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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

IL PRECARIO IN SELLA AL CAVALLO RAI CHE VUOLE MANTENERE I TRE TG

[Arturo Diaconale] –
Nonostante ne abbia compiuti settanta l’8 di settembre, Arturo Diaconale sembra l’identico ragazzone di trent’anni fa quando eravamo entrambi cronisti del Giornale di Indro Montanelli. Ha la stessa imponenza fisica che gli ha procurato il piacere di essere arruolato tra i Granatieri di Sardegna per la leva. Soprattutto, ha mantenuto la serenità che gli ha permesso di superare infiniti marosi giornalistici. E questo solo per tenere in piedi, come fa da un quarto di secolo, la sua creatura: l’Opinione, foglio liberale, croce e delizia dei suoi giorni.
È proprio nella sede del piccolo giornale che ci incontriamo. Diaconale continua a dirigerlo anche dopo la nomina in agosto nel cda Rai in quota centrodestra. Ha invece rinunciato alla presidenza del Parco nazionale del Gran Sasso che assumeva da 6 anni con l’orgoglio del nativo abruzzese.
«Sarai finalmente diventato ricco con questa messe di incarichi pubblici di cui sei beneficiario», ironizzo sapendo che non è vero. «Beneficiario è parola grossa ride Arturo -. Quello del Parco era un posto onorifico. Questo alla Rai è gratuito: non prendo una lira». È così. Essendo Arturo un pensionato, se ricopre un incarico pubblico taleèilcdaRai-non può essere remunerato. È quanto prevede la recente legge della leggiadra ministra Madia che si è anche lei messa di traverso nei destini finanziari di Diaconale.
Il rapporto che il mio collega ha con i soldi è infatti conflittuale. Poteva avere una tranquilla e brillante carriera giornalistica, con regolari emolumenti e zero patemi d’animo, se non avesse avuto due impuntature che vi racconto. Al Giornale, nei primi anni ‘90, Arturo era il titolare della nota politica. Da tempo sosteneva la linea laico-socialista e anticomunista di Bettino Craxi. Di colpo però, Montanelli influenzato all’epoca dal suo condirettore, Federico Orlando schierò il Giornale con la Dc di sinistra di Ciriaco De Mita. Arturo, che avrebbe dovuto seguirlo sulla nuova via, si trovò spiazzato. Allora, insieme al vicedirettore Guido Paglia, anche lui deluso, decise di lasciare il Giornale. In una lettera a Indro per spiegare il gesto, scrisse: «Se Montanelli cambia idea, resta Montanelli. Ma se la cambio io, divento un voltagabbana. Non lo sono e preferisco andarmene». Per una ragione di principio, perse il lavoro facendo un primo passo verso l’incertezza. Quello definitivo fu compiuto poco dopo. Diaconale aveva trovato rifugio nelle tv Mediaset, come caporedattore di Studio Aperto. Un giorno la Fnsi proclamò uno sciopero dei giornalisti radiotelevisivi al quale Mediaset decise di non aderire. Arturo piombò di nuovo nei suoi conflitti di coscienza. Era infatti personalmente d’accordo sul rifiuto dello sciopero ma essendo all’epoca anche, sia pure in dissenso, vicesegretario della Fnsi che lo proclamava, si sentì come quei condannati allo squartamento che i cavalli tirano in direzioni opposte. Risolse questa lacerazione della sua morale calvinista dimettendosi pure da Mediaset. E iniziò il più lungo precariato della storia del giornalismo.
Appreso che era disoccupato, l’allora segretario del Pli, Renato Altissimo, gli fece questa proposta: «Trasforma in quotidiano il nostro settimanale, l’Opinione. Saremo i tuoi editori». Arturo si mise all’opera ed era già a buon punto quando il Pli, travolto da Tangentopoli, si sciolse. Così, il miserando si trovò come una vergine sedotta: con l’Opinione in grembo e il finanziatore sparito. Con questo bidone, iniziava, gioiosa e frustrante in pari misura, l’avventura giornalistico-finanziaria in cui è immerso da cinque lustri.
Con la nomina Rai, L’Espresso, il Fatto, ecc. ti hanno fatto le pulci. L’accusa più blanda è quella di carrierista al servizio del Cav.
«Se avessi badato alla carriera ci avrei pensato vent’anni fa. Col Cav ho da sempre un rapporto di stima mai tradotto né in richieste, né in concessioni. C’è stato un riavvicinamento recente perché mi sono occupato di malagiustizia, fondando il Tribunale Dreyfus, e Berlusconi ha apprezzato».
Ti hanno rinfacciato i contributi pubblici all’Opinione.
