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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

WIFREDO LAM, CELEBRE PER I PIATTI DA TAVOLA, A CUI IL PADRE CINESE DI 84 ANNI DIMENTICÒ DI SCRIVERE LA “L“ DEL NOME. UNA MOSTRA A PARIGI

Quando Lam nasce (Cuba, 1902), da padre cinese ottantaquattrenne e madre mulatta, nel trascrivere il nome, Wilfredo, salta la «l». Se ne accorgeranno troppo tardi. A Wifredo adesso Parigi dedica (sino al 15 febbraio) una retrospettiva con 400 opere al Centre Pompidou (proseguirà al Reina Sofía di Madrid e alla Tate Modern di Londra). Oltre a dipinti e disegni, un buon numero di ceramiche fatte ad Albissola – celebre il suo servizio di piatti da tavola – e libri d’arte, fra cui quella splendida edizione dell’ Apostroph’ Apocalypse, composto da 14 acqueforti per il poema di Gherasim Luca, e Annunciation, sette incisioni con poesie di Aimé Césaire, entrambi stampati da Giorgio Upiglio, a Milano.
In Italia, Lam è di casa. Ad Albissola – frequentata anche da Fontana, Jorn, Crippa e Fabbri – l’artista approda nel 1960, si costruisce una villa e, sino all’80 (morirà nell’82), vi trascorre diversi mesi all’anno. Fra questi, intere settimane a Milano. Upiglio va a prenderlo in stazione. Da qui, alla stamperia di via Fara a incidere centinaia di lastre: «In principio preferisce le tecniche di incisione “materica”, come la maniera a zucchero, frottage – ricorderà Upiglio —. In seguito abbandona gli effetti pittorici per seguire la purezza della linea e la morbidezza dell’acquatinta».
A Milano, Lam espone diverse volte. L’ultima, nell’aprile dell’82, alcuni mesi prima della morte (avvenuta a settembre) alla Galleria Spazio Immagine di corso Vittorio Emanuele, presentato da Raffaele De Grada: «Assomiglia a Ciu En Lai in pelle scura – nota il critico —; come i cinesi non invecchia mai e come i cinesi respira politica da tutti i pori. Come gli africani (ricorda anche Gabriel D’Arboussier, deputato della Costa d’Avorio) che girano il mondo, ha la disinvoltura che cela la timidezza, la fantasia che copre il retaggio di una condizione di risentimento ancestrale». Un ritratto perfetto.
Il «Pompidou» documenta le varie stagioni di Wifredo Lam: da Cuba alla Spagna, da Parigi a Marsiglia, da Zurigo all’Italia, all’Avana.
Fra i dipinti esposti, La giungla (1942), forse l’opera più famosa di Lam (carta intelata di circa 240 centimetri per 230) per la sua valenza estetica e politica, proveniente dal Moma di New York. Alla sua prima esposizione, nella galleria di Pierre Matisse, sempre a New York, suscitò scandalo per la sua «ferocia» («Non guardatelo, è il diavolo», gridava qualcuno).
Da Cuba, nel ’23, va a Madrid (la madre gli cuce nella cintura alcune monete d’oro). Nel ’33, durante la guerra civile, si schiera coi repubblicani. Con una lettera di presentazione per Picasso di Manolo Huguet, nel ’37 raggiunge la capitale francese («Il mio incontro con Pablo e con Parigi produsse su di me l’effetto di un detonatore», dirà). Frequenta Chagall, Miró, Ernst, Braque, Éluard, Léger, Tzara, Leiris, Breton.
Problema ancora irrisolto: qual è il debito di Lam con Picasso (che, scherzosamente, lo presentava come suo nipote) e Breton? Lam copia Picasso o, piuttosto, nell’autore di Guernica scopre un primitivismo che equivale al recupero delle origini? Proprio allora, a molti artisti europei, l’arte primitiva suggerisce una pittura non spontanea, ma razionalmente indotta.
Foreste tropicali, totem, uccelli, stregoni vengono filtrati da Lam e reinventati in un’atmosfera surreale. Il suo primitivismo europeo è ben lontano dall’arte negra del suo Paese: vi influisce l’apporto della civiltà occidentale, che non è solo scuola, Accademia; ma anche apporto d’una sensibilità più sottile e raffinata. Alla fine, il «nipote» di Picasso volerà con le proprie ali.