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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

CINA E GERMANIA SVUOTANO I FONDI DEGLI SCEICCHI

Il fondo sovrano del Qatar perde 12 miliardi di dollari. L’Arabia Saudita ha ritirato decine di miliardi di dollari dai global asset manager che li avevano in gestione. Il Kuwait entro due anni dovrebbe chiudere il suo primo bilancio pubblico in rosso. Il crollo del prezzo del petrolio prima, le materie prime in discesa, lo tsunami delle borse cinesi , lo scandalo Volskwagen e il collasso delle azioni del colosso Glencore stanno mettendo in crisi le casse degli sceicchi. Ma anche i pensionati norvegesi non passano indenni attraverso le altalene dei mercati: il Norway’s pension fund, che ha in pancia 882 miliardi di dollari, secondo al mondo dopo il fondo pensione governativo giapponese, ha contabilizzato 40 miliardi di dollari di perdite, le prime negli ultimi tre anni, dovute a un insieme di fattori negativi, a partire dai bassi tassi di interesse che deprimono i rendimenti dei bond e in generale il reddito fisso, impatto acuito dalla flessione delle azioni americane. Ma il colpo grosso è stato in agosto. il fondo norvegese, infatti, aveva investito più di 27 miliardi di dollari nelle borse di Shanghai e Hong Kong, secondo quanto riportato da Bloomberg. Fondi pensione e fondi sovrani hanno portafogli giganteschi, in grado di fare il bello e cattivo tempo nelle borse mondiali.
Una volta che hanno deciso di investire su un determinato titolo, ne influenzano pesantemente l’andamento. Questo accade sia quando acquistano, facendo lievitare le quotazioni, sia quando disinvestono, rischiando di farle sprofondare. Allo stesso tempo, però, sono anche i più vulnerabili di fronte ai default di singole aziende come anche di mercati borsistici. Proprio quello che sta succedendo adesso. Va detto che queste perdite sono per lo più sulla carta. Questi fondi, per definizione, sono fondi che hanno ottiche di investimento di lungo termine. A differenza dei principali fondi comuni e dei trader speculativi che devono fare risultati a breve o addi-rittura immediati, fondi pensione e fondi sovrani hanno come obiettivo la conservazione e valorizzazione del capitale nel tempo. I rendimenti, dunque, si accumulano anno dopo anno. Lo stesso vale per le perdite, impreviste, che una gestione oculata punta a bilanciare con strategie di allocation sempre più sofisticate. Il tempo, insomma, garantisce di poter approntare piani di crescita di ampio respiro. Gestire le risorse di oggi per garantire le generazioni del domani. La logica è la stessa, sia che si tratti di fondi pensione che di fondi sovrani. Sia che i proventi dipendano dalla vendita di petrolio che del gas, dall’export, come nel caso della Cina, o da altri asset. In questo scenario il fatto che l’Arabia Saudita abbia ritirato dei soldi dai gestori specializzati è suonato come un warning: la situazione è talmente critica che anche gli sceicchi devono intaccare le loro riserve. «Non è una questione di dover far cassa, di bisogno di liquidi, è che con la volatilità alta e le grandi incertezze che dominano il quadro internazionale la strategia è chiudere le gestioni più rischiose», spiega Fabio Scacciavillani, capo economista del fondo sovrano dell’Oman, attento osservatore dei paesi del Golfo e dei loro investimenti. L’Arabia Saudita non ha un suo fondo sovrano, ma gestisce le riserve attraverso la Sama, la Banca centrale, che investe direttamente in attività finanziarie dando un mandato ai gestori. «E’ rimasta un caso unico», spiega Bernardo Bortolotti, direttore del Sovereign Investment Lab dell’Università Bocconi. Una peculiarità che giustifica gli allarmi sul rischio che il governo possa utilizzare le riserve per politiche di welfare o altre esigenze. E che questo trend possa estendersi ad altri paesi. «Per difendere la ricchezza del paese da contingenze di governo hanno tutti creato istituzioni autonome che gestiscono e mettono a frutto le riserve delle Banche centrali in modo da renderle autonome rispetto alle politiche macroeconomiche e valutarie interne. Un esempio eclatante è quello di Singapore, che ha dato vita a una Spa, Temasek, dunque neanche più un ente governativo», racconta Bortolotti. Il Kuwait, altro grande esportatore di petrolio. ha due fondi: uno dedicato esclusivamente alle risorse del domani, un altro per far fronte alle esigenze attuali. Il problema, che poi i è il nodo di tutta l’industria del risparmio gestito mondiale, è che oggi i rendimenti si sono assottigliati. Ed è partita la corsa a trovare asset alternativi che possano garantire i ritorni un tempo assicurativi dai bond. Blackrock, State Street. Citigroup: i grandi asset manager che gestiscono le risorse dei fondi istituzionali sono alle prese proprio con questo obiettivo. Anche ai tempi del default della Lehman e dello scandalo dei mutui subprime ci fu l’impatto sui grandi fondi istituzionali: «Ci siamo bruciati le dita e non siamo affatto contenti», aveva dichiarato nel 2008 Yngve Slyngstad, Ceo del Fondo pensioni governativo della Norvegia, che ai quei tempi aveva perso 500 milioni di dollari con Lehman ed era esposto per 16 miliardi su Fannie Mae e Freddie Mac, le due società governative per l’assicurazione sui mutui, miseramente fallite in quello stesso anno. Passata la tempesta, i fondi hanno ripreso a correre. Un ritmo di crescita dovuto in gran parte al cosiddetto reddito fisso, da sempre l’ancora degli investitori istituzionali. E con gli spread alle stelle è stato facile bilanciare le oscillazioni azionarie. Oggi non è più cosi. «E’ l’altra faccia del Quantitative easing», commenta Fabio Scacciavillani. Il Financial Times ha fatto i conti in tasca al fondo del Qatar. Qia, nato dieci anni fa e che basa la sua ricchezza sull’export di gas, dunque non esposto al crollo del greggio. In compenso ha perso su tutti i fronti in Borsa: 8,4 miliardi con la Volkswagen; con l’8,2% di azioni della Glencore, ha perso 2,7 miliardi di dollari. Lo scivolone della Agricoltral bank of China gli è costato altri 650 milioni di perdite. E cosi, via, da Credit Suisse a Siemens. L’unico investimento positivo è risultato quello su Vinci, il gruppo francese di costruzioni di grandi opere. Infrastrutture, real estate, tecnologie: sono questi oggi gli asset nel mirino. Il Qatar, azionista dell’aeroporto di Heathrow, da questi tre fronti vuole arrivare a moltiplicare di cinque volte gli asset attuali. Per farlo ha aperto il suo primo ufficio a New York. «Questo dovrebbe permetterci una gestione migliore per un portafoglio in crescita», ha dichiarato lo Sheikh Abdullah bin MOhamed bin Saud Al Thani, ceo del Qia nel corso del road show negli Usa.
Paola Jadeluca, Affari&Finanza 5/10/2015