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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

AMORE, GELOSIA, INFINE AMICIZIA PROUST SCRIVE A REYNALDO

Dal Fondo Macchia custodito nella Biblioteca nazionale di Roma è spuntata una lettera che Marcel Proust scrisse a Reynaldo Hahn. Uno di quei foglietti volanti che Proust scriveva a tutte le ore del giorno a parenti, amici e conoscenti. Per parlarne incontro Alberto Beretta Anguissola, tra i massimi specialisti mondiali di Proust, curatore con Daria Galateria del commento dell’edizione italiana della Recherche , ovvero dell’indagine più preziosa e accurata mai condotta sul mondo proustiano.
Per Beretta Anguissola la Recherche è un iceberg: la parte visibile risplende solitaria all’aria gelida del mattino, ma quella sommersa è assai più vasta, perigliosa e inestricabile. Il suo lavoro di studioso (e di palombaro) è consistito nel dare forma e senso a tutto ciò che nella Recherche non si vede. Mi racconta che una volta inseguì fino in Sud America le tracce di uno degli ultimi amanti di Proust (peraltro invano).
La sua passione proustiana risale ai tempi dell’università: mi confessa che galeotta fu proprio una lettera a Reynaldo Hahn. «In realtà — mi dice ridendo — non era indirizzata proprio a Reynaldo, bensì a Zadig, il suo cane. Leggendola pensai: to’, mica male! Per scrivere una lettera a un cane occorre un bel po’ di libertà e disinibizione. Sai com’era Proust: da una parte un mondano galante e seduttivo, dall’altra un ragazzo semplice, dotato di un’ingenua sincerità». Eppure, obietto, la corrispondenza proustiana è una specie di monumento all’ipocrisia, alla piaggeria. Insomma il Nostro quando ci si metteva sapeva essere un bel leccaculo. «Non sempre, e di certo non con Reynaldo e con gli altri amici intimi. Inoltre, la corrispondenza con Reynaldo è tra le più belle e longeve. Purtroppo conosciamo solo una campana. Fu Reynaldo stesso, infatti, assai più prudente del suo corrispondente, a chiedere a Proust di bruciare le sue lettere».
La lettera al cane risale all’autunno 1911. Proust lavora già da tempo alla Recherche . Con sprezzatura auto-ironica rivela a Zadig uno dei principi fondanti dell’opera: la sfiducia nei confronti dell’intelligenza che ci allontana dalla verità delle impressioni. I cani sono fortunati, scrive Proust, perché non hanno mai l’esigenza di razionalizzare. «Solo quando ritorno cane — conclude — un povero Zadig come te, mi metto a scrivere, e solo i libri scritti così mi piacciono».
«La lettera a Zadig — mi spiega Beretta Anguissola — appartiene al secondo periodo dell’amicizia tra Marcel e Reynaldo. La prima fase della loro corrispondenza dura dal 1894 al 1896 e coincide più o meno con il loro amore. Sono lettere piene di pathos drammatico, romanticismo, attacchi di gelosia proustiana (per una volta in senso letterale)».

