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 2015  ottobre 03 Sabato calendario

LA BONTÀ DI FUNGHI E TARTUFI DAL CUOCO RACCOGLITORE

Il cuoco-raccoglitore è un rarissimo esemplare umano. Alcuni ritengono altamente improbabile che la stessa persona possa all’alba raccogliere funghi o tartufi e verso ora di pranzo cucinarli nel proprio ristorante. Secondo costoro il cuoco-raccoglitore ha le stesse probabilità di esistere dello yeti o di bigfoot, esseri leggendari di cui circolano poche foto troppo sgranate e due o tre video in sospetto di taroccamento. Altri parlano di avvistamenti di cuochi-raccoglitori in remote regioni, Alta Maremma oppure Sila, purtroppo senza addurre prove. Forse fanno confusione con la specie anch’essa non comune ma scientificamente validata del ristoratore-raccoglitore, un signore che nei boschi raccoglie funghi per poi consegnarli alla moglie cuoca nella cucina del suo ristorante. Del suo ristorante o più facilmente della sua trattoria perché quando si parla di boschi e di funghi quasi sempre si parla di trattorie. Mentre qui si scrive di un ristorante vero e proprio e di un cuoco più che raffinato. Gli scettici dovranno farsene una ragione ma il cuoco-raccoglitore esiste, ha un nome, Stefano, un cognome, Numanti, un indirizzo, quello del ristorante Castello di Varano de’ Melegari. Come mai nessuno lo ha avvistato prima? Numanti non è giovane, basti dire che il suo apprendistato lo ha fatto da Angelo Paracucchi, che a metà anni Settanta, un momento prima dell’esplosione di Gualtiero Marchesi, era forse il miglior cuoco italiano. Quindi il tempo per accorgersi della sua esistenza c’è stato. Eppure non se ne sente parlare, non se ne legge, nelle guide è presente però senza emergere, senza che ne venga scoperta la straordinarietà. Pensare che Varano de’ Melegari non è un villaggio sperduto dell’Himalaya, è un paese ad appena 7 chilometri dal casello di Fornovo dell’autostrada della Cisa. A chi va o viene dalla Versilia basta una breve deviazione per risparmiarsi i troppi ristoranti di mare con pesce di dubbia provenienza e conoscere un sapiente che dalla primavera all’autunno porta in tavola ciò che ha appena raccolto sulle colline circostanti. Salvo che in inverno, a decidere buona parte del menù del Castello è il bosco: si comincia a marzo con le spugnole (se si è fortunati può scapparci anche la vescia), si prosegue ovviamente coi porcini, che da queste parti la fanno da padroni, e dopo gli ovoli, i galletti, le mazze di tamburo, i pioppini e i prugnoli si finisce in novembre con le trombette dei morti. Ci si ricordi sempre che la natura non segue il calendario pedissequamente. Così come i tartufi (raccolti da Numanti con l’aiuto del fido cane lagotto), i funghi non hanno date fisse: tutto dipende da temperature e precipitazioni, capita spesso che l’andamento climatico anticipi o ritardi (anche di un mese o più) la comparsa di una specie. L’ultima volta in quanto a funghi c’erano soltanto porcini, «soltanto» si fa per dire perché la relativa zuppa non meritava una deviazione, meritava un viaggio. Nonostante che Numanti si schermisse, che dichiarasse la materia prima da 6 anziché da 8, per colpa di chissà quale accidente meteo. Eccolo il problema di questo cuoco-raccoglitore più unico che raro: la modestia. L’Incontentabile non ha mai incontrato un grande chef riconosciuto come tale che non sovrabbondasse di autostima (per non usare altri termini). Mentre Numanti paga la totale assenza di vanità: e comunque dove lo troverebbe il tempo, fra bosco e cucina, per fare pubbliche relazioni? Funghi e tartufi a parte, al Castello sono presenti in carta, con territoriale coerenza, molti pesci e crostacei d’acqua dolce: rari gamberi di fiume, ricchi storioni, delicate trote che mostrano il valore del cuoco, la sua mano leggera (da ristorante, non da trattoria, da cuoco urbano, non da cuoco di campagna) degna di Paracucchi e di maestri più recenti come Ettore Bocchia, ai cui corsi, con curiosità giovane, periodicamente si abbevera. In tavola arrivano piatti moderni e però senza hybris, rispettosi degli ingredienti e del cliente. Nel corso di numerose visite al Castello, Numanti non è inciampato mai, quindi la critica può esercitarsi solo su aspetti extra-gastronomici: 1) il menù che non prevede stacchi fra antipasti, primi e secondi, complicando l’ordinazione; 2) la carta dei vini mai aggiornata. Peccato perché la cantina ha i suoi meriti: è possibile bere il Calanchi di Monte delle Vigne ossia il miglior Lambrusco di Parma, come pure una serie di ottimi bianchi extra-ducali, ad esempio il Gavi di Franco Martinetti (padre del famoso Guido Martinetti di Grom). Numanti non delude nemmeno alla pagina dei dolci, laddove deludono molti che pure non si accollano l’impegno di raccoglier funghi. Per concludere in bellezza prepara ricette spesso impreziosite da frutti autoctoni (raccolti proprio in Val Ceno), alcune d’invenzione e altre tradizionali, tutte irresistibili. L’Incontentabile ha la perversione dello zabaione, qui servito «caldo con trito di biscotti antichi». Siccome il vizio chiama il vizio, prima di tornare in città ecco palesarsi le amarene sotto spirito e il nocino: ancora una volta il bosco.