Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 03 Sabato calendario

LE MAGLIE DEL CALCIO? ROBA DA SCEICCHI

Lo scorso 18 marzo il Manchester City disse addio alla Champions League. A sbattere fuori gli Sky Blues dalla massima competizione sportiva europea, era stato il Barcellona stellare del trio magico Messi-Suarez-Neymar. Più che una battaglia tra due top club del calcio mondiale, quella partita era stata soprattutto una sfida tutta araba tra compagnie aeree mediorientali e sceicchi: la Qatar Airways, che svetta sulle maglie dei blaugrana, affondava un colpo contro la rivale Etihad, la compagnia di bandiera dell’emirato di Abu Dhabi, fresca di nozze con Alitalia, il cui logo invece campeggia sulla t-shirt celeste del Manchester. Un forte valore simbolico: perché emiri e sceicchi, i signori dei petroldollari, sono i veri padroni del calcio europeo. Altro che gli americani alla James Pallotta o gli ex oligarchi russi alla Roman Abramovic.
Numeri alla mano, i principali finanziarori del calcio nel Vecchio Continente parlano arabo: solo lo scorso anno, gli emiri hanno versato 120 milioni di euro ai club di mezza Europa, per far comparire il nome delle loro aziende sulle maglie dei giocatori. Un maxi-assegno che rende gli Emirati Arabi Uniti il principale paese sponsor del football. C’è poi uno speciale feeling tra calcio e aerei perché le aviolinee hanno una passione particolare per il calcio: il logo di una compagnia mediorientale compare in 20 dei maggiori club europei. Il podio va alla Emirates, oggi la più grande aviolinea mediorientale e tra le più grandi al mondo che sponsorizza ben 5 club contemporaneamente in giro per l’Europa: gli spagnoli del Real Madrid, i francesi del Psg e il Milan dell’ex premier Silvio Berlusconi, gli inglesi dell’Arsenal, i greci dell’Olympiacos (e fino alla scorsa stagione c’erano pure i tedeschi dell’Hamburg).
Il calcio dà una visibilità enorme, ha una risonanza mondiale, e per le compagnie aeree, che hanno bisogno di farsi conoscere ai consumatori occidentali, è la migliore pubblicità.
Per i club, dai conti sempre dissestati e con voragini in bilancio, una manna benedetta. Solo cinque anni fa la cifra stanziata dagli emiratini per le sponsorizzazioni calcistiche erano briciole: appena 25 milioni di dollari per tutto. Nei dieci anni tra il 2005 e il 2015 – calcola uno studio della società specializzata in analisi calcistiche Repucom – l’investimento è salito del 26% per un ammontare complessivo di circa 300 milioni. Senza contare gli investimenti diretti: il Manchester City medesimo è stato comprato dello sceicco di Abu Dhabi Mansour bin Zayer al Nahyan. Il principale club francese, il Paris Saint Germain, è proprietà dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al-Thani, peraltro cugino di Mansour.
Cosa ha fatto innescare il turbo? Il calcio è l’unico sport globalizzato, le squadre europee hanno fan in tutto il mondo. E il capitalismo arabo, che paga lo scotto del parvenu, ha bisogno di acquisire un blasone e un pedigree. In più il pallone non va contro i principi dell’Islam: rispetta la sharìa, la legge coranica, è molto meno controverso di altre attività occidentali (come lo soon la musica il cinema per via di testi e immagini spesso ritenute oscene dagli arabi). Ma soprattutto è uno sport praticati da soli maschi: ci sono tutte le caratteristiche per piacere a una società molto conservatrice e tradizionalista.
L’arrembaggio degli arabi nel calcio europeo ha una data di inizio ben precisa: correva l’anno 2004 ed Emirates, allora semisconosciuta compagnia aerea mediorientale, firmò un contratto monstre di 15 anni con l’Arsenal, storico e prestigioso club di Londra. La sponsorizzazione includeva anche di ribattezzare l’iconico impianto di Ashburton Grove, dal nome del sobborgo di Londra dove sorgeva, in Emirates Stadium: un faraonico progetto di restyling dello stadio costato 390 milioni di sterline, che ha inaugurato il fenomeno degli stadi “brandizzati”. Trend oggi ormai globale (non c’è stadio o arena che non sia sponsorizzata). In dieci anni gli emiri sono diventati i Signori del pallone in Europa. Che succederà tra altri 10 anni?
.@filippettinews
Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore 3/10/2015