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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

IL CAPITALISMO CHIAMA DI NOTTE (MA SI PUÒ NON RISPONDERE)

In Italia il dibattito sulla società h24 si è finora focalizzato sull’apertura dei supermercati di domenica. E contro la liberalizzazione si è andato formando un ampio fronte che ha visto coalizzarsi le ragioni dei piccoli commercianti («è concorrenza sleale»), dei sindacati («i consumi latitano e non c’è bisogno di lavorare di più») e della Chiesa («la domenica senza genitori disgrega la famiglia»). Come spesso accade da noi, la querelle è finita in una battaglia di emendamenti parlamentari, in una lunga serie di riunioni delle commissioni di Montecitorio e infine è stata rubricata dai media come una guerra tra lobby.
H24 dunque uguale commercio, meno si è discusso invece dell’allungamento della giornata operativa sul versante delle tecnologie digitali e come questo mutamento abbia impattato sull’antropologia stessa dell’epoca moderna. Per dirla in parole povere: la dittatura degli smartphone e degli iPad sta riducendo in schiavitù l’uomo e la donna contemporanei? Dietro un ingaggio fatto di divertimento, curiosità e networking c’è in realtà un’irreversibile invasione dello stesso spazio umano?
A queste domande Jonathan Crary risponde con tre enormi sì. Crary insegna arte moderna alla Columbia University e ha pubblicato da Einaudi 24/7. Il capitalismo all’attacco del sonno , un pamphlet che, utilizzando ampi riferimenti alla pittura e al cinema, si pone proprio quest’obiettivo: demistificare il sogno tecnologico e disvelarlo per quello che veramente contiene, un attacco alla persona.
L’ultimo tabù individuato da Crary, per indicare la rottura di qualsiasi linea di resistenza e la definitiva resa alla prepotenza delle nuove tecnologie, è il sonno. Il capitalismo-che-non-chiude-di-notte è dunque, per Crary, un mostro che non è mai sazio e che nel suo avanzare ha messo nel mirino uno spazio — forse l’unico — che finora non aveva violato. Si rompe dunque l’armistizio secolare che aveva tutelato il sonno e l’aveva lasciato in una dimensione extra-politica e non mercificata.
Il professore della Columbia è uno dei tanti fustigatori del modello economico occidentale, giudicato come ferito a morte dalla Grande Crisi, ma a differenza della maggior parte dei suoi colleghi non concentra le analisi (e i suoi strali) sul tema della disuguaglianza. Sceglie un tema forse più intrigante, il rapporto tra tecnologia e uomo. Il digitale, a suo dire, sta sviluppando un’offensiva pervasiva che, dopo averlo portato a occupare le principali casematte della vita quotidiana di tutti noi, lo vede ora spingersi oltre le colonne d’Ercole della giornata lavorativa standard e tentare di violare persino il riposo notturno. Il capitalismo demoniaco di Crary, per vincere questa incredibile guerra portata contro il giusto riposo, avrebbe creato quello che con un ossimoro l’autore definisce «insonnia efficiente», una modalità tramite la quale la vittima diventa carnefice di se stessa perché sacrifica il sonno alla cooptazione tecnologica, alla partecipazione non stop al grande gioco dei social network. In questo modo noi tutti diventiamo degli uomini a «cognizione aumentata», soldati inconsapevoli di una nuova stagione del capitalismo totalizzante.
Nell’enfasi di argomentazione che fa da spina dorsale al suo pamphlet Crary arriva a paragonare l’azione h24 dei social network alla privazione del sonno applicata nella tortura praticata dall’intelligence militare nei luoghi di detenzione dei nemici dell’America, nei dark site . Tra le preoccupazioni che muovono l’analisi di Crary e lo spingono a emettere infiniti avvisi ai naviganti ce ne sono di minute e di drammatiche. Tra le prime il cagionevole stato di salute dell’istituto del fine settimana. «Il weekend — scrive il docente della Columbia — rappresenta ciò che è rimasto nell’epoca moderna di quei sistemi durevoli (la settimana di 8-10 giorni di egizi e romani, ndr ) ma persino questa impalcatura della scansione temporale tende a venir meno con l’imposizione dell’omogeneità 24/7». Tra quelle più consistenti, l’esistenza stessa di multinazionali come Google, Apple e General Electric, strutturalmente incompatibili «con la giustizia economica, la riduzione dei cambiamenti climatici e l’uguaglianza dei rapporti sociali».
Ma dove Crary sfoggia il suo ineguagliabile talento da pamphlettista è quando scrive che «la morte, per molti versi, è uno dei sottoprodotti del neoliberismo: nel momento in cui una persona è stata privata di tutto, dalla sua forza lavoro alle sue risorse di ogni genere, essa diventa semplicemente inutile». Prima di lui nessuno (forse) era arrivato a tanto. Appurato che l’argomentazione di Crary vive sul filo del paradosso ed è palesemente costruita ad effetto pour épater le lecteur , il tema che introduce merita tutta l’attenzione di questo mondo.
