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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

BANCHE, UN CUSCINO DA MILLE MILIARDI PER PROTEGGERSI DAI RISCHI DI CRAC

C’è un parafulmine da mille miliardi tra le future crisi bancarie d’Italia e il portafoglio di Pantalone. A tanto, euro più euro meno, ammontano le passività aggredibili dei 13 gruppi vigilati direttamente dalla Bce. Solo la quota di fondi propri (capitale e titoli ibridi) supera l’8% minimo previsto dalla prossima legge sul bail in.
Ma dipenderà dall’entità dei futuri dissesti (benché all’Abi non vogliano sentir nominare la parola, facendo scongiuri e ricordando che i fallimenti bancari in Italia sono rara avis). Di sicuro sta per cambiare radicalmente il rapporto tra banche e clienti, che dovranno tener d’occhio la solidità degli istituti se non vogliono finire coinvolti nel famigerato bail in. Un termine incomprensibile ai più – un sondaggio di Ipr Marketing citato da Plus conclude che il 91% degli italiani non ne ha mai sentito parlare che la Banca d’Italia, plausibilmente preoccupata anche degli aspetti divulgativi, ha tradotto in «meccanismo di salvataggio interno». Per diversi operatori i primi effetti sul mercato sono già visibili, con un aumento dei costi di raccolta e una polarizzazione che favorirà le banche più forti e redditizie, a scapito delle più traballanti e “sofferenti”, costrette a pagare sempre più cara la raccolta. Dopo 11 mesi di vigilanza bancaria unica, la direttiva Brrd – che sarà recepita dall’Italia non appena Palazzo Chigi, Tesoro e Via Nazionale convergeranno sul testo della legge delega – sta per avviare un’altra rivoluzione nel credito europeo. Nulla sarà (è) più come prima, dopo la scelta di Bruxelles di imporre un nuovo ordine nel risolvere le crisi bancarie. Quelle, per dire, che negli ultimi cinque anni hanno pesato sui debiti pubblici dei grandi paesi membri per oltre 500 miliardi, di cui metà erogati solo in Germania (essendo pacifico e acclarato che le banche tedesche sono un prodotto peggiore rispetto alle auto tedesche). In Italia i miliardi di aiuti pubblici sono stati solo 4: e tutti restituiti con interessi a due cifre. Ma tant’è. Le regole ora cambiano, e prima di rivedere soldi dei contribuenti a tappare falle bancarie dovrà passare molto sangue sotto i ponti. Quello di azionisti, obbligazionisti e – sorpresa, perché trasla la filosofia del conto corrente come porto sicuro – depositanti per la cifra eccedente 100mila euro. Un cuscinetto da mille miliardi. Le 13 banche esaminate da Affari & Finanza, elaborando dati contabili al 30 giugno e stime della società di consulenza Prometeia, sono la prima tornata di quelle sottoposte l’anno scorso ai test di Bce ed Eba: quelli della tabella in pagina, con in più Credito Emiliano e Credito Valtellinese, e senza invece Mediobanca e Iccrea, dai business più atipici. E’ un campione rappresentativo di circa l’80% del mercato nazionale. Le passività aggredibili dal bail in sono di quattro tipologie, dalla più rischiosa in giù. Prima c’è il capitale azionario: nel giorno del calcolo erano 124 miliardi, il 5,6% delle passività totali. Seguono gli strumenti ibridi di capitale e i bond subordinati (junior), in essere per 60 miliardi (2,7% del passivo). Poi ci sono i molti bond non garantiti (senior): ben 556 miliardi, oltre un quarto di tutte le passività. E circa due terzi, stima Prometeia, nelle tasche dei risparmiatori. Infine c’è lo zoccolo dei depositi non garantiti dal Fondo interbancario di tutela, circa 309 miliardi, il 14% delle passività. Sommando le quattro categorie saremmo a 1.049 miliardi. Tanti? Pochi? «A noi questo numero non ha spaventato – spiega Giuseppe Lusignani, vice presidente di Prometeia –per due ragioni: intanto i fondi propri (azioni più titoli ibridi e subordinati) superano l’8% minimo delle passività che il bail in deve ammortizzare prima che possa intervenire il Fondo di tutela, nei dissesti. Inoltre, i mille miliardi rappresentano un rischio solo teorico, non certo il massimo