Marcel e Reynaldo si conoscono nella primavera del 1894. Il periodo più spensierato della vita di Proust: i suoi vent’anni. È un ragazzo bello, adorabile, dai gusti raffinati, di famiglia abbiente. Malgrado i suoi problemi di salute, o forse proprio in virtù di questi, è affamato di gioie e di opportunità. Reynaldo è più giovane di pochi anni. Malgrado alcune vistose differenze temperamentali, ha molte cose in comune con Marcel: anche lui viene da una buona famiglia di origini ebraiche, coltiva interessi artistici (è un talento musicale assai precoce), adora la mondanità e ha gusti sessuali controversi. I due frequentano in modo complice e licenzioso i salotti colti dei Daudet e di Madame Straus. Trascorrono le vacanze assieme. Il loro amore tra alti e bassi durerà un paio d’anni.
«Finito l’amore c’è un lungo buco nella corrispondenza. Le lettere riprendono parecchio tempo dopo, siamo già nel Novecento. L’amore si è trasformato in amicizia. Il tono delle lettere si fa spiritoso, goliardico, pieno di giochi di parole, persino di disegni, ma mantiene quell’aura infantile che ha caratterizzato la loro relazione. Marcel chiama Reynaldo “Master”, Reynaldo chiama Marcel “poney”. La lettera ritrovata tra le carte di Macchia è un tipico esemplare di questa seconda fase. In essa Proust adotta un gergo cifrato, ermetico, comprensibile solo all’amico. Come vedi, l’ortografia è medievaleggiante. Erano gli anni in cui il Medioevo andava parecchio di moda, Ruskin e via dicendo. Forse Proust vuole parodiare Ruskin. Allo stesso tempo, attraverso lo stile arcaico, cerca di esprimere la nostalgia per gli anni della giovinezza condivisa con Reynaldo. C’è ancora di mezzo l’infanzia. La si può considerare una forma di regressione. In fondo Proust fa qualcosa di analogo in Combray , in cui racconta sia l’infanzia del Narratore che l’infanzia della Francia».
Cos’altro ti colpisce in questa lettera?
«La citazione “Quante virtù ci fate odiare!”, che lui attribuisce alla madre, ma che in realtà è di Corneille. Anch’essa la troviamo in Combray ».
Gli chiedo se l’amicizia con Reynaldo sia sopravvissuta al successo di Proust. «In effetti, con il tempo alcune amicizie si guastarono. Per esempio quella con Lucien Daudet. Céleste Albaret, la domestica di Proust, sostiene che negli ultimi anni Marcel disprezzasse anche Reynaldo, sia come uomo che come musicista. Non credo sia vero. Il loro legame sarà spezzato solo dalla morte di Proust».

Torniamo al primo periodo, quello amoroso. «La relazione tra Marcel e Reynaldo costituisce in un certo senso il modello dell’amore tra Odette e Swann. Le gelosie del giovane Marcel somigliano molto, per intensità e frustrazione, a quelle di Swann. Marcel, proprio come Swann, chiedeva all’amato di essere sincero. Voleva sapere tutte le scappatelle di Reynaldo per poi soffrirne come un cane. Una volta gli scrisse una lettera terribile, una scena di gelosia in tipico stile-Swann che infatti ritroveremo tale e quale nella Recherche . La lettera si conclude con un’amara constatazione. Proust scrive che un giorno, ne è certo, tutta questa sofferenza gli servirà, per ora non può fare altro che viverla».
Tra l’altro la figura di Reynaldo ispira anche alcuni personaggi del Jean Santeuil , romanzo giovanile di Proust, mai terminato. In una lettera del marzo 1896 Marcel confessa candidamente a Reynaldo: «Voglio che tu sia presente ovunque (nel mio romanzo), ma come un Dio travestito che nessun mortale possa riconoscere».
Da un certo momento in poi il rapporto tra vita e arte per Proust diviene talmente inestricabile da ribaltarsi. Proust scrive a Reynaldo (siamo già nel 1914): «Da molto tempo la vita non mi offre più che eventi che ho già descritto». Non è più la vita ad anticipare l’arte, bensì il contrario. Del resto, parliamo di uno dei pochi artisti che sia riuscito a scrivere della propria stessa morte quasi in presa diretta (la morte di Bergotte). «E tuttavia — mi spiega Beretta Anguissola — la vita continua a costituire un’essenziale fonte d’ispirazione. Nell’autunno 1914, ovvero qualche mese dopo la morte di Alfred Agostinelli (autista di Proust, e suo grande amore), Marcel va a Cabourg, in Normandia. Reynaldo gli chiede se non sia doloroso rivedere i luoghi che ha condiviso con Agostinelli. Proust gli risponde che visto il brutto modo in cui Alfred si è comportato negli ultimi tempi, lui si sente autorizzato a non essere troppo triste. E se non senti il dovere di essere triste, il dolore si attenua. Ascolta le esatte parole che Proust scrive a Reynaldo: “Non è perché gli altri sono morti che il dolore diminuisce, ma perché siamo noi a morire e ci vuole una ben grande vitalità per mantenere l’ io di qualche settimana fa. Il suo amico non ha dimenticato il povero Alfred. Ma l’ha raggiunto nella morte. E il suo erede, l’ io di oggi, ama Alfred che ha conosciuto solo attraverso i racconti dell’altro. È una tenerezza di seconda mano”».
È facile riconoscere in questo stralcio di lettera un altro tema portante della Recherche : l’Oblio. Proust, un po’ come Montaigne, ritiene che gli esseri umani siano composti da una serie infinita di io in continua evoluzione. L’ io di un anno fa non ha molto in comune con l’ io di oggi, né l’ io di oggi con l’ io di dopodomani. Solo così riusciamo a superare i grandi dolori, solo questo ci permette di dimenticare, di non ancorarci troppo al passato. «Una delle poche lettere che conserviamo di Reynaldo — mi dice Beretta Anguissola — è l’ultima che gli scrisse. Siamo nel 1922. Proust è in fin di vita, è stanco dell’accanimento terapeutico che gli viene inflitto. Non ce la fa più. Robert, il fratello di Marcel, chiede a Reynaldo di intercedere presso il malato per convincerlo a curarsi».
La supplica di Reynaldo è straziante, ma non abbastanza da convincere quel testone di Marcel.

