencore, colosso minerario anglo-svizzero, non è giunto del tutto inaspettato: era già il titolo che aveva registrato le maggiori perdite dall’inizio del 2015 al London Stock Exchange, dove è uno dei “blue chips” che compongono l’indice Ftse. Ma poi è venuto un drammatico “lunedì nero” in cui le azioni della società sono calate di quasi un terzo del loro valore in un giorno, con il timore che l’azienda possa essere messa in ginocchio se non ridotta in cenere nelle settimane successive. Complessivamente, la Glencore ha visto evaporare un incredibile 86 per cento del proprio valore dal 2011, quando si quotò in borsa. Una caduta del quasi 30 per cento in una sola giornata di contrattazioni è tuttavia pressoché senza precedenti. Le cause di questo terremoto sono duplici, secondo gli analisti. Una è il pesante debito che la Glencore si porta dietro da anni, una pila di soldi alta 27 miliardi di dollari. L’altra è il rallentamento della crescita economica in Cina, che a sua volta ha provocato una brusca discesa dei prezzi delle “commodities”. Il secondo problema non riguarda soltanto la società con base in Svizzera e sede legale nell’isola inglese di Jersey, bensì tutto il settore. Prova ne sia che la prognosi per la Anglo American, principale rivale della Glencore, è appena leggermente meno grave: le sue azioni, nel giorno in cui quelle della Glencore precipitavano, sono pur calate di un allarmante 10 per cento. Se i prezzi delle materie prime non rimbalzano verso l’alto, osserva il Financial Times, la Glencore potrebbe essere spacciata, ma le sue avversarie non stanno molto meglio. Petrolio, gas, metalli, tutto il campo dei cosiddetti beni indifferenziati, risente della frenata dell’economia cinese. Il prezzo di rame, zinco e nichel è stato particolarmente colpito dallo “sboom” di Pechino (si fa per dire, visto che il suo pil continua a crescere a livelli inimmaginabili per l’Europa, ma molto più bassi del recente passato per i discendenti di Mao). La Glencore era arrivata in borsa in tempi più felici, all’apice del boom dei prezzi delle materie prime. Poco più tardi aveva proclamato al mondo le proprie intenzioni espansionistiche con l’acquisizione della Xstrata, un’altra azienda mineraria rivale, anch’essa parte dell’indice Ftse della borsa londinese. Ma recentemente i dubbi sulla sostenibilità del suo debito hanno fatto crescere l’ansia a Londra e sui mercati internazionali. E dopo che la Investec, un’autorevole banca di investimenti, ha messo in guardia gli azionisti sui rischi di vedere svanire il proprio capitale, si è verificato il crollo in borsa di lunedì scorso. Non è servito il fatto che qualche settimana fa l’azienda anglo-svizzera abbia annunciato un piano da 10 miliardi di dollari per ridurre l’indebitamento, con una serie di misure come l’aumento di capitale (al quale parteciperà anche Ivan Glasenberg, ceo e secondo maggiore azionista del gruppo), la vendita di beni, un temporaneo blocco della produzione nelle miniere africane e la sospensione del dividendo agli azionisti. La dirigenza della Glencore si sforza di minimizzare i pericoli. Anche nelle circostanze attuali, informa una fonte interna, la società realizzerebbe un profitto tra i 5 e i 10 miliardi di dollari nel 2015. “Nulla è veramente cambiato da quando abbiamo reso noto il nostro programma di riduzione del debito il 7 settembre”, ha detto la fonte al Times, definendo “bizzarro” l’allarme lanciato dagli analisti della Investec. E in effetti la Glencore si appresta a pagare un dividendo finale ai suoi azionisti per un totale di 785 milioni di dollari. Ma Hunter Hillac, che della Investec è il capo analista, non cambia idea: “Glencore ha bisogno di una ristrutturazione ancora più profonda. Prevedo che i mercati delle materie prime continueranno a indebolirsi per diversi anni dato che l’eccesso di offerta ha coinciso con un rallentamento della domanda”. Un’espansione incurante dei rischi è la colpa che viene rimproverata alla Glencore. Il gigante delle “commodities”, con i suoi 180 mila dipendenti in tutto il mondo, è ferito. Nelle prossime settimane capiremo come finirà.
Enrico Franceschini, Affari&Finanza 5/10/2015