rischio sostenibile dai risparmiatori». Lusignani ricorda che, nelle crisi recenti, le banche europee «hanno bruciato in media meno del 5% dell’attivo, nessuna lo ha dimezzato». Il passivo aggredibile ammonta, invece, al 47,5% del totale. Cosa cambia per risparmiatori e depositanti L’esercizio che segue rende l’idea di come funziona il «meccanismo ordinato di salvataggio» e le sue possibili conseguenze sui clienti. Il passivo totale delle 13 banche è di circa 2.214 miliardi. Secondo la nuova direttiva, quindi, il tetto minimo dell’8% che i soggetti coinvolti dal bail in dei 13 gruppi devono poter pagare ammonterebbe a 177 miliardi. Oggi i 124 miliardi di capitale più i 60 miliardi di ibridi e subordinati basterebbero a coprire le perdite. Ma di poco: dunque se queste si ampliassero sarebbe necessario toccare il mare magnum delle obbligazioni senior, che le banche italiane hanno emesso con larghezza fino a pochi anni fa. In base a stime dell’Abi, tra l’agosto 2013 e l’agosto 2015 i bond bancari sono scesi da 519 a 400 miliardi (dato che non include quelle «acquistate da banche»). «Nonostante la forte riduzione degli ultimi due anni, le obbligazioni senior sono una base ampia su cui eventualmente rivalersi, prima di arrivare ai depositi non garantiti – continua Lusignani – anche se penso che le recenti ricapitalizzazioni mettano abbastanza al sicuro anche questa categoria di obbligazionisti. Ovviamente dipenderà dall’ampiezza delle perdite». Ci vorrebbero, su base aggregata, perdite per 750 miliardi per arrivare a toccare i depositi con giacenze sopra i 100mila euro. Come cambia l’accesso al mercato delle banche Se i depositanti sono relativamente al sicuro – ma non tutte le banche sono uguali: dipende dai singoli dati di solidità patrimoniale, redditività e monte crediti in sofferenza – sarà bene che ogni cliente, specie gli obbligazionisti, usi da oggi occhi più accorti nella scelta della banca. Gli operatori professionali lo fanno da tempo, e sempre più raffinatamente. «I prezzi delle obbligazioni incorporano già le novità della nuova regolamentazione – ha detto Markus Ratzinger, gestore e partner di Anthilia – lo dimostrano le emissioni di Banca Popolare di Vicenza che oggi rendono 475 punti base più dei Bot, ma fino a qualche anno fa avevano uno spread molto più basso. Noi abbiamo da tempo venduto i titoli Bpvi dei nostri portafogli perché ritenevamo che i rischi reali non fossero correttamente prezzati». E’ il mercato dei bond bancari il campo di battaglia delle nuove regole al via da gennaio (ma che potrebbe applicarsi anche su emissioni del 2015). E il caso della popolare vicentina è emblematico: nei conti semestrali le rettifiche imposte dalla vigilanza hanno eroso il patrimonio Cet1, così in pochi giorni il premio da pagare per piazzare un nuovo bond subordinato da 200 milioni è salito dal 7% inizialmente offerto all’11% complessivo. Un costo allineato a quello del capitale: segno che gli investitori danno per probabile la conversione di quei titoli, a ristoro del Cet1 e in vista di un difficile aumento da 1,5 miliardi con quotazione. «Vicenza sta cercando di tenersi aperta la strada del mercato – racconta Alberto Segafredo, capo delle gestioni di Carthesio a Lugano – in vista delle future scadenze di bond senior». Di certo gli istituti con struttura finanziaria più debole faranno sempre più fatica a spuntare tassi vicini a quelli dei titoli di Stato. Secondo il gestore, l’effetto più probabile sarà la sostituzione di molti bond bancari con conti correnti vincolati a tempo, «con un correlato aumento dei costi di raccolta e minore stabilità della stessa». In parallelo, sta crollando il rendimento delle emissioni escluse dal bail in (come i covered bond). Ma non tutta la raccolta può essere garantita: i regolatori stanno infatti per licenziare il “Mrel”, che indica la quantità minima delle “passività aggredibili”. La conseguenza più probabile, secondo molti, sarà una polarizzazione tra banche più e meno virtuose.
Andrea Greco, Affari&Finanza 5/10/2015