Saltiamo dunque il testo e salviamo il pretesto. E arriviamo al nodo delle questioni: il rapporto tra libertà e obbligo. Come nel dibattito italiano sul commercio, così come in quello sulla relazione tra smartphone e utente, i due termini tendono a confondersi: la libertà si stempera pian piano in una costrizione, l’uomo non può o comunque non riesce a scegliere. I negozi non devono restare aperti tutti, sottolineiamo tutti, per 24 ore e per sette giorni ma, se ci sono operatori disposti a correre il rischio d’impresa di farlo, non vedo perché dovrebbe essere impedito loro. E l’apertura non è affatto detto che debba compromettere le relazioni sociali e persino le tradizioni: è possibile governare le potenziali contraddizioni con lo strumento della libera contrattazione tra le parti. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta.
Lo stesso schema può essere applicato alla nuova relazione tra uomo e tecnologie interattive. La libertà di opporsi alla cooptazione o comunque di modularla non è stata abolita, caso mai in questa tutto sommato prima fase risulta attenuata dall’effetto-novità, dalla voglia di essere dentro un mutamento e non privarsene. Che poi questo mutamento possa, nelle modalità dell’offerta, «calzare» rispetto ai vuoti quantitativi e qualitativi di una giornata media di un utente altrettanto medio, non può certo far gridare all’invasione degli ultracorpi di un capitalismo, che di questi tempi ha ben altri grattacapi.
È molto probabile che stiamo vivendo una sorta di utilizzo adolescenziale di tutte le novità della società h24, più in là nel tempo è credibile pensare che si possa entrare in una stagione più adulta del consumo di modernità, una stagione meno condizionata dall’esigenza di sentirsi omogenei e quindi più capace di rovesciare il presunto e iniziale rapporto di dipendenza. Ma una cosa è porsi l’obiettivo di modulare per via volontaria l’esposizione al cambiamento, altro è ridurre le chance della società aperta per mera paura della discontinuità.
Infine due modesti, e non richiesti, consigli per Crary: per tutelare il suo sonno non sottovaluti la possibilità di cambiare cuscino e, soprattutto, non coltivi l’illusione che il tramonto del neoliberismo porti con sé anche il superamento della morte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


In Italia il dibattito sulla società h24 si è finora focalizzato sull’apertura dei supermercati di domenica. E contro la liberalizzazione si è andato formando un ampio fronte che ha visto coalizzarsi le ragioni dei piccoli commercianti («è concorrenza sleale»), dei sindacati («i consumi latitano e non c’è bisogno di lavorare di più») e della Chiesa («la domenica senza genitori disgrega la famiglia»). Come spesso accade da noi, la querelle è finita in una battaglia di emendamenti parlamentari, in una lunga serie di riunioni delle commissioni di Montecitorio e infine è stata rubricata dai media come una guerra tra lobby.
H24 dunque uguale commercio, meno si è discusso invece dell’allungamento della giornata operativa sul versante delle tecnologie digitali e come questo mutamento abbia impattato sull’antropologia stessa dell’epoca moderna. Per dirla in parole povere: la dittatura degli smartphone e degli iPad sta riducendo in schiavitù l’uomo e la donna contemporanei? Dietro un ingaggio fatto di divertimento, curiosità e networking c’è in realtà un’irreversibile invasione dello stesso spazio umano?
A queste domande Jonathan Crary risponde con tre enormi sì. Crary insegna arte moderna alla Columbia University e ha pubblicato da Einaudi 24/7. Il capitalismo all’attacco del sonno , un pamphlet che, utilizzando ampi riferimenti alla pittura e al cinema, si pone proprio quest’obiettivo: demistificare il sogno tecnologico e disvelarlo per quello che veramente contiene, un attacco alla persona.
L’ultimo tabù individuato da Crary, per indicare la rottura di qualsiasi linea di resistenza e la definitiva resa alla prepotenza delle nuove tecnologie, è il sonno. Il capitalismo-che-non-chiude-di-notte è dunque, per Crary, un mostro che non è mai sazio e che nel suo avanzare ha messo nel mirino uno spazio — forse l’unico — che finora non aveva violato. Si rompe dunque l’armistizio secolare che aveva tutelato il sonno e l’aveva lasciato in una dimensione extra-politica e non mercificata.
Il professore della Columbia è uno dei tanti fustigatori del modello economico occidentale, giudicato come ferito a morte dalla Grande Crisi, ma a differenza della maggior parte dei suoi colleghi non concentra le analisi (e i suoi strali) sul tema della disuguaglianza. Sceglie un tema forse più intrigante, il rapporto tra tecnologia e uomo. Il digitale, a suo dire, sta sviluppando un’offensiva pervasiva che, dopo averlo portato a occupare le principali casematte della vita quotidiana di tutti noi, lo vede ora spingersi oltre le colonne d’Ercole della giornata lavorativa standard e tentare di violare persino il riposo notturno. Il capitalismo demoniaco di Crary, per vincere questa incredibile guerra portata contro il giusto riposo, avrebbe creato quello che con un ossimoro l’autore definisce «insonnia efficiente», una modalità tramite la quale la vittima diventa carnefice di se stessa perché sacrifica il sonno alla cooptazione tecnologica, alla partecipazione non stop al grande gioco dei social network. In questo modo noi tutti diventiamo degli uomini a «cognizione aumentata», soldati inconsapevoli di una nuova stagione del capitalismo totalizzante.