«Rivendico di averli utilizzati per iniziare dei ragazzi al giornalismo. Siamo stati un centro di addestramento di reclute di valore. Ho fatto sul versante liberale ciò che il Manifesto ha fatto a sinistra. Ma, come sempre, se le cose le fanno loro, fioccano elogi. Se le faccio io, solo insulti».
Artisti del mestiere usciti dalla tua fucina?
«Alla rinfusa: Cristina Missiroli, Rosanna Ragusa, Giovanni Alibrandi, Gennaro Sangiuliano, Nicola Porro, Vittorio Macioce, Adalberto Signore, Andrea Mancia e il tuo vicedirettore di «Libero», Fausto Carioti...».
Ti si rinfaccia un finanziamento pubblico di ben due milioni annui a fronte di una manciata di copie vendute.
«Il basso smercio è una costante dei giornali di nicchia. Il Foglio non vende molto più di noi, ma può permetterselo perché ha un editore che gli ripiana le perdite».
Ti danno del satrapo per avere assunto tua moglie, Barbara, e tua figlia.
«Barbara è entrata all’Opinione nel 2001 e mi sono sposato con lei nel 2007. Mia figlia è entrata dopo due anni di volontariato gratuito, insieme ad altri con un tirocinio più breve».
Con le difficoltà, hai smesso di pagare o licenziato giornalisti.
«Nonostante il sistema dei contributi si sia inceppato con la crisi, ho sempre cercato di tenere in piedi la baracca con i denti per andare avanti e pagare piano piano tutti i dipendenti».
Anch’io ho collaborato vent’anni fa e mi devi dei soldi.
«Hai ragione. I soldi non c’erano neanche allora».
Hai intascato tu il denaro?
(Mi guarda con compatimento, senza rispondere). Secondo il Fatto, Mario Romagnoli, ex deputato Pdl, fondatore del Movimento per le libertà di cui l’Opinione è organo (e ne attinge i contributi), è in galera per traffico d’armi.
«Mai conosciuto, né avuto rapporti con costui. Ignoro cosa sia quel movimento. Non capisco come sia nata la voce. Farò causa a questo giornalismo demenziale».
Per amore dell’Opinione, hai avuto stenti. Il tuo primo matrimonio è finito anche per questo?
«Forse. Ho costretto la mia famiglia a subire le conseguenze di questa scelta di autonomia, con corollario di angosce. Con la mia ex moglie ci vogliamo bene ma capisco che non abbia avuto voglia di seguire la mia avventura. Barbara, la mia attuale moglie, l’ha invece fatto e la ringrazio di essere sempre stata al mio fianco».
Sei un idealista?
«Sono un idealista-realista. Ho valori a cui non rinuncerei mai: dignità, libertà, giustizia giusta e umana. Ma, realisticamente, capisco anche chi subordina gli ideali agli interes si. Io non l’ho fatto».
Hai carattere?
«Montanelli diceva: «Solo chi ha cattivo carattere, ha carattere». Non è così. Io ho buon carattere, ma ho carattere».
Cosa t’è rimasto dei tuoi anni con Indro?
«Mise attorno al Giornale il meglio della cultura liberale europea. Mi è rimasta la voglia di dimostrare che un giornale possa essere il polo di attrazione di un mondo che la pensa allo stesso modo».
Cosa sei tu, al nocciolo?
«Un democratico risorgimentale, secondo la definizione di Francesco De Sanctis. Credo nei valori della Nazione e della democrazia. Non potrei essere nazionalista, fascista, comunista. Mai avuto sbandamenti da queste convinzioni».
Ti piacque Bettino Craxi.
«Tra De Mita e Craxi sceglievo Craxi, non perché fossi socialista, ma perché ero contrario al compromesso storico. Tra Craxi e Pannella, sceglievo Pannella, ma oggi molto mi separa da lui».
Portasti al Giornale Paolo Liguori, già di Lotta continua. Che c’entri tu con Lc?
«Nulla, ma Paolo era bravo e, da liberale, lo aiutai».
Ora con la nomina in Rai dovrai al Cav gratitudine eterna.
«Ringrazio Berlusconi per la stima. Ma non ho ordini da eseguire».
Perfino a sinistra si riconosce che la tripartizione dei Tg per aree politiche risale agli anni di Ceausecu.
«È vero, ma si propone come soluzione il Tg unico che ci riporta ai tempi dell’Eiar».
Qual è il tuo obiettivo in Rai?
«Inserire una cultura garantista in un mondo giornalistico completamente appiattito sulla dottrina giustizialista».
Sei nato un 8 settembre, data che la Destra identifica con “la morte della Patria” e la Sinistra col “nuovo inizio”. Tu che ne pensi?
«Che è anche il giorno della nascita della Madonna. Ed è per questo che sono tifoso della Lazio, perché la Madonna è bianca e celeste».