Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 04 Domenica calendario

PASOLINI COME MATTEOTTI

Non riuscivo più a sopportare di leggere e ascoltare che Pier Paolo Pasolini è stato ammazzato perché era omosessuale e conduceva una vita pericolosa. Lungo quarant’anni, questa «verità ufficiale» si è diffusa lentamente, come un tumore maligno.
«È stata una mattanza», mi disse Faustino Durante, il medico legale che la mattina del 2 novembre 1975 venne con me all’Idroscalo, sul luogo dell’omicidio.
Ho conosciuto Pasolini quando avevo nove anni. Ho lavorato con lui e sono stato suo amico fino alla fine. Amico comunista, amico borghese, amico giornalista e amico borgataro. Sono stato uno dei suoi figli elettivi. Credo di aver imparato la sua lezione e l’ho portata con me tutta la vita. So di cosa parlo ma, come diceva Pasolini, non ho le prove. Ho soltanto indizi. Centinaia d’indizi. Un tempo si usava dire che tre indizi fanno una prova. Centinaia d’indizi che molti, troppi, hanno finto di non vedere, che cosa rappresentano allora?
La notte del 2 novembre 1975 gli assassini di Pasolini erano numerosi. Anche i magistrati che hanno recentemente richiuso le indagini sulla sua morte hanno dovuto ammettere di aver trovato sui reperti del delitto altri cinque Dna non meglio identificati. Il diciassettenne Pino Pelosi, ingenuo e magrolino, era soltanto un’esca. Pasolini lo conosceva già. Non era andato a prenderlo alla Stazione Termini allo scopo di consumare, a 60 chilometri di distanza, un fugace rapporto sessuale con un ragazzino sconosciuto. Pasolini andava all’Idroscalo con Pelosi per riprendersi le bobine rubate del suo film Salò o le 120 giornate di Sodoma . Per la prima (e unica) volta nella storia qualcuno aveva rubato il negativo di un film. Avevano chiesto due miliardi di riscatto. Poi avevano deciso di restituirglielo gratis. Non volevano soldi. Volevano soltanto ammazzarlo.
Pasolini probabilmente sapeva che all’Idroscalo lo attendeva la morte. Ci è andato senza esitazioni perché era il suo destino. Lo stesso destino di suo fratello Guido, partigiano, e di suo zio Pierpaolo, anch’egli poeta, entrambi morti a vent’anni. Pasolini forse ha scelto di farsi ammazzare dai suoi figli borgatari diventati gangster per dir loro che li amava ancora e che avrebbe voluto salvarli.

I mandanti di questo delitto, che considero da quarant’anni un odioso delitto politico come il delitto Matteotti, sono gli stessi che hanno messo le bombe a piazza Fontana, sull’Italicus, in piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna, e sono gli stessi che hanno creato la «strategia della tensione» con l’obiettivo di attuare in Italia un colpo di Stato simile a quello che negli stessi anni consegnò la Grecia alla dittatura militare. In Italia per fortuna non ci sono riusciti. Non ci sono riusciti perché la Democrazia Cristiana era un partito/regime dalle tante anime: nere, grigie e bianche. E all’opposizione c’era il Pci, cioè il partito comunista più forte del cosiddetto mondo occidentale.
Ma non ci sono riusciti anche perché hanno trovato sulla loro strada uno straordinario poeta, giornalista improvvisato, che li sorvegliava, li assillava, e rivelava con inesorabile puntualità i loro nomi e le loro trame sul «Corriere della Sera». Fino a pochi giorni prima di morire, Pasolini scrisse cose che nessun giornalista ha mai avuto il coraggio di scrivere. Chiedeva di processare la Dc, parlava delle ingerenze della Cia nella politica italiana, smascherava le trame del potere facendo sempre nomi e cognomi. In quegli anni, altri giornalisti di professione, come Mauro De Mauro e Mino Pecorelli, sono stati ammazzati per molto meno.
Quando, a pochi mesi dal delitto Pasolini, si celebrò presso il Tribunale dei minori il primo processo a Pino Pelosi, il giudice Carlo Alfredo Moro condannò l’imputato per omicidio in concorso con ignoti. Il giudice ritenne evidenti le numerose tracce lasciate dai suoi misteriosi ma numerosi complici. Pochi mesi dopo, un altro tribunale processò nuovamente Pino Pelosi, ma sembrò preoccuparsi solo di far sparire quegli ignoti con motivazioni talora surreali. Nella sentenza d’appello, si arrivò persino ad affermare che gli ignoti complici di Pelosi non esistevano perché, con il freddo che faceva, non potevano aver dimenticato un maglione nell’auto di Pasolini. Eppure, quella notte all’Idroscalo la temperatura era superiore a dieci gradi centigradi. È stato così che l’improbabile Pino Pelosi è diventato per sempre l’unico, paradossale assassino di Pier Paolo Pasolini. Dopo quarant’anni, quella «verità ufficiale» ormai è passata alla storia.
A me non interessa conoscere l’identità dei numerosi assassini di Pasolini all’Idroscalo. Provo per loro la stessa compassione che Paolo deve aver provato anche mentre lo massacravano. Io sono ateo e non sono mai riuscito a credere in Dio come non c’è mai riuscito Pasolini. Ma Pasolini ha saputo trasmettermi il messaggio del Vangelo e io devo averne fatto, quasi senza accorgermene, la mia bussola etica. Mi sono spesso chiesto se Pasolini, negli ultimi giorni della sua vita, un Dio lo avesse trovato. Mi auguro di sì. Per lui e per il suo immane sacrificio che non siamo ancora riusciti a comprendere.

Io non sono un magistrato. In Italia i magistrati troppo spesso sono stati ammazzati com’è stato ammazzato Pasolini. Io sono solo uno di quei tanti italiani che si vergognano di vergognarsi di essere italiani. Chiedo semplicemente di ristabilire la verità sulla morte di Pasolini perché mi sta a cuore, come a tanti, la verità sulla storia del nostro Paese. Poiché le cronache quotidiane dell’ignoranza, della violenza e della corruzione in cui viviamo somigliano oggi, quarant’anni dopo, alle più fosche profezie pasoliniane, direi che ne abbiamo diritto.
Ho avuto soltanto il grande privilegio di conoscere un uomo fuori dal comune, per il quale oggi vorrei usare una parola retorica e scomoda che fino a qualche tempo fa non era familiare né a me, né tantomeno a lui. Pier Paolo Pasolini, poeta omosessuale e scandaloso, era un patriota.