Nell’enfasi di argomentazione che fa da spina dorsale al suo pamphlet Crary arriva a paragonare l’azione h24 dei social network alla privazione del sonno applicata nella tortura praticata dall’intelligence militare nei luoghi di detenzione dei nemici dell’America, nei dark site . Tra le preoccupazioni che muovono l’analisi di Crary e lo spingono a emettere infiniti avvisi ai naviganti ce ne sono di minute e di drammatiche. Tra le prime il cagionevole stato di salute dell’istituto del fine settimana. «Il weekend — scrive il docente della Columbia — rappresenta ciò che è rimasto nell’epoca moderna di quei sistemi durevoli (la settimana di 8-10 giorni di egizi e romani, ndr ) ma persino questa impalcatura della scansione temporale tende a venir meno con l’imposizione dell’omogeneità 24/7». Tra quelle più consistenti, l’esistenza stessa di multinazionali come Google, Apple e General Electric, strutturalmente incompatibili «con la giustizia economica, la riduzione dei cambiamenti climatici e l’uguaglianza dei rapporti sociali».
Ma dove Crary sfoggia il suo ineguagliabile talento da pamphlettista è quando scrive che «la morte, per molti versi, è uno dei sottoprodotti del neoliberismo: nel momento in cui una persona è stata privata di tutto, dalla sua forza lavoro alle sue risorse di ogni genere, essa diventa semplicemente inutile». Prima di lui nessuno (forse) era arrivato a tanto. Appurato che l’argomentazione di Crary vive sul filo del paradosso ed è palesemente costruita ad effetto pour épater le lecteur , il tema che introduce merita tutta l’attenzione di questo mondo.
Saltiamo dunque il testo e salviamo il pretesto. E arriviamo al nodo delle questioni: il rapporto tra libertà e obbligo. Come nel dibattito italiano sul commercio, così come in quello sulla relazione tra smartphone e utente, i due termini tendono a confondersi: la libertà si stempera pian piano in una costrizione, l’uomo non può o comunque non riesce a scegliere. I negozi non devono restare aperti tutti, sottolineiamo tutti, per 24 ore e per sette giorni ma, se ci sono operatori disposti a correre il rischio d’impresa di farlo, non vedo perché dovrebbe essere impedito loro. E l’apertura non è affatto detto che debba compromettere le relazioni sociali e persino le tradizioni: è possibile governare le potenziali contraddizioni con lo strumento della libera contrattazione tra le parti. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta.
Lo stesso schema può essere applicato alla nuova relazione tra uomo e tecnologie interattive. La libertà di opporsi alla cooptazione o comunque di modularla non è stata abolita, caso mai in questa tutto sommato prima fase risulta attenuata dall’effetto-novità, dalla voglia di essere dentro un mutamento e non privarsene. Che poi questo mutamento possa, nelle modalità dell’offerta, «calzare» rispetto ai vuoti quantitativi e qualitativi di una giornata media di un utente altrettanto medio, non può certo far gridare all’invasione degli ultracorpi di un capitalismo, che di questi tempi ha ben altri grattacapi.
È molto probabile che stiamo vivendo una sorta di utilizzo adolescenziale di tutte le novità della società h24, più in là nel tempo è credibile pensare che si possa entrare in una stagione più adulta del consumo di modernità, una stagione meno condizionata dall’esigenza di sentirsi omogenei e quindi più capace di rovesciare il presunto e iniziale rapporto di dipendenza. Ma una cosa è porsi l’obiettivo di modulare per via volontaria l’esposizione al cambiamento, altro è ridurre le chance della società aperta per mera paura della discontinuità.
Infine due modesti, e non richiesti, consigli per Crary: per tutelare il suo sonno non sottovaluti la possibilità di cambiare cuscino e, soprattutto, non coltivi l’illusione che il tramonto del neoliberismo porti con sé anche il superamento della morte.

Bibliografia
Jonathan Crary, del quale Einaudi pubblica 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno , insegna Modern Art and Theory alla Columbia. Il volume è tradotto da Mario Vigiak (pagine 134, e 18). Tra gli studiosi che si sono occupati di questi temi, i più noti sono Richard Sennett, autore del saggio L’uomo flessibile (Feltrinelli, 1999), e Zygmunt Bauman, cui si devono vari testi, tra cui Vita liquida (Laterza, 2006) e Vite di corsa (Il Mulino, 2009). Un libro di questo filone uscito da poco è quello di Frédéric Lordon, Capitalismo, desiderio e servitù (traduzione di Ilaria Bussoni, DeriveApprodi, pagine 213, e 16). Per Feltrinelli è uscito Smart di Frédéric Martel (traduzione di Matteo Schianchi, pagine 384, e 22) di cui «la Lettura» si occupò il 4 maggio 2014