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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

MATERIE PRIME, GEOPOLITICA DI UN CROLLO

Il vento freddo che spira dalla Cina è l’ultimo colpo mortale per quasi tutte le materie prime, dal petrolio all’oro, dal rame ai metalli ferrosi ai beni agricoli e via dicendo. Ultimo, perché la caduta verticale dei prezzi delle materie prime è cominciata quattro anni fa e non si è più fermata, fino a dimezzare (quasi) l’indice che compendia il loro prezzo (vedi Fig.1). Ed è un colpo che è bene analiz-zare, perché l’andamento delle materie prime ha sempre avuto un’importanza critica nel definire passaggi economici e politici di portata globale. Negli anni ’70, per esempio, il loro boom contribuì a mettere in ginocchio l’occidente (grande consumatore) e a fornire un’arma formidabile alle rivendicazioni di alcuni paesi di quello che allora si chiamava terzo mondo (grande produttore). Pochi anni orsono, invece, il nuovo boom delle materie prime e in particolar modo di quelle alimentari – fu all’origine dei movimenti di protesta che sfociarono nella Primavera Araba e nei rivolgimenti politici dal Nord Africa al Medio Oriente. Al contrario, la caduta dei prezzi delle commodity (il termine inglese con cui vengono classificate le materie prime) nel passato ha privilegiato i grandi paesi industrializzati e fornito loro nuove opportunità di rilancio.
Leonardo Maugeri segue dalla prima Ma questa volta le cose potrebbero andare diversamente. Prima di capire perché, è opportuno esaminare brevemente le ragioni che attivano i cicli delle materie prime, e quanto può durare quello che stiamo vivendo. Nella storia economica dell’ultimo secolo, le commodity si sono sempre mosse all’unisono, spesso in controtendenza (ma non sempre) rispetto all’andamento delle borse. A spingerle al rialzo o al ribasso sono sempre stati gli stessi motivi. I prezzi bassi deprimono la ricerca e lo sviluppo di nuove miniere, giacimenti di petrolio e gas, la coltivazione di aree agricole. Allo stesso tempo, i prezzi bassi favoriscono la ripresa della domanda. L’effetto combinato e opposto dei due fenomeni si dispiega in un arco di tempo abbastanza lungo, quando la capacità produttiva di una materia prima si deprime proprio mentre i suoi consumi tendono a aumentare. A quel punto si verifica l’inversione e parte un nuovo ciclo: i prezzi crescono e, a poco a poco, tornano gli investimenti massicci, si sviluppa nuove capacità produttiva fino a quando la nuova e incontrollabile offerta (incontrollabile perché scaturisce dall’azione di troppe imprese in competizione tra loro, senza alcun coordinamento) non eccederà la capacità del mercato di assorbirla. Momento nel quale, com’è avvenuto di recente per il petrolio, i prezzi crollano e si riapre un nuovo ciclo di segno opposto al precedente. L’ampio ricorso alla finanza derivata e alla speculazione – tipico degli ultimi quindici anni – possono acuire le fasi di picco e di flesso, ma non alterare le leggi fondamentali che regolano la vita delle materie prime, i cui cicli sono poco conosciuti e studiati, e comunque trascurati. Il 20° secolo ha visto il ripetersi di tre di cicli di boom (1906-1923; 1933-1953; 1968-1982) con una durata media compresa tra i 14 e i 20 anni e altrettanti cicli di collasso. Il nostro secolo è cominciato con un ciclo di crescita, sostenuto soprattutto dai consumi bulimici della Cina. Dopo aver toccato il suo picco nel 2011, il ciclo si è sgonfiato aprendo la strada a una fase di caduta verticale. Come negli altri cicli, adesso la disponibilità di materie prime resa disponibile dai colossali investimenti dell’ultimo decennio è troppo alta per poter essere assorbita in tempi brevi. Tuttavia è difficile capire quanto potrà durare la fase di ribasso, anche perché- per quanto somigliante - la storia non si ripete mai nello stesso modo. Per esempio, spesso le fasi di collasso delle materie prime hanno coinciso con fasi di espansione delle borse e dell’ economia mondiale (si pensi agli anni ’60 o agli anni ’90); al contrario, oggi soffrono le materie prime e soffrono le borse, perché latitano potenti fattori di ripresa nel panorama economico internazionale. I veri motori di crescita degli ultimi anni, a lungo celebrati con l’acronimo Bric (Brasile, Russia, India e Cina), sono in stato di crisi o di minor crescita. Il mondo industrializzato stenta ancora a recuperare dal dissesto provocato dal collasso finanziario del 2008, e la modesta ripresa che lo caratterizza è stata alimentata – in buona parte – dalle politiche espansive delle varie banche centrali, che non potranno durare a lungo. In questo quadro, la speranza è che la ripresa mondiale venga da un’ondata di innovazioni tecnologiche, la cui incubazione è tipica delle fasi di prezzi alti delle materie prime, e il cui boom si è di solito realizzato (ma non sempre) mentre quelle crollavano. In mancanza di certezze, resta un’economia mondiale che naviga a vista, con pericoli di nuove recessioni e incremento esponenziale dell’instabilità politica nei paesi produttori di materie prime – dal Venezuela all’Arabia Saudita, dalla Russia all’Iran, dal Brasile a molte nazioni dell’Africa sub-sahariana. Paesi che, privati della principale o più importante fonte delle loro entrate, avranno difficoltà a mantenere il consenso sociale più o meno ampio “comprato” fino a ieri con i lauti proventi della vendita di beni un tempo pregiati, oggi a prezzo di realizzo.
Leonardo_Maugeri@ hks.harvard.edu
Leonardo Maugeri, Affari&Finanza 5/10/2015