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La traduzione della lettera a Reynaldo Hahn mantiene le stravaganze ortografiche e sintattiche dell’originale. Segnali di un linguaggio intimo, rivelano il tono complice, affettuoso, in cui l’ironia è la vera protagonista.

Quando vi vesdrò (questi giorni le mie ore sono state molto genstili, dalle tre e 1/2 quattro del pomeriggsio, circa. Ma «folle è colui che si fida»). Non ho avuto l’influensha che temesvo. Non capisco, cosa ho avuto (Polignac: «Lui non kapissce, lui non kapissce»). Se devo vedervi presto non vi schriverò cottiverie su e su, ma se no, sì e sì. La vostra lettera era ammirevole tutta la conversazione Costa delle più giuste e delle più importanti, l’aneddoto Taigny squisito e la sua risposta meno volgare che voi ne diciate perché in effetti sarebbe opportuno che lei si firmasse: Bianchi Taigny che d’altronde è molto peggio di Murat Taigny che sarebbe molto più carino. Conoscete la signora Taigny. È affascinante. L’opinione del signor Costa sulla G. (la ragazza è la G. G. G.) è vera. Ma è quel fard che nella distanza della sala dona freschezza. Io non dico che sia una Récamier e che possa essere l’amica di un uomo di genio. Ma infine, preferendo leggere l’Evoluzione della Materia al dir cose raffinate a Costa, lei non deve avere la nauseante banalità di reputazione delle altre donne del bel mondo. E poi lei s’impadronisce di cose interessanti (il che d’altronde è spiacevole per le cose interessanti) ma ancor più le attira. Così Edward VII ha cenato altrove. Lì ha assistito alla fototele ecc. Tutto questo eleva non una donna ma la sua reputazione. Hasdio, Hasdio, Buongiorni. Ho ricevuto la visita di mia Zia. Mi vengono delle raucedini inaudite non appena sforzo un po’ la voce parlando al telefono. Inaudita. Non venite mai in giorsnata senza avvisare, e non venite più la sera troppo tardi, perché e perché. — Ho telefonsato alla principessa di Chimay che avrei preferito aver fatto l’articolo di Antoine B. piuttosto che il mio. Lei è rimasta così offesha da quella che lei crede una mia insincerità che ha riattaccato la cornetta. Sembra che la fidanzata di C (...) è affascinante, estremamente carina, saldamente ricca, e di una di quelle famiglie così anticamente e virtuosamente repubblicane delle quali mia madre diceva: «Quante virtù ci fate odiare!» Si voltano dalla parte dei vizi, ciò che è più morale. Carigno mi accorgo che avevo finito la mia lettera e che continuo con la solfa dei buonsgiorno. Allora hasdio.

(traduzione di Daniela Bonanni)