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 2015  ottobre 03 Sabato calendario

MIRACOLO CORBYN, IL LABOUR RISORGE IN SCOZIA

Agli scozzesi piace un sacco Jeremy Corbyn. Ho parlato con studenti universitari, gente della strada, insegnanti, padri e madri di famiglia a Edimburgo e Glasgow. E con i pescatori e i pastori delle isole Ebridi. Ho parlato con la gente, come si dice. Anche in un interminabile viaggio in treno, un locale delle ScotRail che dal porto di Oban impiega tre ore per arrivare a Glasgow e si ferma in tutti i paeselli rurali. Borghi con nomi gaelici dai suoni gutturali, tipo Tyndrum, Garelochhead, Ardlui e Dalmuir. Una anno fa, il 18 settembre 2014, in queste terre la gente è andata a votare per il referendum sull’indipendenza. Il 55% ha detto “no” a lasciare la Gran Bretagna e adesso se ne sono già pentiti. Le bandiere e i distintivi blu e bianchi della campagna per il yes (sì, ce ne vogliamo andare) sono ancora ovunque.
C’è da scommettere che non passerà molto tempo prima che gli indipendentisti inizino a chiedere una nuova consultazione, anche se la leader e ora premier scozzese Nicola Sturgeon dichiara che non se ne parla per i prossimi 10 anni. Poi ci sono state le elezioni del 7 maggio, e i laburisti hanno preso una delle più grandi scoppole della loro storia. Su 59 seggi che la Scozia elegge al parlamento nazionale di Westminster, 56 sono andati allo Scottish National Party (Snp), lasciando una rappresentanza simbolica agli altri tre partiti: un seggio ciascuno per laburisti, LibDem e conservatori. La Scozia era uno dei bacini elettorali del Labour. Alle elezioni precedenti, nel 2010, avevano 41 seggi. Si disse che la Sturgeon aveva fatto discorsi molto più di sinistra del tentennante segretario laburista Ed Miliband, troppo intellettuale e “North London” (zona dell’intellighenzia di sinistra), corrispettivo del “radical chic” italico.
A un anno di distanza, la Scozia sembra aver ritrovato un leader. Corbyn piace proprio. Essere in Scozia nei giorni del Congresso del Labour a Brighton è stato molto interessante. “Grande Jeremy, un mito”, dice un gruppetto di studenti alla Strathclyde University di Glasgow. “Noi avevamo appoggiato Occupy St Paul, avevamo messo le nostre tende qui perché andare a Londra costa troppo. Oggi siamo con Corbyn. Siamo andati a votarlo”.
Il movimento del “99 per cento”, i ragazzi arrabbiati di “Occupy”, sembravano spariti nel nulla, inghiottiti nel dimenticatoio mediatico. E invece esistono ancora. Anche se si manifestano in altre forme. “Corbyn almeno parla chiaro” dicono. Per Joseph, dottorando in Economia a Edimburgo: “È interessante abbiano chiamato come advisory del partito un comitato di economisti dove ci sono Piketty e il premio Nobel Stiglitz”. Il nuovo Cancelliere delle Scacchiere del governo ombra di Corbyn (il ministro ombra delle Finanze) è tornato a parlare di Robin Hood Tax, la tassa che “toglie ai ricchi per dare ai poveri”, cioè aumenta la tassazione sui ricavi della società con lo scopo di redistribuire la ricchezza e aumentare i servizi e il welfare. Quello che gli scozzesi hanno in odio sono le banche, le grandi società di Londra basate nella City che usano ogni trucco per eludere le tasse in modo legale e i “fat cat”, i ricchi smodati che ogni anno si arricchiscono di più mentre la povera gente si impoverisce.
Sembrano solo chiacchiere da pub, ma sono una realtà molto chiara, a nord del Vallo di Adriano. C’è una affinità di intenti tra chi simpatizza per gli indipendentisti e chi ammira Corbyn. A Mary è piaciuta la frase del suo primo discorso da leader: “Gioco leale per tutti, solidarietà, non lasciare gli altri nei guai”. In Scozia, dove al mondiale di rugby tifano contro l’Inghilterra, si entusiasmano per “Corbyn, che finalmente dice cose giuste. E se perde cosa cambia? Abbiamo già perso anche l’altra volta, no? Meglio perdere con lui che vincere con gente come Blair, che ha mandato un sacco di ragazzi a morire”.
Caterina Soffici, il Fatto Quotidiano 3/10/2015