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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

BITCOIN, IL PAGAMENTO DIGITALE CHE VUOLE CONQUISTARE IL MONDO

Che cos’è la moneta? La domanda sembra facile, ma in realtà c’è molto da spiegare. Moneta e finanza sono oggi sotto i riflettori. La Grande recessione del 2008-2009 fu dovuta al mal uso fatto di alcuni strumenti finanziari, e per contrastare la recessione le Banche centrali crearono (e ancora creano) moneta, gettando questo peculiare carburante nella caldaia dell’economia. Qui basti dire che il ricorso alla creazione di moneta ha suscitato timori e polemiche. Se mettiamo assieme i precedenti eccessi della finanza privata – i mutui allegri all’origine della crisi – e il susseguente “pronto soccorso” della finanza pubblica – deficit di bilancio e creazione di moneta – vediamo come la finanza si sia trovata nell’occhio del ciclone. Moneta e finanza dovrebbero in teoria essere a servizio dell’economia. Ma invece di essere “ancelle”, hanno finito col dominare il sistema economico.
Così, molti oggi si interrogano sul ruolo della finanza. Tante operazioni – per esempio, il frenetico compra e vendi che va sotto il nome di High frequency trading – non sembrano avere nessuna utilità sociale, a differenza del produrre un paio di scarpe o di andare a vedere le cascate del Niagara. E poi, i soldi facili che si possono fare nelle finanza portano a compensi stratosferici che aggravano la diseguaglianza, destano invidia sociale e spostano risorse verso settori che, come detto prima, non producono nulla di veramente utile: pensiamo a un brillante matematico che, invece di andare a lavorare nel suo campo, viene reclutato da qualche società finanziaria per produrre modelli atti a sfruttare infime differenze di prezzo per strumenti finanziari quotati in diverse piazze.
Dall’altro lato, la moneta stessa è stata chiamata in causa. Nell’articolo a fianco si dà contezza di alcune monete alternative, che rappresentano sofisticati sistemi di baratto. Ma c’è chi aspira a far di più. C’è un’antica vena libertaria che afferma come anche la moneta debba sottostare alle leggi di mercato. Oggi la moneta è gestita dalla Banca centrale (vedi il Sole Junior dell’11 marzo 2012). Ma perché non potrebbero esserci vari istituti di emissione della moneta, perché questo essenziale lubrificante dell’economia non dovrebbe essere sottoposto alla libera concorrenza – e vinca il migliore?
Questi teorici mal di pancia sull’attuale monopolio di emissione della moneta erano destinati a rimanere dei vaghi malcontenti, se non fosse per la tecnologia. La telematica – il connubio fra informatica e telecomunicazioni – ha rivoluzionato i modi di produrre e di consumare in giro per il mondo, e ha toccato anche la moneta. Un geniale e misterioso esperto – Satoshi Nakamoto (vedi il box qui sotto) – ha creato nel 2009 una moneta – denominata bitcoin – che ambisce a sostituire le monete attuali. Come funziona il bitcoin? E può diventare una vera moneta?
Cominciamo col dire che, come una nuova religione con i suoi culti e le sue sette, il bitcoin ha generato stuoli di fervorosi seguaci. E c’è un numero crescente di società, negozi e siti che accettano pagamenti in bitcoin, e operatori online dove si possono comprare e vendere bitcoin. Lo scopo del bitcoin era quello di creare un mezzo di pagamento che possa crescere nel tempo, a seconda della domanda per il suo uso, ma che raggiunga a un certo punto un limite massimo, oltre il quale non si può andare. Queste caratteristiche sono care a coloro che vogliono sottrarre il governo della moneta ai mutevoli umori di governi e Banche centrali. La creazione di bitcoin (vedremo come) segue cammini prestabiliti e poi si arresta, e nessuno può più intervenire. Ma, direte voi: se l’economia continua a crescere e c’è bisogno di sempre più mezzi di pagamento, come si fa se la quantità di moneta-bitcoin resta quella? In teoria non ci sono problemi: i prezzi devono scendono così che una data quantità di moneta possa accomodare maggiori quantità di transazioni.
Allora veniamo al funzionamento. Come si conviene a una moneta creata da un informatico, la sua creazione fa un ampio uso della matematica. All’inizio, il “Big Bang” del bitcoin arricchì il suo fondatore, il già menzionato Satoshi Nakamoto, ma da allora in poi le susseguenti quantità di bitcoin necessitarono del sudore della fronte di un certo numero di “minatori” (ognuno può essere un minatore). Per “scavare” bisogna risolvere un problema matematico che implica i numeri primi. Concettualmente, il problema è semplice, ma per trovare la soluzione bisogna usare un computer che possa provare miliardi di combinazioni. Ci vuole un sacco di tempo, ci vuole un processore potente, e ci vogliono molto soldi per l’elettricità di cui il computer ha bisogno. Ogni volta che il problema è risolto i minatori, remunerati in nuovi bitcoin, aggiungono un “blocco” a una fila di “blocchi” che tengono conto di tutte le transazioni fatte in bitcoin da Tizio, Caio e Sempronio fino a quel momento.
La difficoltà del problema da risolvere viene automaticamente variata così da mantenere costante l’afflusso di nuovi blocchi, uno ogni 10 minuti (tra il marzo 2014 e il marzo 2015 il numero medio di tentativi di trovare il numero giusto per risolvere il puzzle aumentò da 16,4 quintilioni a 200,5 quintilioni). É stato calcolato che l’elettricità consumata dai “minatori” in un anno è stata, recentemente, di 173 megawatt, equivalente al 20% dell’elettricità prodotta da una centrale nucleare media, e a 178 milioni di dollari (calcolati rispetto al costo medio residenziale dell’elettricità negli Usa).
A parte la diavoleria tecnica, serve davvero un bitcoin? Dopo aver cercato (invano?) di capire come funziona, è difficile sfuggire alla conclusione che il bitcoin sia “una soluzione alla ricerca di un problema”. É un misto di trasparenza (tutte le transazioni possono essere rintracciate) e di oscurità (non si sanno i nomi e cognomi di chi le fa, tanto che viene usato anche per riciclare danaro sporco). E poi, la politica monetaria è una cosa seria e la moneta ha bisogno di essere governata, non può essere lasciata alla mercé di un meccanismo automatico. Tanto più che alla fine – quando i bitcoin raggiungeranno – ammetto, nel 2140 – il limite massimo di 21 milioni, i prezzi dovranno scendere: una deflazione che pone – ormai lo sappiamo – più problemi di quanti ne risolve.
Il grafico mostra come il bitcoin abbia problemi di stabilità del suo valore. Nei suoi tentativi di diventare una moneta è, in un certo senso, come l’oro: ambedue instabili e ambedue ricorrono, per la creazione, ai “minatori”. La differenza è che il metallo aureo è un “barbaro relitto”, mentre il bitcoin è un “relitto del futuro”.
fabrizio@bigpond.net.au
Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 4/10/2015

