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 2015  ottobre 03 Sabato calendario

HO UN PROBLEMA AMO LE ITALIANE


[Brad Pitt]

«La mia grande passione è nata da piccolo, ero ancora bambino. Papà aveva delle moto e vivevamo in mezzo al nulla, proprio al centro dell’America. Non c’era niente, solo campi e un sacco di spazio, non c’era pericolo e quindi potevamo girare liberi. Così all’età in cui andavo ancora all’asilo ero già in sella, su una motina da meno di 50 cmc di cilindrata». In the middle of nowhere, dice proprio così riferendosi all’Oklahoma della sua infanzia. Da quei giorni Brad Pitt ha fatto molta strada, in tutti i sensi: è uno degli attori più famosi al mondo, ha sposato una delle donne più belle del pianeta ma perde la testa solo quando si parla di motociclette. E di corse. Non a caso ha deciso di produrre, ma soprattutto di esserne in parte protagonista come voce narrante, un film (Hitting the Apex, si intitola nella versione originale) che racconta in maniera intensa e profonda il mondo della MotoGP. Con sei attori principali: Rossi, Lorenzo, Pedrosa, Stoner, Marquez e Simoncelli.

Perché Brad Pitt si fa coinvolgere in un film di questo genere?
«Perché, passione a parte, è un’operazione molto ben fatta da vari punti di vista. L’educazione dei piloti da piccoli, la loro crescita, con le immagini di quando hanno iniziato, la figura mitologica del campione in sella mentre gareggia, la bellezza e il fascino del limite sottile che esiste tra il successo e la tragedia. Mi hanno sottoposto il progetto di Mark Neale (il regista; ndr), noi abbiamo una grossa compagnia di produzione a Los Angeles e dal momento in cui l’ho visto è stata una decisione ovvia, mi piaceva troppo. Non ho avuto il minimo dubbio. Si trattava di lavorare su qualcosa che amo e dire grazie a uno sport che amo».
Ognuno dei piloti raccontati ha un suo fascino e una sua storia: c’è uno dei sei che preferisce?
«Oh no, assolutamente no. Sono stati così belli da vedere e seguire in questi anni. Li adoro tutti, per ragioni differenti. Amo Pedrosa per la sua costanza nel lottare contro le sue sfortune. Lorenzo per la determinazione e la concentrazione feroci. Amavo Simoncelli per com’era fatto, per l’impatto che ha avuto su questo sport, per la sua famiglia, la stretta al cuore più grande nel film l’ho provata per loro. E naturalmente amo Rossi, che è un grande, sempre spettacolare».
Davanti allo schermo ci si commuove spesso. A lei è successo mentre registrava?
«Un sacco di volte, soprattutto quando si è trattato di seguire la traiettoria di una stella finché è caduta. Mi sono dovuto fermare nel doppiare quando c’erano le scene di Simoncelli, mi veniva da piangere. Perciò sono curioso di vedere se questo film merita di andare oltre gli appassionati, se riuscirà a toccare un’audience più grande. È un momento buono per farlo, c’è così tanto talento in MotoGP in questi anni. E grandi personalità. E un cambio della guardia: Rossi che rinasce dopo il periodo in Ducati e i giovani che lo attaccano. Oltre a Marco manca Stoner, è vero, ma è arrivato Marquez. È un periodo davvero incredibile».
Anni fa ha detto: “Vorrei essere Valentino Rossi”. Perché?
«Ahahahah (si fa una grandissima risata, difficile da rendere per iscritto...). L’ho detto? No, ho detto che mi piacerebbe una volta nella vita essere l’uomo più veloce del mondo in moto. Poi casualmente, in quel momento, il più veloce era lui... Vorrei essere uno come lui per tutto: la velocità, il modo in cui gestisce il successo e le sconfitte, quanto dà alla gente che fa il tifo per lui e anche a quelli che non sono suoi fan. E non si è mai fatto trascinare a pronunciare una parola negativa anche quando le cose non gli andavano benissimo. Lo trovo incredibile e non ha a che fare solo con le corse».
Se uno dei suoi figli le dicesse che vuol correre in moto glielo permetterebbe? Veti della madre a parte...
«Ma i miei figli sono già tutti in moto! Hanno iniziato a 4/5 anni con una Yamaha automatica da 50 cmc, poi sono passati a una 80 e adesso ognuno ha una sua moto, più potente. Se è qualcosa che vogliono davvero fare io li supporterò. Paura? Li ho buttati nell’arena molto presto, ci siamo abituati...».
Quali sono i suoi sport preferiti, motociclismo a parte?
«La MotoGP vince per distacco e adesso vi spiego perché. È uno sport di squadra fino all’accensione del semaforo, poi improvvisamente diventa individuale al massimo e l’uomo in sella può comunicare col team solo attraverso una lavagna sbirciata a 300 orari in un secondo, sei solo contro tutti gli altri. E poi c’è un terzo elemento, quello che mi affascina di più: la gara che fai nella tua mente e la corsa contro te stesso, come affronti le avversità. Questa è la parte più intrigante per me ed è quella che affrontiamo nel film. Poi, ma solo poi, mi piacciono il calcio e il football americano...».
Dopo le scalate in alta montagna di Sette anni in Tibet, il baseball di Moneyball e il full contact di Fight Club ci sono altri sport che vorrebbe portare sullo schermo?
«No, nel senso che non è mai questione di sport ma di cosa c’è dietro. Come tutti gli statunitensi seguo anche il baseball ma quella di Moneyball era una storia universale che piaceva a me. Bella da interpretare. Non scelgo i copioni in base allo sport».
Quante moto possiede?
«Non so quante ne ho, ho perso il conto... Ammetto di avere un serio problema: mi piacciono troppo, è un guaio. Anche italiane? Certo. Soprattutto una Ducati Monster che chiamo “seminatrice di paparazzi”. Non c’è stata un’occasione in cui mi abbia tradito nello sfuggire ai fotografi che mi inseguivano».
Si ricorda il giorno più bello passato in sella?
«Ne ricordo molti. E uno è legato a un incidente... Da giovane ho avuto due brutte cadute, in questa sono volato in aria come fossi cannonball. Ma qualche istante prima stavo vivendo il momento più bello in assoluto su una moto. Mi dicevo: “Grande, grande, vai!”. E poi bum... In realtà è sempre un piacere. Con un casco in testa diventi anonimo e questo mi permette di sentirmi libero ovunque mi trovi. Per cui provo ad andare in moto dappertutto, in tutto il mondo: le strade di campagna sono il massimo ma va bene ogni tracciato, offroad, asfalto. In questo momento sulla mia lista per il futuro ci sono Cile e Nuova Zelanda. Anche se, ora che ci penso, il momento migliore è stato tempo fa in Qatar: si sono offerti di aprire la pista in cui si corre il GP accendendo i riflettori (in Qatar la gara è in notturna; ndr) e abbiamo girato io e mia moglie. Io e lei su un circuito tutto per noi. Davvero incredibile».
E in Italia?
«Sono andato spesso sulle Dolomiti, molto bello. E poi una volta Angelina girava un film a Venezia e ho viaggiato un po’ avanti e indietro dalla casa che abbiamo in Provenza a lì. Anche se c’era qualche pezzo in autostrada a me è piaciuto un sacco, ho fatto il vero turista americano in Europa: all’alba ero sulle bellissime strade del sud della Francia e alla fine del viaggio arrivavo in una città meravigliosa come Venezia». Con tanti ringraziamenti ai campi dell’Oklahoma.