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SULLE TRACCE DEL GENIALE NAKAMOTO –
Le hanno provate tutte. Per scoprire la vera identità del creatore del bitcoin, molti hanno intrapreso una vera caccia all’uomo. Che è anche una caccia al tesoro, dato che la prima dotazione di bitcoin fu appropriata dal suo creatore e quel milione di bitcoin equivale oggi, ai prezzi medi degli ultimi mesi, a ben 250 milioni di dollari.
Ma l’identità di Nakamoto rimane un mistero. É stato analizzato l’inglese che ha usato, per capire se si tratta di una persona di madrelingua o di uno straniero che parla inglese. L’uso di espressioni idiomatiche fa pensare a una madrelingua, il che porterebbe a escludere che, come dichiarato da lui stesso in un sito web, sia un giapponese che vive in Giappone (un altro indizio a smentita è il fatto che il suo software non è etichettato in giapponese). C’è perfino chi è andato a spulciare tutte le date che ogni intervento sul software automaticamente annota, per vedere se ci sono dei periodi della giornata quando questi interventi si fermano (anche un genio programmatore deve dormire...) e da questi risalire alle regioni del fuso orario in cui abita il Nostro. Questa prova – solo indiziaria, perché c’è chi lavora meglio di notte... – punta il dito verso le Americhe.
Insomma, si conosce Satoshi solo dalle sue opere, da quella pubblicazione del protocollo Bitcoin nella “Chryptography Mailing List” del 2008, e dai numerosi interventi fatti per migliorare il software “open source” negli anni seguenti, fino al 2011, quando si ritirò dal progetto dicendo che si spostava «su altre cose». Non si sa per certo se è uomo o donna e magari non si sa neanche se è uno o trino, cioè se quel nome denomina un gruppo di programmatori o una persona sola. “Satoshi” vuol dire “intelligente, saggio”; “Naka” vuol dire “mezzo, relazione”, e “moto” vuol dire “origine, fondamento”.
(f.g.), Il Sole 24 Ore 4/10/2015